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Ema

Sei così timido che ti vergognerai di ogni riga che stai per leggere, lo so. Sono una brutta persona, le ho scritte anche per quello. Forse no, non importa, questa è una storia che devo raccontare.
Un momento privato, di quelli che si condividono con pochi, una “roba” nostra che però voglio conservare per iscritto, per non dimenticarla.

La partita è appena finita, sto attraversando il campo, quando mi si fa incontro Emanuele.
Ha qualcosa in mano, due piccoli bicchieri di plastica.
“Non ti ho potuto abbracciare, brindiamo”.
Tiriamo giù quel dito di vodka, che ci riscalda la gola e il cuore.

Devo riavvolgere il nastro di questa storia, portare il calendario a molti mesi fa quando nel tentativo di fare lo spiritoso Ema mi scrisse un messaggio, di quelli suoi senza senso.
Arrivava in un momento buio della mia vita, come ne succedono tanti, nelle vite di tutti.
Per un attimo, preoccupato dal tumore di mio padre, ho dimenticato che stavo parlando con un ragazzo di soli sedici anni, ho risposto con tutta la ferocia di cui sono capace.
Per settimane è rimasto in silenzio.
“Scusa. Con quello che mi è successo, figurati se volevo…”
Non era più il ragazzo di sedici anni a scrivere, ma l’ometto di casa, costretto a crescere troppo in fretta.
Non mi ha mai parlato del suo papà ed io non ho mai chiesto, perché è giusto così, perché in famiglia si parla quando giunge il momento, né un attimo prima né un attimo dopo.
Leggevo i suoi messaggi a Federica, mi scriveva di videogames e delle sue passioni, delle cose da comprare, da rivendere. Poco di scuola e ancor meno di amici.
“Ma quando studia questo?” è la domanda che si spesso fatta Federica.
“Abita qui vicino, se vuoi vai a controllare”.
Lei è andata davvero, si è fatta aprire suonando furiosamente alla sua porta.
Emanuele ha una mamma meravigliosa, che lavora tantissimo per non fargli mancare nulla, lui s’approfitta di quando lei non c’è, un po’ troppo secondo Fede, così abbiamo chiesto ad Emilia se potevamo essere utili.
Federica gli chiede dei compiti, della scuola, gli ricorda di chiamare la madre quando fa tardi.
Io mi limito a essere il suo braccio armato, quello che gli rapisce la Playstation 4 quando i suoi risultati scolastici latitano.
Mi raccontava qualche tempo fa che avrebbe giocato Tight End.
“Se segno come posso esultare? …” e via così con una delle sue folli idee.
“Se ti capitasse mai di segnare, potresti alzare le braccia al cielo e salutare il tuo papà … sarebbe felice di vederti giocare”.
“Va bene …  però poi ti vengo ad abbracciare”.
Sono riuscito a scrivere solo “Ok”.
Domenica ha ricevuto un lancio per un buon guadagno, ero dall’altra parte del campo.
Abbiamo esultato come se fosse stato un Touchdown, le braccia levate al cielo e poi ho abbracciato Federica.
Al prossimo abbraccio Ema, alla prossima partita.
La playstation se non studi te la smonto comunque.

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