Elena De Cao, vent’anni, capelli ricci sbarazzini che lei per prima non sa mai come tagliare al meglio.
La faccia pulita, a volte un fare da spaccona che nasconde tutte le fragilità e le insicurezze della sua giovane età. Sul corpo qualche tatuaggio, come quelli dedicati a suo fratello sulle braccia.
Fino a novembre dello scorso anno Elena non ha mai preso un aereo, alla prima trasferta sta morendo di paura ma il suo fare da spaccona l’aiuta a mimetizzare l’ansia.
La stessa di chi si chiede se sarà all’altezza alla vigilia della chiamata che tutte le bambine sognano, quella che si tinge di azzurro.
“Non ci credo” continua a ripetere al telefono, un disco rotto sulla frase più emozionata, sul sogno che sta per diventare realtà.
È silenziosa Elena, non rompe le scatole mai a nessuno, almeno finché non entra in confidenza.
Prima di partire le viene ripetuto cento volte di comportarsi bene, “fai pulito” come si dice in Veneto.
Parte, in treno, destinazione Taranto. Timida come una tartaruga nella sua casetta, manda messaggi qua e là sottolineando quanto tutti siano carini con lei, quasi stupita.
Italia-Ucraina, si siede in tribuna con serenità, le viene ripetuto da casa cento volte che è giusto così, che dovrà guadagnarsi tutto un passo alla volta. Tempo al tempo, lei dall’altra parte del telefono annuisce.
Italia-Ucraina, secondo atto.
Sono le 16 quando a Verona arriva il primo messaggio: “Oggi sono convocata”.
Non sembra convinta nemmeno lei, come se fosse una specie di scherzo. No, non lo è.
“Stai tranquilla, oggi indossi la maglia dei giganti, la maglia Azzurra, puoi solo goderti ogni istante”.
Elena si rinfranca, in fondo ha vent’anni, ha bisogno di una piccola dose di coraggio liquido per affrontare questo momento.
Indossa la 15, la inquadrano durante l’inno, seria seria, emozionata. Parecchio emozionata, chi la conosce lo sa fin troppo bene.
Quando entra poco prima dello scadere del primo tempo, a Verona partono già le grida di giubilo: fermi tutti, è entrata Elena.
Poi ci si riaccomoda, lei prova a rompere il ghiaccio in quell’angolo di mondo chiamato pivot.
Va tutto bene Elena, respira. Sta succedendo sul serio.
Si risiede, sembrava già incredibilmente bello così.
Ma il futsal è uno sport strano. Troppo strano, eternamente assurdo, romantico e strappalacrime.
A 34 secondi dalla fine Nicoletta Mansueto suola la palla in area e la indirizza sul secondo palo.
Sembra andata, c’è il difensore, finita lì.
Ma no, il futsal è strano.
Elena mette la punta. Un briciolo di piede, quello più importante.
La rete si gonfia.
Nemmeno ha il coraggio di esultare troppo, la ragazza del 2003 arrivata da Verona. Timidamente si avvicina a Renata, la abbracciano tutte, si lascia andare ad un sorriso enorme.
Le trattiene le lacrime, perché Elena non piange. Ma in tutti i suoi vent’anni abbraccia forte Mansueto, come a sussurrare un grazie a denti stretti per averle messo sui piedi un sogno.
Il sogno di esordire. Quello di vedere il tuo nome sul tabellino dei marcatori.
Portare costantemente il bollino dei predestinati è uno sport faticoso, Elena lo sa bene dal primo giorno in cui ha iniziato a giocare a futsal.
Ci sono momenti in cui pesa, altri in cui la trama del film si dipana davanti agli occhi come le migliori sceneggiature: come quella rete.
La prima di tante, glielo auguriamo.
Segnate il nome, ha il destino nelle sue mani. Anzi, totalmente nei suoi piedi.
Elena, la timida Elena, il 19 marzo 2024 ha iniziato la sua avventura tra i grandi.
M. O.