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Numeri Undici

Il mio contributo alla cronaca di Pescara Crabs versus Grizzlies Roma si limiterà al risultato: 36 a 6.
Ho trascorso la prima parte dell’incontro sulla sideline della squadra di casa e la seconda su quella degli ospiti, per raccontare alla “nostra” radio quello che accadeva in campo.
Federica è quella con le ambizioni da Tonino Carino, analizzerà meglio di me gli aspetti tecnici e tattici che hanno reso interessante una partita dal risultato così netto.
Quello che proverò invece a fare io e raccontarvi, la storia che ho trovato in questo campo alla periferia di Pescara e che non m’aspettavo davvero di trovare.
Ho un disprezzo personale e viscerale verso le metafore guerresche applicate allo sport, oggi, quanto una manciata di ore ci separa dalla mattanza terroristica di Parigi, le trovo ancora più disgustose.
Mi cospargo ora il capo di cenere se guardando i giovanissimi Grizzlies giocare ieri sera una frase mi è tornata alla mente.
La mia colpa per questa frase è nel mio retaggio culturale, un papà e una sorella che hanno servito in guerra l’Italia.
Nel deserto nordafricano si erge un mausoleo, l’iscrizione recita “Mancò la fortuna non il coraggio”.
Ai ragazzi in blu e arancio è mancata la fortuna, non il coraggio e un pizzico d’esperienza.
La mia storia per una coincidenza meravigliosa ha in comune con altre storie della mia vita un numero, l’undici.
Uno e Uno, il numero di Ilaria e Federica, il numero di Larry Fitzgerald, di Julius Eldmann. Il numero che indossa il quarterback della squadra romana.
Lo vedo guidare la squadra con il piglio del veterano, del giocatore vero, scorro il roster cercando la sua data di nascita: 05/03/1999. L’ho letta due volte, per essere sicuro.
Composto, preciso e veloce.
Non si scoraggia facilmente questo ragazzino di sedici anni, l’intercetto non gli toglie serenità, guida la squadra e ci crede, ad ogni step, ad ogni giocata.
Quando il suo attacco non riesce a muovere la palla esce dal campo e si volta subito a cercare i compagni che sono ancora sul terreno di gioco.
Si toglie il casco, Federica si volta verso di me, incurante della diretta radio esclama “Ma è un bambino…”.
Eccolo lì, il mio personalissimo MVP.
La faccia pulita del bravo ragazzo, con quella spruzzata di acne che lo rende ancora più giovane della sua età anagrafica.
Da questa partita porto via le sue uscite in bootleg, la capacità di riallinearsi in posizione di lancio e il coraggio di cercare la migliore giocata per la squadra. Quando il suo allenatore lo chiama a se perché lanciando sul “back foot” ha rischiato l’intercetto gli suggerisce con il suo accento americano: “se non trovi il ricevitore libero vai in scramble”.
La palla parte, lui arretra per lanciare, non trova l’uomo libero e scatta, sul lato lungo del campo, una corsa per un primo down, lasciandosi alle spalle il miglior giocatore dei Pescara Crabs. Esce dal campo per fermare il cronometro, siamo dentro i due minuti finali e la sua squadra non ha più timeout.
Lo guardiamo io e Fede come si fa con i fratellini minori che ti sorprendono con qualcosa di straordinario, come se avessimo trovato un regalo.
Quando il suo allenatore al termine di una giocata lo rassicura e l’abbraccia baciandogli il casco per me il resto della partita scivola via ai margini.

Ciao Vittorio, ciao ragazzi in blu e arancio, sono Federica.
Quando sono impegnata ad occuparti di radio/foto/video/recap mi rammarico di non poter fare quello che adoro di più: godermi la partita. Personalmente mi perdo nelle giocate, nelle riflessioni sui giocatori, soprattutto quando sono coinvolte persone che conosco e con le quali abitualmente mi alleno, alterno momenti in cui sono molto loquace a lunghi silenzi di attesa che coincidono solitamente, con le giocate più importanti. Ecco questo era il mio modo per scusarmi se le mie cronache sono un disastro. Devo fare lo sforzo di non lasciarmi coinvolgere troppo dalla partita, per poter realizzare al meglio quello che ho da fare. Scusatemi se mi sono persa anche questa domenica.
Su quel campo ho avuto la fortuna di vedere tanto, cose belle e cosa davvero meno belle ma, quegli ultimi due minuti, la loro intensità, la loro bellezza sono riusciti a riportare tutto al giusto posto.
È stata una sorpresa grandissima, scoprire che sotto il casco di quel QB con il numero 11 sulla maglia si celava il volto di un ragazzino.
Lo vedevo muoversi con così tanta grinta e decisione che ai miei occhi, lui sembrava un gigante.
Quando vedo uscire l’attacco dei Grizzlies e il ragazzo si sfila il casco: “Mio Dio non è possibile che sia così piccolo”.
Mi ricordava un po’ Raoul, che da due anni si allena con noi delle Lobsters perché troppo giovane per giocare con la under 19, con quell’espressione da ragazzo a metà tra la sua fanciullezza e il suo desiderio di essere grande.
In campo per me però, era un gigante.
L’esperienza dei Crabs, domenica, ha fatto la differenza, ma l’attitudine di Vittorio e di tanti altri suoi compagni di squadra mi hanno permesso di guardare più avanti del mio naso, quindi molto più in là.
Farete grandi cose.

Grazie Vittorio e grazie ai tuoi compagni di squadra per quegli ultimi due minuti da squadra vera. Insieme ai vostri avversari ci avete regalato dei momenti intensissimi, cancellando in un solo colpo quel nervosismo insensato che vi ha agitato la mente ed il cuore per tutta la partita.
Grazie per l’emozione, per il coraggio, per il talento e per il sorriso a fine partita.
Avremmo voluto abbracciare tutti a fine partita.
Federica, ho una idea, chiediamo a Vittorio di firmarci la sua maglia da gioco?
P.S.
Vittorio, nell’eventualità la squadra ti addebiti la maglia se ce la regali, possiamo sempre farne stampare una da Rossana e scambiarla con la tua, sai quella che hai usato veramente in partita è più preziosa.

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