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Chiedi chi era Paolo Canè

Avevo una racchetta da Tennis un po’ retrò poggiata tra l’angolo dell’armadio ed il muro della camera da letto, nascosta ed impolverata.

La ricordo benissimo, era in legno con le corde gialle, un fodero rosso apribile con la zip e mio padre sosteneva fosse di Adriano Panatta, un regalo che gli fece una volta che venne a fare una gara dimostrativa a Terni. Fu questo insignificante e poco attraente particolare che mi fece nascere la curiosità per una partita di Tennis.

Adriano Panatta non sapevo chi fosse se non dai racconti sommari di mio padre, non esisteva YouTube e non potevo di certo fare una ricerca veloce sul web, una sola cosa potevo fare, trovare una pallina da Tennis, scendere in cortile e giocare contro il muro, alla fine la racchetta era pur sempre uno strumento per divertirmi.

Così feci, i pomeriggi in cui non trovavo amici per giocare a pallone, impugnavo la mitica racchetta di Adriano Panatta e sfidavo il muro.
Del tennis non ne sapevo nulla, di Panatta ancor meno e tutto sommato non avevo il benché minimo interesse, se non quello ludico a capirne qualcosa di più.

canè

In uno dei tanti pomeriggi passati a cercare di vincere contro il muro, preso dalla noia decido di salire in casa. Mio padre è davanti alla tv, mia madre anche e mentre ripongo la racchetta nel suo nascondiglio, tra l’armadio ed il muro mio padre mi chiama.

Quello è Adriano Panatta, fisso la tv, sono stregato, no non da Adriano, seppur meriterebbe un inchino e tutta la mia riverenza, è troppo lontano però temporalmente. Sono stregato. C’è un uomo esile e con una capigliatura riccia, folta, vestito da tennista ma che sembra più una rock star, c’è uno stadio colmo, in ogni suo posto che con cadenza regolare intona il suo nome, c’è un telecronista con l’affanno che si mangia qualche parola poi sale con il tono della voce ed enfatizza tutto ciò che succede, poi a bordo campo, seduto su una sedia c’è Adriano Panatta che passa la sua mano aperta tra i capelli e li riporta sempre nella posizione di partenza.

Ladies & Gentlemen se qualche volta vi è capitato di rimanere folgorati al primo incontro, se avete sentito dentro di voi quella sensazione sfrenata di amore, trasporto e partecipazione, se in quegli anni ancora non eravate nati, ecco a voi Paolo Canè in una delle più belle imprese tricolori a cui io abbia mai assistito.

canè

Siamo a Cagliari e chissà le sorelle Guaime a quest’ora ora cosa stanno facendo!?
Ok ho appena appurato che almeno Manuela non stava guardando Canè!

Paolo Canè sta giocando contro Wilander, numero uno del mondo e lui la partita non la dovrebbe neanche giocare, è un doppista in Davis, sta sostituendo un suo compagno infortunatosi, ci sono poche speranze di passare il turno, anzi in realtà non ce ne sono, la Svezia è di un altro pianeta, Wilander di un’ altra galassia, Paolino invece ormai un ex talento, uno che poteva far tanto ed invece ha raccolto briciole, la terra rossa scotta e dagli spalti è una bolgia, mi siedo e mi gusto una delle più belle partite tricolori che la Coppa Davis abbia mai raccontato.

Paolo Canè, soprannominato Neuro-Canè da Gianni Clerici per la facilità con cui Paolo perde il senno durante i match, roba da far impallidire Fognini, è una di quelle rose che aspetti pian piano sboccino ed invece vengono rovinate proprio dalle tue aspettative.

canè

In un incontro di Davis una volta davanti ad Adriano Panatta (uno che ha vinto quello che Paolo potrebbe solo sognare) che lo consigliava, mise la racchetta nella mani di Adriano e gli disse:

“visto che sei cosi bravo gioca tu”

una volta uscendo dal tunnel del foro italico a Roma dopo una sconfitta distrusse tutte le fioriere a colpi di racchetta per poi finire con il delirio totale in Austria, un signore dagli spalti brinda a Champagne mentre lui sta perdendo con Muster, lui si gira lo insulta e poi lo colpisce con la racchetta rompendogli due falangi.

Quel giorno li invece, seduto sul divano io conobbi Turbo-rovescio Canè ed è bene che tutti lo ricordino per il grande talento piuttosto che soltanto per la follia, perché arriva un giorno nella vita in cui riesci a raschiare tutto quello che hai nel barile, a splendere nella tua totale immensità ed a dimostrare che solo tu hai deciso di lasciare per strada quel che in realtà poteva esser tuo per talento ed immensità.

Paolo Canè agli Ibi 1987

Nel #tennis prima dell'avversario devi battere te stesso, ma non sempre è facile: ne è un esempio Paolo Canè, che nel maggio del 1987 infiammò il Foro Italico.#stayFIT

Pubblicato da Federtennis su venerdì 29 dicembre 2017

Paolo ingaggia una lotta di nervi, di classe, di nazionalità e di lacrime, il centrale di Cagliari è una torcida, applaude, piange, strepita, soffia sulle palline e si stupisce ad ogni palla colpita, Federica saprà trovare i video su YouTube, le parole non possono che raccontarlo sommariamente, i colori sbiaditi sicuramente contribuiranno a farvi capire che lo sport immortale viene da altre epoche.
La coppa Davis è un po’ come i campionati del mondo di calcio, siamo 2-2 nel computo totale, questo match decide chi potrà accedere al turno successivo e questo è già abbastanza drammatico ma non è tutto, siamo sfavoriti, Paolo non gioca match di alto livello da tempo e per di più è un giocatore di doppio ormai, ma Paolo sa quel che poteva essere e non è stato, Paolo ha bisogno del calore della gente e del sapore dell’impresa, Paolo vince il primo set ma Wilander vince i due successivi, un film già visto.

Siamo ad un passo dal baratro ma Paolino reagisce e si porta 5-2, è fatta penso ed invece Wilander esce prepotente e si porta sul 5-5, Canè è sprofondato ed uscito dal campo, quando tutti sono pronti al funerale, Paolo infila due turbo-rovesci e fa suo il set con il punteggio di 7-5.

canè

Fuori cala il buio e Wilander si rifiuta di continuare a giocare con le luci artificiali.
Siamo 2 pari, è tutto rimandato al lunedì mattina, la gente davanti alla TV ha l’adrenalina a mille e lui invece deve vivere le sue ore di sonno e riposo con una spada di Damocle in testa, riuscirò a sbocciare o sarà ancora “potrei ma non voglio”?

Immaginate un ragazzo tormentato, anima libera e ribelle ad un passo da sconfiggere la sua parte peggiore e che invece viene sospeso nel limbo della vittoria o della sconfitta, rimandando l’agonia o l’alzata delle braccia al cielo al giorno dopo.

Neanche il tempo di dormire.

Si riparte, è la mattina seguente.

Non c’è tie-break in Davis, si va ad oltranza, Canè si porta subito 3-0, Wilander lo riaggancia sul 3-3, il pubblico sospira e sbuffa come un treno a vapore, mio padre fuma come una ciminiera e mio fratello dice che perdiamo perché la Svezia è la Svezia.

In ogni momento, in ogni partita, in ogni istante della vita si può cambiare il corso delle cose e su un dritto assassino dell’avversario, Paolo Canè decide di dimostrare a tutti ciò che Sarebbe potuto essere e che però quest’ oggi per una volta sarà!

Si alza da terra e si tuffa come un leone sul passante, lo incrocia e lo rimanda oltre la rete, il pubblico esulta ma Wilander ha un altro guizzo e risponde, Paolo quasi sulle ginocchia chiude ancora il punto, poi cade a terra, esausto, il pubblico che urla, lui macchiato nelle vesti da terra e sudore, si rialza dopo qualche istante, sembra Rambo uscito dalla giungla, la maglia ed i pantaloncini sporchi, il viso stravolto, i capelli indefiniti, si siede in panchina e piange con la testa tra le mani ma ancora non è terminata.

Tutto lo stadio

Paolo, Paolo, Paolo, Paolo, Paolo

mai avevo sentito un brivido del genere per una partita che non fosse di pallone, mai avevo pensato che la Sardegna potesse essere bollente anche a Febbraio, mai avrei pensato che mia madre potesse battere le mani da casa come rapita.

Canè è ad un passo, soffia sulle dita come a rinfrescarle, Panatta con le mani tese accanto alla sua testa gli indica di rimanere in campo con la concentrazione, Galeazzi urla, urla e basta, abbiamo due match point, Canè suona le corde della racchetta nell’attesa, incastrandoci i polpastrelli.
Panatta si rannicchia su se stesso mentre accavalla le gambe, Wilander bello come il sole serve la prima, Paolo che sembra uscito dalle sabbie mobili risponde, poi un primo smash, Wilander la ributta oltre la rete, poi un secondo Smash che muore in cielo, Paolo ce l’ha fatta.

Alza le braccia al cielo, sono due giorni che siamo tutti incollati alla tv, sono 20 anni che Canè deve diventare cigno, la favola almeno per un giorno è compiuta.

Panatta schizza come una molla dalla sedia, Nargiso salta sopra al compagno, Paolo è sommerso, si vede solo la chioma ribelle ed ogni tanto le ginocchia che cedono.

Qualcuno entra in campo lanciando flussi di Champagne, lo stadio è tutto in piedi, Italia,Italia, Italia, alcuni tifosi invadono il campo.

Qui proprio qui, in questo istante Paolo vince contro Neuro, il dottor Jekyll vince contro Hide, Canè sconfigge uno dei più grandi limiti della sua storia sportiva, reggendo ai propri nervi fino alla fine e la fine racconta di un Paolino che ha un collasso, forse non ci crede nemmeno lui, non ha battuto Matt Wilander ma se stesso, sorretto a braccia viene portato dal suo compagno Diego Nargiso sotto la tribuna.
Un giorno da Canè, un solo giorno a Cagliari, lui e tutta l’Italia, quella davanti alla tv e quella presente sul campo centrale a dirgli grazie.

canè

Se non sai che il fine settimana sulla rai si rimaneva incollati delle ore a vedere la Coppa Davis, se non conosci Neuro ma nemmeno Paolo, se non hai mai sentito Galeazzi andar fuori di senno, se non conosci come uno sportivo entrato nel dimenticatoio possa battere il numero uno al mondo e se non conosci la Sardegna a Febbraio chiedi chi era Paolo Canè.

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