Storie

When Saturday Comes

C’è quella pioggerellina di un ottobre appena iniziato, il cielo è grigio come un calzino bianco lavato male.
Il sole arriva a strisce e fatica a passare il limite di una porta di un palazzetto a due passi da casa.
Uno di quelli veri, questa volta.
Federica è in campo.
Una partita lenta, come questo pomeriggio, da trascorrere facendosi raggiungere dai ricordi senza lasciarsi mai superare.
Una folata di freddo vero, si fa strada e spalanca l’ingresso alle gradinate e s’infila maligno tra il cappuccio della felpa e il collo.
Guardo fuori, l’asfalto umido di pioggia e in un angolo dei miei ricordi vedo l’uscita di Highbury Hill, il pub biancorosso e la pinta prepartita, le gettate di cemento di uno stadio nel cuore di Londra.
“When Saturday Comes”, quando arriva il sabato, non puoi che essere qui, dove con il pallone rotolano le tue emozioni.
Rientrano le squadre per il secondo tempo e Federica cerca di indurre l’arbitro ad usare il pallone migliore. Sembra però che stia sistemano la sfera, un po’ come quelle massaie compulsive con la fissa per sistemare tutto subito.
Rigore.
La ricorsa e la decisione di piazzare la palla.
Il portiere immobile.
Il tiro secco e forte, senza nemmeno provare a spiazzarlo.
Ora ne mancano ventisei.
Il tabellone di fogli di carta non si muove, rimane bloccato sullo zero a zero. I gol si aggiungono il punteggio si fa più rotondo ma nulla, quei numeri sembrano incollati.
Fischio finale.
Federica, quella in campo senza casco e spalliera, sorride.
Finalmente.
Mi ritrovo in compagnia dello stesso pensiero mentre l’ascolto parlare. Dove saresti a giocare ora se avessi creduto al tuo talento? Spesso non è la misura del talento a fare la differenza nella vita di un atleta ma la forza di credere in quella vocina interiore che ti ripete: “puoi farlo, puoi essere la migliore”.
Questa mia stagione di futsal è come un puzzle le cui tessere sono state messe via, in posti lontani.
Un campo senza bar è un luogo triste, così ritrovo il PalaRoma per la prima stagionale dell’Acqua e Sapone con un buco nero in mezzo al mio puzzle, eppure quello più grande è sulla panchina della squadra di casa.
Niente sediolina durante i time-out, niente brizzolati con i ricci sempre fuori posto, niente giacca e cravatta. Niente Samu, nel post partita a scorrazzare in campo e a provare a dribblare la sua mamma.
Sono in Belgio, a due passi da una Scuola Europea, nei posti che mi hanno visto diventare “grande” senza diventarlo mai. Forse è vero che le vite fanno strani giri e poi ritornano.
Dimenticavo, la partita finisce 1 a 1.
Sugli spalti Riccardo con un bel ricamo RM sulla maglia, mi sembra una giusta punizione, peggiore del triplo trasloco o di commentare in piedi una partita di serie a maschile.
Ristorante.
Arriva il pezzo di Benedetta, credo di leggerlo ad alta voce solo a Federica e invece mi trovo con gli occhi della sala puntati addosso e va bene anche così, le “cose belle” esistono per essere condivise.
Il sabato diventa domenica. Arriva la Ternana al PalaRigopiano, per affrontare il Pescara.
Stesso palcoscenico di sabato eppure questa volta sembra vestito a festa.
L’azione in campo prende una velocità degna della categoria, la curiosità di vedere le rossoverdi all’opera si mescola alla sorpresa di una squadra di casa che tiene il campo con una partita fatta di corsa, lampi di classe e sudore.
Pamela e Claudia.
I giocatori, quelli forti almeno, hanno queste espressioni che ci puoi leggere la partita dentro senza guardare mai il campo.
Esattamente come Maite, la puoi vedere recuperare con uno scatto in difesa, passare la palla al portiere e poi chiamare un lancio lungo sulla fascia che va a raccogliere per concludere in diagonale verso la porta avversaria.
Sulla panchina del Pescara siede questo brasiliano, sempre con il sorriso.
“Segundo è proprio bravo”, non ricordo quante volte ho sentito questa frase, la prima volta aveva l’accento di Roma, zona Monte Mario.
La sua abilità di passare dal portoghese all’italiano mi fa perdere metà del divertimento di sentirlo incitare o scuotere le sue giocatrici.
I toni sono anche duri ma in qualche modo riesce a non far sentire la giocatrice l’unica responsabile di un momentaneo fallimento sportivo. Arriva fino agli spalti quell’idea che “siamo tutti insieme in questa avventura”, che da giocatore ti fa sentire anche al sicuro, che le parole che arrivano dalla panchina non sono dirette a te donna, ma a te atleta e agonista.
Il numero 12 biancazzurro indossa la fascia di capitano e a 39 anni fa il suo esordio in casa con una casacca diversa da quella indossata per una vita sportiva.
Non avrà i piedi educatissimi, ma la consapevolezza dei suoi mezzi e quella corsa continua, quel moto instancabile la fanno sembrare una ragazzina di 23, oppure semplicemente in campo ci sono giocatrici che si muovono come donne un po’ avanti con l’età.
Mariangela
I suoi sorrisi a fine partita.
“Non possiamo che giocare sempre così”.
Quella serenità e felicità contagiosa che ti resta incollata sulla pelle e s’appiccica anche al cuore.
La più grande scoperta di questa stagione è Pamela.
Pensate di trovarvi a conversare con Jaap Stam e scoprire che è simpatico, non solo, è proprio divertente.
Ecco i racconti da giocatore e allenatore, gli intermezzi con Claudia, sono come trovare un biglietto da 100 euro per terra in una stazione affollata. Guardi in terra e non ci credi che nessuno l’abbia notata quella banconota.
La notte corre e ci ritroviamo ad aspettare due pezzi del puzzle, di quelli che lasciano un vuoto proprio nel mezzo.
Ora giocano lontano.
Non t’accorgi quanto ti mancano quei sorrisi e quelle voci fino a quando non tornano a casa.
La stagione dei bus e le luci di una città che fatica ad addormentarsi sono cariche di ricordi, ma questo è il
loro tempo.
Ersilia e Antonia.
I racconti arrivano tutti insieme, come un fiume in piena, convulsi e impazziti. Sono i suoni delle voci, i momenti che poi non si dimenticano mai. Sarà che la notte aiuta a concentrarsi su quello che si ascolta e meno sulle immagini.
Era un po’ che non chiudevo un locale e per giunta  senza bere praticamente.
Il mattino arriva troppo in fretta per me, guardo verso il cielo e ho l’impressione netta che le nuvole sono finalmente tornate a casa, almeno per oggi i puzzle sono quasi tutti al loro posto.
No, Federica, mi vergogno a mettere online i disegnini che faccio quando prendo gli appunti per questo diario.

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