Football Americano Femminile

#day6

Non si va sul terreno oggi, non sul prato sintetico sotto ai riflettori. Si sale sugli spalti deserti, per cambiare prospettiva ed osservare lo spettacolo dello sport dilettantistico da un’altra angolazione.
Seduto comodamente sul seggiolino, prendo la penna e mi preparo ad annotare pensieri e suggestioni, come li elabora la mia immaginazione, non sono un cronista, le mie storie le racconto attraverso il prisma della mia esperienza.
Il campo è diviso a metà.
Le ragazze del football americano e un gruppo di giocatori di calcio che s’allena.
Una squadra di calcio qualsiasi, con un gruppo di ragazzi qualsiasi e l’immancabile ragazzo di colore nel gruppo, simbolo di una società che sul rettangolo verde spesso dimentica il colore della pelle e si ricorda solo quello della maglia.
Spesso mi sono chiesto cosa spinga ragazzi di vent’anni ormai chiaramente fuori dal giro che conta a sbattersi in un campo di periferia, ad allenarsi dopo la scuola o il lavoro, per farsi massacrare alla domenica da difensori troppo avanti con l’età e con qualche chilo di troppo.
L’altra metà del campo si sfoca, finisce ai margini della mia attenzione.
Continuo a guardare la palla correre veloce, passaggi di prima e poi il suono della rete che si gonfia.
All’improvviso ho capito, la risposta ha un nome ed un cognome: “Moreno Torricelli”.
Il terzino della Juventus Campione d’Europa, preso dalla Caratese in Interregionale, un po’ calciatore e un po’ falegname. Lo stesso che una sera di maggio alzerà al cielo la Coppa con le Grandi Orecchie. Uno che non avrà avuto tanto talento, ma capace di una corsa d’incredibile intensità, un atleta di poche parole, che alle chiacchiere fumose da caffè preferiva la concretezza della prestazione in campo. I ricordi s’accavallano e mi torna alla mente Christian Bucchi, attaccante capace di segnare con il Seppada in Promozione, cinquantaquattro gol in cinquantasei partite. Lo nota il Perugia di Gaucci che lo porta in serie A dove realizza cinque gol nella prima stagione con i Grifoni.
Si provano le situazioni di palla inattiva, come piace dire ai giornalisti sportivi.
L’allenatore si posiziona sulla linea di porta e spiega ai suoi atleti la “scienza” di calciare le punizioni verso la porta quando l’area è affollata, in fondo così lui ha fatto 30 gol quando giocava nel Collecorvino. Da queste parti è un po’ come averle realizzate con il Real Madrid.
I ragazzi sono stremati, l’allenamento termina, domenica saranno a San Vito, su qualche campo sperduto alla periferia del calcio.
Scendo con loro.
Il sogno, in ogni città d’Italia è sempre lo stesso.
In fondo lo fai per il rumore degli scarpini sul pavimento di cemento degli spogliatoi, per poter entrare in scivolata sull’erba bagnata, per la speranza un giorno di giocare in Serie A, oppure semplicemente perché questo calcio è sempre meglio dei tornei del bar o dell’hockey su prato.
Vivere è coltivare un sogno.

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