Storie

Fernando

fernando

Incastrata in mezzo alla provincia italiana, c’è Terni. Le storie che passano di lì non son mai banali, mai semplici da raccontare. Tra le vie che faticose abbracciano la città c’è una casa, sul balcone vive uno scoiattolo. Maria l’accudisce amorevolmente, insieme ad Antonia lo coccola e lo vizia.
Ti distrai qualche istante e quell’esserino decide che la sua voglia di libertà è troppo grande e salta nel vuoto, il rumore sordo come quello di una busta piena che si rompe. L’espressione che Maria fa ancora oggi al ricordo di quel momento non può che strapparmi un sorriso. Lo so, sono una brutta persona.
C’è l’amicizia che si trascina su è giù per la penisola, che non conosce maglie, rivalità o trofei, che è fatta appunto di ricordi comuni, di momenti noti solo a voi.

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Maria indossa la maglia delle “Furie Rosse”, quando lo fa puoi ammirare un giocatore capace di fare la differenza con il suo talento in mezzo ad altro talento.
Facile saltare come birilli avversari che non hanno quel dono che s’è fermato sui tuoi piedi, semplice fare gol a chi non ha nel sangue quella abilità. Il campione, quello vero, spacca la partita quando conta, prende la squadra sulle spalle e mostra agli avversari la differenza tra l’avere talento e non averlo, con buona pace di Arrigo Sacchi e la sua idea di calcio.
Ieri ho visto per la prima volta, dal vivo Maria.
Avevo visto Maria Jimenez Lopez Del Amparo giocare altre volte, eppure l’effetto che fa dal vivo la prima volta che vedi giocare Maria è difficile da raccontare. Provo con un esempio. Mio padre segue il “credo” del compianto Avvocato Gianni Agnelli, che abbandonava alla fine del primo tempo le partite della Juventus, aveva già visto abbastanza. Ieri verso il finale di partita, Federica richiama la mia attenzione e indica in alto sugli spalti e leggendo il labiale “tuo padre è ancora qui”.
Cosa l’aveva tenuto incollato lì?
Scelgo a caso.
Il sombrero in corsa e l’appoggio alla compagna quando avrebbe potuto tirare in porta, perché dopo una doppietta personale puoi lasciare il palcoscenico alle tue compagne di squadra.
La “lavatrice” scaricata in porta su punizione.
I recuperi difensivi, la palla sradicata all’avversaria e l’immediata proiezione offensiva.
Raramente capita di poter spiegare il talento indicando semplicemente il campo, nella sua meravigliosa semplicità.

fernando

La Spagna, le squadre spagnole, il muro di talento contro il quale il nostro calcio nazionale si scontra da oltre un decennio. In campo c’è qualcuno che ha vestito la maglia della nazionale, quella azzurra in due discipline, simili eppure profondamente diverse.
Per alcuni mesi ho visto giocare Giulia Domenichetti e non è sempre stato un bello spettacolo. Accade spesso di provare e riprovare a fare qualcosa che in fondo abbiamo sempre fatto e di non riuscire, per quanto provi e riprovi. Manca sempre qualcosa. Sembra di affondare nelle sabbie mobili, più ti agiti e più vai a fondo. Cerchi appiglio altrove e invece dovresti cercarlo dentro di te. Ti guardi attorno e t’accorgi che c’è sempre in agguato quella parte oscura dell’animo umano che vuol vedere cadere, qualcuno che ha avuto successo.
Qualche settimana fa ho visto un suo video, di quando era una giocatrice della Torres.
Un recupero di settanta metri, scivolata e salvataggio sulla linea. La sua squadra ancora in corsa per un posto tra le grandi d’Europa. Non l’ho mai vista Giulia.
Montesilvano – Ternana
11.11 sul cronometro, palla nel mezzo dell’area avversaria, Domenichetti sbaglia uno stop e la palla diventa una ripartenza per le avversarie. Domenichetti dovrebbe ripartire in copertura, in qualche modo è invece Giulia a scattare rabbiosa in avanti e al limite della sua area rimonta l’avversaria, va al contrasto lo vince e permette alla sua difesa di piazzarsi.
Ieri Giulia è stata semplicemente Giulia, senza preoccuparsi di essere Domenichetti.
Ha vissuto il momento, all’interno di un’istante per ogni istante della partita.
Preferisco veder giocare Giulia che guardare Domenichetti in campo.

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Il mio pensiero ha frugato nei ricordi e s’è materializzata la faccia pulita di quel ragazzo di Fuenlabrada, Fernando, capace di realizzare 62 gol in 102 partite con la maglia del Liverpool.
Il Chelsea acquistò Fernando Josè Torres Sanz e con la maglia dei blues realizzò 20 gol in 110 partite.
Quando finalmente tornò a essere semplicemente Fernando, gonfiò la rete 14 volte in 49 partite.
Non era semplicemente tornato a casa con il corpo.
Forse ho una ossessione per i nomi, probabilmente perché li dimentico spesso.
Nello sport, nelle storie di sport, nel nome trovo le storie che spesso si perdono quando l’avvicini al cognome, o alla serie di cognomi.
Diego Armando Maradona, sarà per sempre Diego.
Michel Platini, sarà per sempre “Le Roi” Michel.
Raúl González Blanco, è Raùl.
Quello che siamo lo chiudiamo nel suono del nostro nome.
Oggi c’è il sole di una pigra domenica pomeriggio d’estate che si riflettono sui pini verdi in riva la mare. C’è l’odore forte della salsedine e la felicità fa il rumore di una palla che rimbalza, delle grida dei bambini e delle braccia alzate al cielo dopo un gol.
Potete tenervi la pioggia, l’inverno e le espressioni tristi e una realtà grigia, io vado da Tommaso, un anno e tre mesi di animazione incontrollata. Ho una storia bellissima da raccontargli.
Grazie a Pamela, Renata, Claudia, Maria Fontana, Ludovica e dimentico sicuramente qualcuno.
Senza di voi nulla di tutto questo sarebbe possibile.

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