Storie

Minho

È un dito alzato verso gli spalti.
È un sorriso.
È un abbraccio.
È imboccare quell’uscita dell’autostrada, di domenica pomeriggio con il sole alto in una giornata di primavera.
Entro in città, m’accorgo che il Vitória gioca in casa quando dalle strade vicine arriva un vociare indistinto.  Abbasso il finestrino per far entrare quel brusio, quelle voci di chi con la sciarpa a righe bianconere al collo, s’avvicina allo stadio. Non lo vedi subito l’Afonso Henriques sembra quasi annegato nella terra, eppure è lì a raccogliere le emozioni di una intera città.
C’è ancora tempo per il calcio d’inizio.
Percorro il lungo viale fino ad un segnale di divieto, la strada piega a destra e la città moderna s’incontra con la sua storia. M’addentro tra le viuzze strette e le strade fatte di sampietrini, il pavé è un ricordo di un’adolescenza lontana da casa e le mura bianche sono un pezzetto di ricordi incastrati tra i mattoni. Se mi guardo intorno oltre i tetti e tra gli spazi aperti di cielo, riconosco le colline verdi, gli ulivi e pezzi di memoria.
Case basse, il bianco e quelle piazze che s’aprono all’improvviso. Mancano i balconi e qualcuno stende ad asciugare al sole i panni appena lavati.
Mi perdo tra strade che non conosco e pezzi di cuore comuni a tutti, li trovo rossi stampati sui muri come se mi ricordassero che casa è dove porto questa mia pazza vita.
Potrebbe essere il paese dei miei nonni, quello del mio papà, probabilmente è quello del nonno e del papà di qualcuno.
Le imposte di legno, l’odore del cibo cucinato, gli anziani che borbottano contro i giovani e poi finisce che ti offrono da bere anche se non ti conoscono.
La strada a ritroso per scoprire se imboccare quella svolta ti porta in un luogo diverso, invece finisce che mi ritrovo dentro alla pancia dello stadio a guardare un prato “verde verde” che fa male agli occhi.
Non c’è il Borghetti e non ci sono i lupini e nemmeno i semi tostati.
La partita la guardo in piedi, come quando aspettavo il gol che portava il Pescara di Giovanni Galeone in Serie A, 1987.
Il boato che copre il rumore della rete, lo senti solo dal campo quel fruscio che fa quando il pallone la gonfia. C’è la sua voce che continua incredula a ripetere il tuo nome e la parola gol. Come quando i bimbi ricevano il regalo che aspettavano e vanno in giro da tutti a mostrarlo orgogliosi. Questo però è un regalo speciale, un pensiero felice di quelli che James Matthew Barrie usava per far volare Peter Pan.
Lei è così, capace di essere felice per te e con te, in egual misura.
Hai scagliato in porta un mucchio di lacrime che coprivano la tua felicità.
Lei continua a ripetere felice la stessa cantilena.
Per te, solo per te, tutta la felicità che sogni.
Grazie, per i ricordi.

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