Football Americano Femminile

Why They play the Game 

L’inizio della stagione del football femminile, per le donne del mio cuore, è lontana solo un grossa manciata di ore.  
Quattro partite di regular season e per chi accede, una di post season.  
Difficile chiamarlo campionato, è più un torneo con squadre localizzate su tutto il territorio nazionale.  
Ecco questa credo sia la definizione più giusta.  
Mesi di allenamento, quattro incontri. 
Casa, Playstation 4 accesa, cuffie e voci di sconosciuti nelle orecchie.  
Gioco a The Division. 
È tarda notte, lo schermo del cellulare s’illumina.  
Anthea.  
Non ci vediamo da settimane, lei tra scuola, allenamenti e ossessione per il cibo cerca di viversi la sua adolescenza negli intervalli dei suoi pisolini.  
Voleva scrivere qualcosa di questa sua prima avventura sportiva in uno sport di squadra, attivo lo schermo del mio smartphone sperando di ricevere il file con il suo pezzo di racconto. 
Vedo una serie di screen, ha scritto qualcosa, forse saranno 80 parole.  
Lei ci tiene ad aggiungere che ha impiegato diciannove giorni per produrre quel pezzo, scuoto la testa incredulo.  
Arriva un nuovo messaggio.  
Giorgia. 
Il tempo senza avere sue notizie direttamente da lei questa volta si conta in mesi. 
Forse è successo qualcosa di grave penso, che altro motivo ha per scrivermi nel cuore della notte? 
Leggo i suoi messaggi. 
È accaduto in effetti qualcosa di grave, il campionato di football americano femminile è alle porte.  
C’è un segnale però che più di ogni altro mi indica l’inizio della stagione agonistica. 
Un messaggio vocale, di Karen. 
“Vi venite a prendere un caffè?”, “Ho anche birra e patatine”. 
Nel suo mondo strampalatissimo e nel suo essere socialmente inaccettabile, queste sono le frasi che sotto intendono una richiesta: di essere ascoltata, confortata o anche sgridata, qualcosa insomma che non la faccia stare sola con i suoi dubbi e le sue incertezze.  
Due lunghissime settimane sono trascorse dall’inizio reale della stagione, la squadra di Federica era in “bye week” eppure lei lamenta dolori in ogni parte del corpo, come se avesse giocato.  
Non c’è mattina che non inizi con “ho un dolore quì…” e poi quì, quì e quì“. 
L’intolleranza verso i bar nei quali si fa troppo rumore con le tazzine raggiunge livelli inenarrabili, sulla strada poveri anziani che camminano tranquilli sul marciapiede vengono accusati di tentare d’attraversare la strada.  
“Sono felice di portare l’acqua”, “lo so che sono troppo piccola”, sono il suo mantra da almeno tre anni.  
Somigliano alle bugie di un’altra atleta che conosciamo, Chiara.  
Come ogni giocatore che compete, vuole giocare ma vuole vincere di più.  
Questa è l’idea suprema che dovrebbe accompagnare ogni giocare in ogni sport: “il mio sacrificio serve lo scopo ultimo di una disciplina competitiva, la vittoria.” 
Oggi si parte, per una lunghissima trasferta a Bologna.  
Ho raccolto l’attrezzatura per lo streaming, tra videocamera, mixer, due computer portatili, due connessioni 4G, microfoni, cavalletto nel trolley che userò per trasportare l’attrezzatura ci saranno 4mila euro di materiale. Ho perfino acquistato un nuovo software per arricchire la trasmissione con “down and distance, posizione del pallone, flag e time out. Un piccolo investimento da una cinquantina di euro.  
Trasmetterò, tempo permettendo, la partita, in diretta.  
Perché investire tutto questo tempo e questo denaro, in uno sport praticato per hobby? 
Semplicemente perché questo è il mio modo di mostrare loro il mio affetto, quanto m’importa. 
Non m’importa davvero che a Milano delle professioniste di un altro sport. si giochino l’accesso ad una finale scudetto, che le loro partite di finale saranno trasmesse da Rai Sport, il cuore mi dice di salire su quel pandino bianco a metano e percorrere questa strada verso nord, incontro a tanti sorrisi e agli occhi di chi solo qualche mese fa era un avversario ed ora è un compagno di squadra. 
 

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