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Diario di Coppa – Sono andato a vedere il maschile

Diario di Coppa

A Pesaro dev’esserci una scuola di parrucchieri maschili d’avanguardia. Oppure semplicemente non hanno in simpatia i giocatori futsal.
Provo a seguire i movimenti dei piedi di Borruto. Se li fissi troppo, ti perdi in un turbinio di colori e non li distingui più.
C’è più gente sugli spalti. Anche se fossero solo familiari e non rappresentazioni cartonate, di quelle che arrivano in un carrello della spesa.
La camicia dell’allenatore del Lido di Ostia resiste, integra. La giacca però, quella no. Finisce sulla panchina e l’orologio digitale del tabellone non ha cambiato ancora il nove che indica i minuti. Qualcuno conservi in salute Ciccio Angelini, anche afono.
Il Pesaro passa, anche in scioltezza. Alla fine Colini arriva sempre, come le feste comandate.

Mangiare a portare via, gente da portare via. Questa è una Final Eight “diversa”, inutile fingere la normalità. I giocatori da una parte, tutto il mondo dall’altra. Nel mezzo una barriera sanificatrice, indispensabile.
La Divisione Calcio a 5, editore di punta della manifestazione. Insomma una novità, ma non troppo. M’appoggio al davanzale di una finestra immaginaria per provare a comprendere filoni imprenditoriali e narrativi.
“Ciao bimba, si sono io quello che scrive male di Papà. Però, lo faccio bene. Per farmi perdonare da te, se vuoi, ti regalo una favola. Ma non t’assicuro che lui sappia raccontarla bene.”
Uno sport senza favole è come un arrosticino cotto in padella con il burro e la salvia.
Interessa a quelli che non l’hanno mai mangiato ma per non più di 4 minuti e 48 secondi.
Addetti ai lavori, lavori e addetti.
Ciao, Nicolò in foto sembri più grosso. Però non lasciare che la fotografa ti bullizzi.

Due ore d’attesa, prima della seconda semifinale.
Ho ancora davanti le seicento pagine del rapporto alla base dell’idea della “SuperLega”. Una intera generazione, quella dei 15-25 che non si interessa al calcio. Numeri impietosi e anche spaventosi. Se nessuno segue il calcio, chi dovrebbe seguire il futsal?
La pandemia è una tragedia. Ha provocato cambiamenti sociali che di solito richiedono generazioni. Nell’arco temporale breve, di due anni. “Adapt or Die”, dicono gli anglosassoni.
Mutazioni che sembrano incomprensibili sono a chi crede ad un ritorno al passato, al come era prima. Osservateli bene, osservatevi bene. Nulla sarà più come prima.

Le Final Eight sono quella parentesi, riempita di trash food. Si mangia per necessità, dalle confezioni sigillate di cibi che non riconosco a prima vista.
In campo c’è il marito di Daniela Ribeiro. Nostalgia canaglia. Per lei, non per lui.

Errore, gol.
Uno spunto di rabbia agonistica, gol. Pareggio.
Come in un pranzo da cerimonia i due posti in finale dovrebbero andare alle più belle del reame, il tabellone del maschile è stato costruito con questa speranza. Dovevate per avvertire anche la Feldi Eboli.
Questo è un tempo di vuoti, emozionali, esistenziali e fattuali.
C’è un portiere che gioca con il 3, tutta la stima del mondo.
Devo imparare il portoghese altrimenti mi perdo la totalità delle conversazioni in campo tra i giocatori.
Esplosione.
Di forza, di ritmo.
“Arbitro, s’è buttato”. “No, l’ha toccato”. “Allora s’è buttato dopo”. Logiche da semifinale.
Gui è capace d’imprimere alla gara un ritmo forsennato, da solo. A due minuti dalla fine, la Rai e la Divisione hanno la finale che avevano sognato. La programmazione è tutto, quasi.
Penso: “s’è fatta ‘na certa e mancano ancora 2.11, vuoi vedere…”.
Gol. 3-4. 1.30 al termine.
Futsal.
Gol. Pareggio. Mancano quindici secondi.
Forse, poteva servire, un portiere.
Rigori. Niente supplementari.
Programmazione e panchine in bilico. Precario equilibrio.
In porta la Feldi Eboli, manda il suo secondo portiere. Si muove come Grobbelaar, te lo ricordi Nicola vero?
Parato. Avanti di uno.
Si susseguono, tiri come sassate. Il portiere dell’Acqua e Sapone non riesce nemmeno ad avvicinarsi al pallone e allora dentro il “vecio” anche se è abruzzese, con il numero 89. Non è l’età, quasi. Colpo gobbo, tocca la palla in qualche modo. La sfera danza sulla linea e non entra. C’è ancora vita, speranza sportiva.

Sbaglia Gui, si proprio lui.
Eboli in finale. Pesaro che alza la Coppa.
Senza spirito critico, in questo futsal, le sconfitte sono più orfane che altrove. La critica, anche in uno sport dove la passione è un volano, diventa indispensabilmente necessaria. Analizzare i fatti, cercare ragioni, comprendere dinamiche. Per creare l’humus necessario a riempire gli spalti, ad aggregare passione. In ogni racconto che si rispetti, c’è un inizio, un momento di difficoltà, controversia e una fine. Non si può eliminare la difficoltà e la controversia senza che anche il racconto sportivo diventi soporifero.
C’è un adagio che ricorre spesso nello sport.
La vittoria ha sempre molti padri. E’ merito di tutti.
Nel futsal, un lettore distratto, potrebbe pensare che non perde, mai nessuno.

 

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