Calcio

Juventus – Roma

Ci sono mille partite che mi fanno soffrire, quel dolore fisico generato da una passione viscerale, di quelle che non puoi spiegare davvero fino in fondo. Tra quelle mille partite, una di queste è LA PARTITA.
Se non sei vissuto nella Capitale, forse davvero, non puoi comprendere. Ci provo ugualmente. Esistono due modi di convivere da tifoso a Roma. Amare la AS Roma oppure odiarla. Io, ho scelto la seconda. Non è stata una scelta difficile, non tanto per il mio essere tifoso della Vecchia Signora. Sono stati sufficienti, una ventina di minuti esposti ad un qualsiasi bar pieno di tifosi giallorossi o la continuativa esposizione alle radio private e tv private che popolano l’etere digitale all’interno del raccordo anulare e vi assicuro che anche voi non avreste scelta. Loro, hanno sempre una scusa, un complotto e un gol di Turone per rivendicare un ruolo nel calcio italiano che hanno avuto solo a tratti.
Questa partita, ora, inizia con un ricordo.
Mia sorella, Roma. L’alba del digitale terrestre, un mio coinquilino preoccupato che a lei, Barbara appunto, venisse un colpo. Già, nella sua parsimonia molto simile a quella di Scrooge, aveva osato caricare la carta dell’allora Mediaset Premium, per pagare e vedere uno Juventus – Roma. Completato l’acquisto, il segnale tardava ad arrivare e lei imbufalita era al telefono con il servizio clienti. Condiva la sua rabbia con il consueto repertorio riservato al pupone e alla moglie, di solito il menù prevede: un simpatico repertorio sulle abilità orali della consorte del capitano della roma (dannazione non ci riesco a scriverlo in maiuscolo), suggerimenti sui luoghi nel quale Caressa può riporre il “thermos di the caldo” e infine un gesto che mima “tapparelle che si abbassano”.
Quando finalmente la partita inizia, c’è quel senso di nausea, che mi accompagna inesorabile. Si estende per tutti i primi quindici minuti, nei quali fisso il televisore e mi aspetto che ad ogni affondo la Juventus subisca un gol. Guardo alcuni giocatori giallorossi consapevole della loro classe, non fatico ad ammetterlo ma, in quel momento, provo fastidio, proprio perchè indossano quella maglia. Non mi godo nemmeno un minuto di partita, almeno fino al primo gol. Se lo segna la Juventus: mi rilasso, penso che mal che vada la Roma può pareggiare e che Nakata fortunatamente ora non gioca più, palleggia in Nepal da bravo nipponico. Se, molto più raramente è la ASROMA a segnare ecco, mi rilasso comunque un pò. In fondo perdiamo, ho tutto il tempo per abituarmi ad un Lunedì fatto di pugni al cielo, di coppe dei campioni, di puponi e capitan futuro, tutto pensato e scritto rigorosamente in minuscolo.

GOOOOOOOOOOOOOOOOL!!!!!!!!!!!!!!!!!!

L’urlo al gol, credo…anzi sono sicuro, lo senta tutto il vicinato. C’è qualcosa di ancestrale in quel grido buttato fuori a mille all’ora, un misto tra paura e gioia, che poi ad un tifoso spesso si mischiano in testa.
Esultando per un gol contro la Roma mi sono quasi aperto il ginocchio contro lo tramaledetto tavolino di cristallo nel salotto dei miei genitori. Ho perso la voce durante queste partite, tanto da dover chiedere un cappuccino il giorno dopo nel mio bar “asromanista”, con un filo di voce, non per prendere per i fondelli come avrei voluto, ero afono davvero. In quei bar quasi deserti, “the day after”…dove all’improvviso il televisore non è più sistonizzato su skysport ma su un più neutro RaiNews24, dove l’unica copia del “Trigorriere” (Corriere dello Sport, noto quotidiano nazionale stampato direttamente al centro sportivo “Fulvio Bernardini”) risalse all’ultimo scudetto di Capello (che poi a sentir loro li ha persi ‘sti scudetti).
C’è quella gioia seconda solo al “Cinque Maggio” e all’immagine del mio amico Maurizio paralizzato su uno sgabello che nemmeno Alba Parietti. Un abbraccio anche virtuale con la mia sorellona, che spero un giorno racconterà qui, come ci si sente in Curva Sud oppure in una serata nella quale l’AS Roma gioca a Manchester.
Un affettuoso abbraccio a quelli che in quel di Via Padova 41, hanno condiviso con noi la gioia di NON essere romanisti, di fedi sportive diverse, tutti accumunati dall’inevitabile repulsione per la seconda squadra di Roma.
Ciao Gianluca, Christian, Beppe e Enzo…il calcio senza quel tappeto di birre vuote…è un pò più triste.

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