Serie A

Piccirillo: “Il futsal come unico grande amore. E tutto questo grazie a nonno Raffaele”

Piccirillo

Napoli, Verona, Formia, poi di nuovo Verona. Potrebbe aver già vissuto 10 vite la 2002 Daiana Piccirillo. E sembra davvero così. Matura, anche troppo per la sua età. Ma allo stesso tempo timida, perché è sempre di una 21enne che parliamo. “Non sono abituata a fare interviste”. E infatti parleremo soltanto. Un po’ di tutto, alla fine anche di futsal. Tante radici diverse tra loro e Daiana che è un po’ cittadina del mondo.
“È strano, perché a Verona – dove vivo da quando avevo 12 anni – mi sento “terrona” e a Napoli mi sento veneta. Sono abituata a girare tanto, anche se alla fine andiamo sempre alla ricerca del mare e ci torniamo tutte le volte che si può. Coltivare amicizie è stato un po’ difficile, ma fortunatamente ho tre fratelli. Sono loro i miei amici, non ho bisogno di altro”.

Con i primi due ci sono 17 mesi di differenza l’uno dall’altro, più tardi è arrivata anche la sorella. “L’ha vissuta solo un mese, ma anche lei è nata a Napoli, come tutti noi e come i miei genitori”, rivendica con orgoglio. “Non potrei desiderare rapporto migliore con ognuno di loro”. Nella famiglia Piccirillo ci sono anche tantissimi cugini (tutti maschi), un enorme giardino in cui giocare a futsal e poi c’era nonno Raffaele Manzoni – ex calciatore del Napoli – a fare un po’ da compagno di squadra, un po’ da mister e un po’ da selezionatore. “Questa passione viene per forza da lui. Mi vedeva toccare il pallone e mi voleva a tutti i costi con sé nel suo team. È stato il mio primo allenatore, il primo a credere in me e a capire quanto fosse importante il calcio per me”. Niente bambole, quelle le lasciava al fratello più grande che alla fine si è tuffato a capofitto nella musica. Per lei voleva solo il pallone. Quando non trovava nessuno con cui giocare, in porta mandava il fratello più piccolo, ora estremo difensore del Peschiera. Daiana l’ha inconsapevolmente indirizzato, anche se da grande vuole diventare medico.

“Io voglio diventare un sacco di cose – sorride – e sono molto testarda. Non mi fermo finché non raggiungo l’obiettivo. E il futsal è sempre il mio piano A”. Diventa piano B solo quando parla con papà, visto che Daiana gestisce già uno street food ben avviato a Verona. Il piano C prevede studi universitari e carriera da educatrice, perché va pazza per i bambini. Ma eravamo rimasti al giardino di nonno Raffaele: è qui che Daiana capisce che quello potrebbe essere il suo futuro, il suo amato piano A. “Io non cerco un ragazzo, il mio unico amore è il calcio”. Come attaccante, trova spazio nel calcio a 11 nell’Hellas Verona, nel Chievo, nel Napoli in Serie B e poi nel San Massimo a Vicenza, ma se in TV passa una partita di futsal Daiana si fa letteralmente rapire. Trick, giocate, numeri funambolici: Falcao è l’idolo degli idoli. E un po’ gli assomiglia nel suo essere costantemente innamorata del pallone. “Quando il mister ci dà la pausa per bere, io rimango a palleggiare in campo”.

E sui campi 40 x 20 esordisce a soli 12 anni con la maglia della Vis Fondi, nella sua parentesi di vita dalle parti di Formia. “Se ricordo quel giorno? Certo! Sono entrata a 2’ dalla fine e stavo per segnare, anche se alla fine ho preferito fare l’assist”. Perché è sì innamorata del pallone, ma anche estremamente intelligente. All’Audace Verona arriva l’anno successivo, quello delle famose due finali raggiunte contro la Kick Off. “L’amaro in bocca è rimasto per un bel po’, ma quanto ci è servito. Penso di non aver mai vissuto una stagione più importante di quella”. E non mente, tanto che rimane legata all’Under 19 anche quando l’età la esclude per regolamento. “A Leinì, per la Supercoppa, ero sugli spalti e riprendevo col cellulare tutto quel che accadeva: ho la galleria piena di quei momenti”. Ma i ricordi sono anche fisici. “Zandonà, Morosini e Romano mi hanno chiamata in campo per festeggiare, ma anche Pomposelli mi ha reso tanto partecipe: mi ha detto che se eravamo lì, era anche grazie a me”.

Altri traguardi l’aspettano e a mostrarglieli è il presidente Betteghella, che la promuove in prima squadra. “Sono contentissima di allenarmi con questo gruppo. So di avere ancora tanta strada da fare e lavorerò sodo, sperando che arrivi presto il mio momento. Il mio obiettivo è semplicemente crescere e sono felice di poterlo fare con queste ragazze al mio fianco: tutte mi supportano e mi sopportano – sorride -, da tutte posso imparare qualcosa. Per me è un onore essere a loro disposizione in campo o in panchina”.
I genitori sono sugli spalti tutte le volte che il lavoro lo permette. “Mia mamma è Benedetta De Angelis 2: due lauree, super colta, un dizionario in carne ed ossa, capace di spiegarti qualsiasi cosa. Papà viene da 4 generazioni di ristoratori: io lo aiuto nell’attività da quando finisco gli allenamenti, sino alle 4 del mattino. All’inizio non vedevano di buon occhio che io giocassi a calcio, ora sono i miei più grandi fan”. Dopo nonno Raffaele, puntualizza con un sorriso carico di nostalgia.
Mi chiedo da dove sia uscita fuori questa piccola donna dell’Audace. Mi chiedo dove trovi tutta questa saggezza alla sua età, come i suoi sogni possano essere così assurdamente lucidi. Poi mi ricordo che siamo qui per parlare anche di campionato, in senso stretto. Ma anche in questo caso se la cava alla grande. “Credo che il pareggio col Pelletterie sia stato giusto, ma dispiace perché il primo tempo è stato dalla nostra parte. La Lazio? Non sarà una partita facile, ma con la giusta mentalità possiamo fare grandi cose”. Nonno Raffaele sarebbe fiero di lei.

Foto: Federica Arca (Audace Wave)

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