Storie

Diario di Coppa – Prima la Polizia

Esordio in copertina per Francesca Fincato. Grazie.
Se volete ascoltare, cliccate play. Se preferite la lettura. Ci ritroviamo nel finale.

 

Tonfo, urla, voci animate. “Chiamo la Polizia?”
“Non mi sono accorta di nulla”. Nemmeno del terremoto che ha quasi raso al suolo L’Aquila.
Allora come oggi. Porte che sbattono, voci indistinte.

Oggi è giorno di partite, quelle vere. Non c’è ritorno, non c’è seconda possibilità. La Lazio che si scalda è uno spettacolo nello spettacolo. Ho l’impressione d’assistere ad una prova di nuovo sincronizzato. No, non quello di Aldo Giovanni e Giacomo in “Tre uomini e una Gamba”.

Mi colpiscono gli sguardi dei raccattapalle, un misto d’attenzione e speranza. Ragazze della Virtus Romagna, credo. Maite fischia per chiamare il pallone, meglio del Trap perché non usa le mani. Meno abile di quelli che all’alpeggio, richiamano così l’attenzione del gregge.

Il raccattapalle che saluta le formazioni annunciate dallo speaker, con le braccia al cielo ad ogni nome, palesati. Sei la parte migliore dello spettacolo pre partita.

Le avanzate palla al piede, in contropiede di Pamela Presto, m’affascinano. Le ripartenze, come le chiamano quelli che sanno scrivere di sport, sono un incedere sospeso a metà tra le cavalcate di Tino Asprilla e l’impressione che lei stia per cadere.
Sfiora il gol, se la palla fosse entrata, leggereste ora: “il futsal non ha più nulla di sorprendente da mostrarmi”.
Azione successiva, gol di Vanessa, due volte.
Maria Fontana, in giallo, tra i pali. Dal vivo, non la vedevo giocare da un po’, mea culpa.
Tiri da fuori, verso la porta delle toscane, come se piovessero palloni e non polpette.
Può accadere che giocare anche a calcio a 11, aiuti almeno nell’attitudine mentale? Per tirare dalla distanza, spesso.
Vanessa è in una forma strepitosa, dribbling secco. Fallo, l’arbitro sventola il secondo cartellino giallo. Doccia. Espulsa Presto.
Spero di non dover buttare il pezzo che avevo scritto già.

Pezzi di “screen”. Non capisco cosa mi amareggia di più, nel leggere certe conversazioni.
Provo ad elencarli in ordine sparso:
– Gli effetti collaterali della legge Basaglia
– La violenza quotidiana alla lingua italiana
– L’indiscriminato accesso al web
– Il remoto sospetto che l’eugenetica non fosse una cattiva idea. No, forse questa no.
All’improvviso un genio, basta screen.

Musica nel palazzetto, sparata a livello: tutto esaurito in ogni ordine di posti. Apprezzo però la playlist, decisamente migliore di quella che solitamente mi tocca ascoltare in giro per l’Italia. Hey Mister, Airplanes, Underdogs. Quasi una frase, bravo DJ.

Trovo i “polionda” destinati ai vincitori della manifestazione. Federica ne ha a casa uno. Mi pare di ricordare dell’ultima Final Eight disputata a Pescara. Ma se li trafugassi per poi chiedere un riscatto? Così per spezzare la routine.

Trasmettitori che si spengono, pantaloncini lavati male o forse lavati troppo. Haribo trafugate dal Segretario, non quello che fa l’autista, quello vero.
Salotti buoni ma con poltrone rotte, forse perché troppo consumate.
In campo c’è chi ha Renata, chi Renato Portaluppi. Bomber di militanza, in una squadra cara a Nicola.
La numero 99 con indosso i colori del Real, non “rial” speaker”, come il Madrid. Oggi Renata Adamatti però, sembra essere uscita da uno di quei lunghissimi tornei master di Snooker. Quelli che Eurosport trasmette a nastro. La bianca sulla rossa, buca d’angolo. Sinistro, finta, palla nell’angolo, dove il portiere non può arrivare. Così, sembra quasi semplice.

Numeri 5.
Finisce che non scelgo e basta. Perché non si chiede a chi vuoi più bene. Non si fa nemmeno con i bimbi.
Fuori è buio. C’era il sole, sembrano passati solo pochi istanti.
La palla calciata ha un suono diverso, più sordo. Forse pesa davvero di più.
Quaranta secondi. Ortega.
Palo, 7 Rosso. Sembra quasi di stare al casinò, però senza il casino della gente.
Inizia la danza. Non un balletto, piuttosto qualcosa di doloroso e faticoso, come la Danza del Fan.
La brutale marcia con la quale termina la prima settimana di selezione per lo Special Air Service.

Un giocatore convinto dei propri mezzi, piega forse inconsciamente, il corpo in avanti. Verso qualcosa, non per ripararsi da qualcosa.
Due e poi tre. I gol.
Qualcuno scappa via, in fuga. C’è ancora tanta strada davanti ma lo strappo è brutale.
Rigore.
Uno scaldabagno dritto per dritto. Uno di quelli che se ti trovi sulla traiettoria rischi di finire sfigurato.
Secondo tempo.
Cinque.
Esci dalla partita, provi a rientrare. La porta però è chiusa, irrimediabilmente.
Forse non sei nemmeno entrata.
Un risultato però che si può leggere oltre il mero valore numerico. Rappresenta la cifra di una distanza. Quella da percorrere per arrivare in cima e poi oltre.
Numeri impietosi , sei e zero, che restano sul tabellone, anche quando pensi di non meritarli.

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