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Redshirt S01E08

Dura solo un attimo, la gloria.
Il titolo di un libro, trovato per caso, passeggiando in libreria.
Sei un pessimo perdente, riesci anche a congratularti con gli avversari, eppure dentro di te non riesci mai a fartene una ragione. Le sconfitte saranno sempre quelle che ricordi meglio, che ti segnano il cuore e la mente, forse perché ti hanno reso più forte. Hai dovuto imparare a trovare delle vittorie anche dentro le sconfitte più dure, dentro quelle che non ti aspettavi, dentro quelle contro avversari più forti.
Hai imparato che se t’impegni al massimo non hai mai davvero perso, è semplicemente finito il tempo.
Quando vinci o perdi, hai sempre l’impressione che dentro di te cambi davvero poco, quello che invece muta è l’atteggiamento che gli altri hanno verso di te.
Vincere non è il prodotto di quello che accade sul campo, il risultato, quello su tabellone è un sottoprodotto di quello che accade durante la settimana che anticipa la partita.
Quello che conta, che conta davvero è il legame che si crea all’interno di una squadra. La capacità di giocare non per se stessi ma per i propri compagni, le vittorie poi arriveranno. Alla fine però quello che avrete ottenuto non sarà così importante rispetto a quello che avrete scoperto su voi stessi.
Tutti sono capaci a essere in testa a un gruppo che vince, essere i primi sulla linea quando è tutto facile. Chi è disposto a farlo ora, quando la strada inizia a salire, quando la scalata è così ripida che pensate di non farcela.
Qualcuno ti ha ricordato le parole di Arrigo Sacchi: “Il lunedì è più facile alzarsi quando si è vinto”.
Oggi è stato difficile andare a letto, ha vinto la stanchezza ma tu hai combattuto, per preparare i filmati per essere già pronto e lavorare più duramente, per metterci quell’extra necessario a vincere.
Avete vinto.
Y.
Nell’attimo in cui il pallone arrivava nella tua direzione, hai tirato su le mani e l’hai portato in endzone. Non hai ceduto un metro, agli avversari che ti bloccavano e quella linea che sembrava più lontana a ogni passo, a ogni avversario che si aggiungeva al tackle. Quel piloncino arancione, le tue braccia che si allungano e poi cadi sfinito.
Sedici anni e due giorni.
Le lacrime di Federica sotto gli occhiali da sole, i sorrisi e gli abbracci, fin lassù sugli spalti ti spingevano tutti, ma erano le tue gambe e il tuo cuore a farti percorrere quell’ultima yarda.
La corsa verso la sideline, il viso bianco, la tensione che si libera e finisce vomitata dietro alla panchina, scene da un film, quello della tua vita.
Tu guardavi l’arbitro, aspettavi alzasse le braccia al cielo, per essere sicuro, stringere il pugno in aria e tornare verso il centro del campo. Quando hai visto tornare quel ragazzo lo hai ringraziato con lo sguardo, vi aveva dato un’occasione, erano lontani solo una manciata di punti.
Qualcuno è in campo ma la sua testa è altrove, accade a tutti, spesso è molto difficile lasciare la vita lontana dal quel rettangolo verde.
Gli chiedi cosa non va e lui ti parla del gioco, sai benissimo cosa non va in campo, ma non era quella la domanda. Rimani immobile, in attesa della risposta. Il suo casco si abbassa e rimane immobile, chino a guardare il terreno di gioco e le scarpe sporche di sudore e fango.
C’è chi gioca debilitato, dalla febbre, chi con un braccio fuori uso, si battono tutti, non basta ma questo è il football ragazzi.
“Plain and Simple.”
Sei orgoglioso di tutti quelli che si battono oltre il loro talento, oltre il dolore per i colpi ricevuti, che lasciano tutto in campo, che si gettano contro l’ostacolo, incuranti del rischio.
Perché lo fanno?
Perché quando tutto finisce, quando l’arbitro fischia la fine, tutto quello che resta, sono i compagni con i quali si sono battuti, lo fanno per il fratello che si è battuto con loro, perché mollare sarebbe tradire quel patto non scritto che li rende una squadra.
Quando vi chiedono perché giocate a football, potreste rispondere:
“It’s about the man next to you”.

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