Softball

Tough Loss

Tough Loss

“Mezz’ora alla partita delle Atom’s”.
Non c’è bisogno d’aggiungere altro e tutti sospendono i loro impegni, le risate si affievoliscono e si entra in modalità partita, come se doveste voi scendere in campo.
Per una ragione difficile da spiegare, v’importa davvero.
Sarà forse quello specchiarsi in uno sport semisconosciuto, sarà il condividere sacrifici e ambizioni di chi pratica uno sport per passione.
Il non breve tragitto in macchina si colma della stessa atmosfera pre-gara che riempie il bus che vi porta agli incontri in trasferta, c’è quel silenzio nervoso, quelle frasi brevi.
Una volta scesi, percorrete con passo veloce il tragitto che vi separa dal campo, da un angolo magico, quello che vi conduce in un piccolo mondo strano, quello del softball e delle Atom’s.
Quasi fosse diventato un rito, raggiungete i vostri posti, lungo la linea di sinistra del diamante.
Leggermente il ritardo, guardi verso il tabellone, 2-0.
Nervosamente cerchi i visi delle ragazze sul campo da gioco, non c’è Sara dietro al piatto di casa base.
Le basi sono piene e Marzia sul monte di lancio sembra lontana, decine di chilometri.
Fatica a trovare la zona di strike, le basi ball si accumulano, il punteggio sale e lei sembra sempre più lontana. Scatti qualche foto e poi torni a sedere, questa è una partita difficile da raccontare per te che non sei un fotografo, quindi prendi il tuo blocco di appunti e cerchi gli sguardi.
Sul monte di lancio sembra sola Marzia, con quello sguardo di chi si è cacciata in un pozzo e non riesce ora a scalarne le pareti, ci prova eppure continua a scivolare, più si affanna e più sprofonda in basso. Deve provare, non farlo sarebbe tradire le sue compagne di squadra.
C’è quel momento di solitudine assoluta che le leggi negli occhi, che senti in quel silenzio assordante che riempie l’attimo prima che la palla lasci la sua mano. Le grida d’incitamento delle compagne, arrivano confuse, si mescolano ai pensieri e poi svaniscono, spinte via dalla fatica e da quello sconforto sportivo che sembra ti stia soffocando.
È tutto negli occhi.
Siete venuti per la partita, ma anche un po’ perché in fondo, sono delle belle donnine.
Quando gli errori diventato punti e il divario sul tabellone diventa incolmabile la loro sofferenza sul campo diventa la vostra. Vi guardate negli occhi come per scambiarvi un cenno d’assenso.
Sapete meglio di loro come ci si sente in quei momenti, quando scoramento e fatica prendono il sopravvento, quando uno per volta si cede, come pezzi di un domino.
Il rispetto sportivo si guadagna nella sconfitta, quando battuti ma non vinti si continua a lottare, per dimostrare a noi stessi più che agli altri, di poter vincere ancora, anche un solo punto, una sola valida, uno strike out.
Quando una palla alta verso l’esterno destro porta l’errore di Fabrizia scritto sopra, capisci che non è giornata, che quando qualcosa va storto, di solito non può che peggiorare.
La osservi poi arrivare per il suo turno in battuta. Ha sempre quell’aria infastidita, di chi sta per battere un double solo per irritare il lanciatore, eppure ha un talento che riluce anche quando non parla e non gioca Gli splende negli occhi.
L’intervallo porta le lacrime di Sara.
Non ce la fai e l’abbracci, come era accaduto solo qualche domenica fa. Sei cresciuto con l’idea che “le donne non si devono far piangere… mai”. Ci credi ancora adesso, profondamente. Le cose che credevi quando eri bambino le porti ancora nel cuore, un po’ come Babbo Natale, la torta di compleanno con i bignè al cioccolato, l’invicibilità di le Roi Michel.
Le lacrime delle donne che fanno sport hanno lo stesso sapore di sale, ma sono tinte di fatica e dolore, di un corpo piegato ad uno sport per amore e passione. Come si fa a non commuoversi, come si fa a rimanere impassibili a non ammettere che non fai solo il tifo per loro, le ammiri e vuoi loro bene, come si fa con le sorelle più piccole, come si dovrebbe fare con tutte le donne.
Tutte, tranne Chiara.
Perché?
Lei è così, ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa se lo volesse, potrebbe perfino imparare a usare l’italiano senza che le sue frasi suonino come un insulto, potrebbe perfino imparare a ballare latino americano anche con il fisico da atleta che ha coltivato e scolpito.
Le manca la pazienza, ma vorresti abbracciarla anche oggi mentre la guardi andare in battuta.
Sai quanto soffra a non essere la migliore, ma non semplicemente della squadra, ma la migliore di sempre.
La sua incapacità a gestire la sconfitta la conosci bene, l’hai respirata da piccolo e non hai smesso di considerarla una seconda natura.
Hai imparato però che ci sarà sempre una prossima stagione, una prossima partita, un prossimo turno in battuta.
L’occasione per reinventarsi, per perdonarsi, per trasformare le lacrime di sconforto, in quelle di gioia.
Tornerete per la prossima partita.
Sarete lì, qualsiasi cosa accada, per voi, semplicemente.

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