di Enrica Scalella – 62 Pescara Lobsters
All’improvviso apro gli occhi.
La sveglia ancora non suona.
La moquette della stanza d’albergo rende tutto più silenzioso. Sulla finestra si sente ora solo il battere della pioggia, insistente.
Provo a spostare le coperte dal viso, come mai sembrano così pesanti?
Karen si alza dal suo letto senza dire niente, si avvicina al mio e si tuffa al mio fianco. Con una voce appena rauca e soffocata dal cuscino mi chiede “colazione?”
Stringo i pugni, mi stropiccio gli occhi. La sveglia suona. Ora mi devo proprio alzare.
Si scende, a una donna l’espressione “il prima possibile” non dovrebbe mai applicarsi.
Bisogna presentarsi al campo alle 09:30, questa volta forse dovrò fare un’eccezione.
Le altre sono già al tavolo sedute con avanti tazze fumanti.
Faccio un segno con la mano e senza proferir parola, mi dirigo verso la macchinetta con un solo obiettivo. “IL CAFFE’”.
Anche il solo profumo mi fa attivare i neuroni, mi avvicino poi al tavolo imbandito di leccornie per tutti i gusti.
Colazione americana, uova strapazzate e pancetta?
All’italiana, cornetto e fagottino?
Mi aspetta una lunga giornata, la tentazione è forte come i profumi che inebriano la stanza. Tra poche ore dovrò essere in campo, allora preferisco delle sconsolate fette biscottate con della marmellata e un po’ di frutta. Che tristezza! Mi sembra di deludere il cuoco che da chissà che ora è sveglio a preparare tutte quelle bontà. Un ultimo morso alla fetta biscottata e torno in stanza per prendere i bagagli.
Tutto pronto, carichiamo i borsoni sul pullmino rosso, quello preso in prestito da una parrocchia e via!
La città sonnecchia e sembrano tutte un po’ tutte uguali, con le persiane abbassate, pochi passanti e quest’aria uggiosa che livella tutto su una strana tonalità di grigio. Gli occhi sono troppo pesanti, fatico a mantenerli aperti. Mi lascio andare. Mi sveglieranno quando saremo lì.
All’arrivo ci guardiamo intorno: campo in terra, poi guardiamo tutte verso il cielo, la pioggia continua a picchiarci sul viso.
Cerchiamo l’ingresso degli spogliatoi, eccola li, la solita porticina.
Entriamo, così tante giocatrici in uno spogliatoio ci sembra surreale, solitamente a noi basta un colpo d’occhio per contarci. Ognuna a modo suo da il suo benvenuto alle quattro ragazze che si sono fatte tanti chilometri per giocare. Tutte sorridenti, si parla del più e del meno: del passato, dei campionati, dei coach. Gossip e news per il prossimo campionato, di divise più belle, in fondo siamo sempre ragazze.
Cerco un posto a sedere, sistemo il mio borsone e mi siedo.
Noto subito che quella che si respira non è quella del solito prepartita, pesante, tanto da toglierti il fiato, dove la concentrazione non lascia spazio alle parole.
Oggi siamo qui per divertirci!
Ci assegnano i numeri per la partita, la maglia occupa posto sulle mie ginocchia e lo guardo per un po’, vedermi indosso una maglia diversa è una sensazione strana. Ci chiedono di scrivere il nostro nome sul casco, ci consegnano un po’ di nastro adesivo e un pennarello.
< domanda esistenziale , se scrivo il mio nome poi se mi chiamano mi giro? Forse è meglio scrivere “PALLINA”, vabbè non ci facciamo riconoscere, vada per “ENRICA”>
Saremo il Blue Team, come il colore delle nostre maglie, a comporlo giocatrici delle Neptunes Bologna, Elfe Firenze, Sirene Milano, Lobsters Pescara e Jungle Queens Varese.
Cinque squadre, tanti colori, tanti nomi, la nostra passione ad unirci.
Giocheremo contro il White Team, formato dalle giocatrici delle Fenici Ferrara e Red Rogues Sarzana.
Le urla e le risate e perfino i pensieri vengono interrotti da una voce profonda da dietro la porta: “abbiamo già 8 minuti di ritardo! Forza! Pronte, vestite e con il casco in testa tra due minuti tutte in campo!”
Arriviamo correndo, il campo sembra ancora calpestabile. I coach delle altre squadre si presentano e ci dividono in settori. Riscaldamento, “montiamo” alcuni schemi, proviamo tutto insieme ed è già ora di pranzo, il tempo è volato.
È strano e allo stesso tempo divertente giocare al fianco di giocatrici che di solito, sono le tue avversarie.
Ti rendi conto che indossare una divisa diversa non ci rende poi così differenti, siamo unite dagli stessi sacrifici, fatica e passione e oggi dallo stesso obiettivo: far spettacolo per ricordare Erika e raccogliere i fondi per vincere contro quella malattia spietata che l’ha allontanata dai suoi affetti ed ha infranto i suoi sogni troppo presto!
Torniamo nello spogliatoio, ci guardiamo eravamo zuppe dalla testa ai piedi, il freddo inizia a far sentire materialmente la sua presenza, in tutti quei posti in cui credevi non riuscisse ad arrivare. Non ci resta che ridere ed andare a mangiare.
Si sente qualche Neptunes che parla di Erika, con delicatezza, quasi sussurrando.
È ora, si deve tornare in campo. Ci si rinfila l’attrezzatura bagnata, è più pesante del solito, gli scarpini sono pieni di fango. Fuori il tempo non intende migliorare, non ci prova nemmeno.
Pioggia, ancora pioggia
Fango su fango.
Il campo è al limite, i passi si fanno pesanti , l’attrezzatura e il casco sono come macigni sulle spalle. Giochiamo, tutte sorridenti ci si incoraggia le une con le altre anche se a stento ricordi i nomi e tocca leggere quel pezzo di nastro sul casco che ormai è tutto sciolto dalla pioggia.
Primo huddle, Laura il qb ci guarda negli occhi e cerca di fare la chiamata il più veloce possibile, il fango si era trasformato in sabbie mobili, rischiavamo di sprofondare come in quei b-movie che vanno a tarda notte.
Corsa, pioggia, placcaggio, fango, gambe pesanti, occhi coperti dalla melma e poi blocchi, lanci, touchdown. Ancora pioggia, ancora fango … FUMBLE …
Gli occhi della giocatrice della squadra bianca s’illuminano, la palla davvero vicina ma il colore si confondeva la terra rivoltata dai tacchetti e dalla pioggia.
Dovevo tenerla lontana da lì. Sento un tonfo, mi volto, mi sbilancio, cado. IL cuore batte qualche colpo a vuoto. La palla era stata ricoperta.
Una ragazza è rannicchiata intorno alla palla, con il viso nel fango. Alza la testa, mi guarda.
Non distinguevo i suoi occhi. Era il qb.
Le chiedo se sta bene, lei con due dita sposta un po’ di melma dagli occhi e mi sorride. Perfetto, si ricomincia!
Mi giro pochi secondi verso gli spalti, tanta gente, tantissimi tifosi, riporto gli occhi verso il campo non si distinguono più i colori, (anche quei pochi fili d’erba verde sono stati coperti). I secondi scorrono, a bordo campo solo sorrisi, in campo donne che come sempre si battono al 100%.
Il fischio finale è un libera tutti, il permesso di respirare normalmente, è un sospiro di sollievo.
I sorrisi si trasformano in risate. Siamo tutte completamente marroni, non ci sono differenze tra vinte e vincitrici, ma solo una schiera di ragazze che, come ultimo schiaffo morale a chi dice che il football è uno sport in cui ci si sporca troppo e che non è fatto per le donne, mano nella mano corrono verso gli spalti. Poi nella grande tradizione di questo sport, ci lanciamo in avanti, i nostri corpi pesanti e stanchi nel fango. SPLASH.
Sento quasi il Pazzeschissimodi Karen.
Un finale perfetto!
Prima di andare via un saluto a Erika, vorrei non dover ringraziare la sua morte ma oggi eravamo li per lei, per non dimenticare per urlare al cielo che lei è qui.
Tutte sotto la doccia.
Solo una volta rientrata nello spogliatoio, mi accorgo che il qb aveva “parcheggiato” il borsone vicino al mio. La guardo e le dico “tu sei?”
Era appena uscita dalla doccia, quasi non la riconoscevo così pulita.
Mi faccio da parte, “ aspetta altrimenti ti ritrovi punto e a capo!”
Lei mi sorride e mi confida che non era mai arrivata a fine allenamento così sporca, tutte la prendono in giro da sempre per questo.
Lei è il qb.
Lei è l’intoccabile.
Da oggi può dire che anche lei ha sentito il sapore e l’odore del campo.
Continua a sorridere soddisfatta mentre io provo, con fatica, a tirar via quei calzettoni fradici e lerci, che da bianchi erano diventati marroni.
All’improvviso una voce sconvolta dalle docce si è sparsa veloce, come fossero tesserine di un domino. La notizia era gelida tanto quanto l’acqua che arrivava dalla caldaia in blocco.
La doccia dovevo farla, per forza. Donatello non mi avrebbe mai riportato a Pescara in quelle condizioni. Respiro profondo.
Trattengo il fiato.
Gelo!
Credo che si sia spento il cervello per un attimo.
Mi rivesto velocemente, non per il freddo ormai a quello ero diventata immune, ma perché come la precedente notizia, velocemente si era sparsa anche quella di un banchetto allestito poco distante da lì.
Le energie date dalle fette biscottate si erano esaurite al primo giro di campo.
Che giornata!
Un’esperienza fantastica, grazie alle Neptunes, grazie ai genitori di Erika, grazie a tutti gli organizzatori dell’evento, grazie a tutte le squadre partecipanti.
Porterò questa giornata nel cuore, è stato un piacere giocare al fianco di tante atlete e giocatrici fortissime, ora però il campionato è alle porte, ci salutiamo e non mi resta che dire, vinca il migliore!