Football Americano Femminile

Nascosta nella foto

Questa è una di quelle foto che puoi semplicemente guardare, ci vedrai Carlotta una delle Lobsters Pescara della prima ora, in divisa da gioco. Con un po’ di fortuna probabilmente conosci questa mamma felice e orgogliosa della sua piccola Ludovica. Forse, se presti attenzione noterai che non è una foto scattata un po’ per caso o un po’ per gioco.
Sono un dono, il racconto per immagini di Giancarlo. Bomba. Una delle felici scoperte che ho avuto il piacere di fare, durante la stagione al seguito della squadra. Alcuni suoi scatti hanno il potere di rivelare una storia.
Accade qualcosa, in quella foto che cattura la mia attenzione. Non sono molto sicuro di quello che vedo, eppure sono così felice di vederlo che un racconto si forma a metà strada tra il cuore e le dita. Questo a pensarci bene nasce molto vicino al cuore e per percorrere la strada che lo porta alle dita ci ha messo un po’.
Quel nero sullo sfondo che cancella ciò che non è importante, ti lascia a fissare quello smalto sulle unghie, di un rosso fuoco che racconta di una femminilità che non t’abbandona mai.
Cerco gli occhi e non li trovo. Sono nascosti in quell’ombra che silenziosa sussurra di battaglie, di compagni e di sudore, di sangue che riempie la bocca, d’erba e cuoio. Se avvicini l’orecchio puoi ascoltare il rumore del parquet calpestato in una palestra argentina, vedrai le maglie bianche e nere, il tetto basso e la luce che penetra dai larghi finestroni in alto. La porta avversaria, bianca e  nera che prima dell’incontro ti sembra così grande e poi con la palla tra le mani si restringe, diventa microscopica e gli avversari si moltiplicano intorno a te come se fossi sola contro tutti.
La mano che va al casco e non sai se lo stai allacciando oppure è venuto il momento di toglierlo, ferma in questo istante che dura una vita. Sospesa a metà, tra la resa perché la battaglia è troppo dura e la voglia di combattere, perché arrendersi è qualcosa che il tuo cuore non è disposto ad accettare.  Quando cerchi invano quel laccio che trovavi a memoria ma sei troppo stanca, le tue dita esitano e non vuol sapere di venire via. Senti le gambe dure come se ogni muscolo si fosse ricordato di esistere nello stesso momento, ti rifugi dentro alla tua armatura che per una volta è li per nasconderti dalla sconfitta. Ti raccogli dentro, diventi piccola piccola.
In quell’instante in cui sei ridotta solo al tuo cuore, trovi la forza di togliere il casco. L’aria arriva a spazzare il sudore, qualcuno ti passa una bottiglietta e tu la rovesci senza pensare sul tuo viso, la testa all’indietro. Senti l’abbraccio gelato dell’acqua portare via con se il dubbio e la stanchezza. Senti le pacche sulle spalle, la stretta arriva fino al cuore come una scossa, come se un terremoto violento scuotesse il mondo intorno aprendo uno spiraglio, la roccia nuda intorno a te a pezzi per un’istante c’è quella luce che non riuscivi a vedere.
T’inginocchi lungo la linea laterale, il casco al tuo fianco, i tuoi guanti e la tua bandana sono li e sembrano aspettarti. Ti volti verso gli spalti, le luci si stampano negli occhi e non vedi nulla, nero e giallo, voci e stelle si mischiano.
Non sarai mai più come sei ora, non ci sarà mai una seconda occasione. Rumore di casco contro casco, le grida che diventano urlo, la sofferenza e la vittoria. Quello che sta accadendo sarà per sempre, ogni secondo che passa è già la tua storia. Guardi il tabellone, i tuoi compagni e smetti di pensare ad un futuro che non conosci, prendi il tuo presente tra le mani e vai verso il tuo Coach. Hai indosso il casco, i guanti calzati come se fossero una tua seconda pelle. “Let me play.” Non sai se è una preghiera, una richiesta o un ordine. Saltelli davanti a lui perché veda che la caviglia non ti fa male, il tuo corpo mente al tuo cervello, è una bugia bianca, di quelle che non fanno male a nessuno. Forse un po’ alla tua caviglia.
Un colpo al tuo casco, lo schema nelle orecchie e sei in campo. T’allinei. Le braccia lungo il corpo, lo sguardo nascosto nell’ombra del casco. Sai cosa vuoi, ti fa scoppiare il cuore quel desiderio di vincere, ti sale in gola il magone, pensi di soffocare e poi..
Il mondo accelera all’improvviso e tu riesci solo a reagire, le caviglie mordono il terreno, ti sembra di riuscire a fissare solo un punto, lontanissimo. Quanto è distante il tuo quarterback, diventa piccolissimo, si prepara al lancio, arretra e hai l’impressione che tutto si muova al rallentatore, il tuo cervello urla “ci sta mettendo una vita”… un passo è tutto quello che ti serve e … chiudi gli occhi per un istante…
“Punf..”
La passa nelle mani, ti volti e sei libero, non c’è nessuno vicino a te. Corri come se all’improvviso dovesse piombarti addosso l’intera squadra avversaria, sbirci intorno come avessi paura del tuo sogno quello distante solo qualche altro metro…
La linea bianca, l’urlo dei compagni, la palla stretta in mano, sei in ginocchio.
“Grazie”, un filo di voce ti esce dal paradenti che penzola dal casco. “Grazie”, che s’impasta di lacrime e felicità.
La tua maglia bianconera a righe, la palestra argentina, il tuo casco color oro, il tuo scudetto sul petto, la ginnastica e la pallamano, tutto si confonde in un unico sogno.
Quello che puoi disegnare quando lasci il cuore in libertà.

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