Noi non perdiamo

Sarà il suono della lingua spagnola, sarà l’aver appena ascoltato dalla voce di Hernan Crespo un racconto su Diego Armando Maradona che non ci stava nemmeno a perdere a calcio tennis, che voleva ammazzare sportivamente quei due nani maledetti di Messi e Tevez, che avevano osato batterlo.
“Noi domani non perdiamo”, stesso accento, stessa determinazione.
“Noi domani non perdiamo”, anche se incalzata “ma se domani…”
“Noi non perdiamo”.
Un minuto, tanto basta.
Partita finita.
Dall’altra parte del campo, sulle tribune colorate di rossoverde aspettano la fine del primo tempo per ripiegare gli striscioni e informarsi sul tempo atmosferico che troveranno sulla strada del ritorno.
Il tabellone segna 2-0.
Potrebbero essere 6 o 8, pesano per come sono maturati come fossero davvero sei o otto.
“Palla a Amparo e c’abbracciamo”.
L’avevo già vista giocare e dominare, mai l’avevo vista dominare giocando.
Ti indica dove provare a saltarla e ti porta via il pallone, ti indica dove ti salterà e al massimo, se sei abbastanza veloce, la puoi stendere con un fallo.
Ricordo un giocatore, con quell’abilità di spaccare la partita, quando aveva voglia, con quella naturale arroganza sportiva che ti proviene solo dal talento, quello vero.
David Ginola.
Nei suoi primi due anni al Newcastle, nei quali i bianconeri sfiorarono il titolo, era lui, David ha decidere come e quando avrebbe salutato gli avversari per involarsi in rete. Badate bene, in quel Newcastle, al secondo anno giocava anche un certo Alan Shearer.
Amava la bella vita il francese, nonostante tutto sul campo, t’andava via come se aveva voglia di dimostrarti che il talento, quello non s’insegna, s’apprende sulla strada.
Lo hai o non lo hai.
Quando l’ho vista andare a terra in recupero, strappare la palla a una avversaria, rialzarsi ed accelerare verso la porta avversaria ho pensato che solo l’arbitro potesse porre fine a quella lezione di calcio, fischiando la fine dell’incontro.
Sirena.
Sipario.
Applausi.