Storie

Diario di Coppa – Ci sono tutti

C’è che non il pass, chi l’ha perso. Ci sono tutti. C’è da ritirare un premio, consegnare un premio.
Semifinali femminili a seguire, la finale maschile.
Nota a margine: giochi di luce, funzionano meglio al buio.
Bravo speaker. Real. Hala Madrid y nada más.
Abbiamo l’amuchina ma sono scomparsi i pallet d’acqua. Deserto disinfettato.

Il conciliabolo a centrocampo, prima del fischio. Sullo scacchiere di muovono le pedine. Vanessa s’aggira come quegli squali in cerca di una preda. L’occasione adatta. Divide lo spazio di questa gara con Renata, anche lei alla ricerca di uno spunto, del colpo per cambiare corso alla partita.
Il campo sembra più grande ora. Le porte invece, più piccole. Marika e Valentina, tra i pali sarebbero tornati utili anche ieri sera.
“Vanessa, quando conta, trova un modo. Trova un gol”.  Non parole mie, di Cely Gayardo.

Dal suo piede, due gol. Grieco poi e siamo a tre. 4.40 al termine.
Abbiamo la prima finalista.
Puntuale all’appuntamento. Il biancoceleste, riparte da dove s’erano fermate. Da una finale.
Come davanti ad un puzzle, quando hai smarrito alcuni pezzi. Non trovi una soluzione. Ti prende quello sconforto che sembra impossibile da arginare.
Quattro gol. Scavano un solco. Un Rubicone emotivo che puoi oltrepassare ma non valicare.
Renata, dal suo piede, l’unico gol. Nove minuti sul cronometro che non posso bastare. La Lazio ruota le sue seconde linee e sente d’avere il biglietto della finale, stampato in tasca.
Portiere di movimento.
Power Play.
Vanessa ruba, di rabbia e d’orgoglio. Sposta il peso del corpo e colpisce.
Cinque a uno. Finita, 3.15 sul tabellone.
Lazio finalista. Appuntamento a Lunedì. Come i parrucchieri, no quelli sono gli unici che non lavorano.

Resta solo un posto. Ciao Debora.
Fischio, il tempo inizia a dilatarsi anche se scorre inesorabile sul cronometro. Questa è una di quelle partite che vivo con il timore che distogliere lo sguardo dal campo, per scrivere, possa significare che perdo qualcosa.
Belli, con uno di quei diagonali che sembrano ruzzolare inevitabilmente in rete.
Vantaggio esterno. Come nel tennis.

Pareggio. Dal’Maz.
Imbucata di rapina. Palla sotto la traversa.
Le grandi squadre sono così. Approfittano di ogni errore.
Ludovica tenta di spegnere i led a bordocampo a pallonate.
Undici secondi, deviazione, calcio d’angolo.
Falconara velenoso. Come un passante incrociato, di rovescio a due mani.
Fischio, secondo tempo.
Aida da sola incita le compagne. Un fiume di parole, che scorre continuamente. Tanto risultare rumorosa come una intera panchina di softball. Ventiquattro giocatori.

Ti siedi in panchina, tormentata da quel gol sbagliato.
Si spengono i microfoni su più bello. C’est la vie.
Accade così anche nelle vicende di vita.
Ana. Non t’acquisterei mai nella “Volta League”. Forse però oggi, l’avrei fatto, al doppio del prezzo.
Rigore. Gol.
Non trova mai spazio nei miei pensieri, la questione dell’arbitro. Per ogni commento sull’arbitraggio esiste una sola risposta. Se fai decidere la partita dall’arbitro, vuol dire che stai giocando male.

Tre a uno. Dal’Maz. Sul portiere di movimento. La partita era già finita, solo che deve scorrere il tempo fino allo 00.00.
Cinquantadue secondi.
Il tempo in cui sperano solo i disperati.

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