Futsal

Pomposelli – Libere di poter scegliere

Con quali armi si fa una rivoluzione? Sicuramente con la passione, poi con la competenza, infine con il coraggio. Tre qualità che Arianna Pomposelli ha sfoderato nel suo “Be Brave”, un progetto destinato a cambiare il modo di vedere la pratica del calcio rispetto alla donna, in questo caso bambine e ragazze dai 4 ai 18 anni, che per un retaggio culturale non hanno mai avuto modo di avvicinarsi a questo sport.
“Chi lo ha detto che non possono giocare a calcio?”. Da questa semplice domanda, Arianna si è mossa organizzando un raduno presso il Circolo Antico Tiro al Volo al quale lo scorso 3 aprile hanno partecipato 22 iscritte, divise per fasce di età: 4-12 anni, 13-18. Una questione non soltanto tecnica, come spiega la giocatrice dell’Olimpus e della Nazionale, che ha di recente conquistato il podio europeo nella kermesse di Drachten. “In realtà in questo modo ho potuto lanciare due messaggi ben diretti. Alle prime ho detto: “provate, scommettete che vi divertirete?”, alle seconde di non perdersi, perchè sono il patrimonio della nostra nazione”.

L’idea era nata soltanto qualche settimana prima, quando Arianna era stata invitata da Cinzia Benvenuti, figura di spicco del futsal nonchè parte integrante dello staff tecnico dell’Italia, a battere il calcio d’inizio ai campionati studenteschi a Roma 3 con l’azzurrina Claudia Ruffini, presente al “Be brave”.
“Di 24 ragazze pronte a giocarsi una finale provinciale, la cosa sconvolgente è che nessuna aveva mai giocato a calcio prima di quella circostanza. Chi veniva dalle arti marziali, chi dalla scherma o dalla pallavolo, ma nessuna dal calcio. Ho chiesto loro come mai e ho avuto solo due tipi di risposte: non ho mai provato o mia madre non vuole. Dovevo assolutamente fare qualcosa”.
E proprio con l’aiuto di Benvenuti, insieme ai fratelli Simone (insegnante di piscomotricità nelle scuole) e Alessia (che ha curato la parte grafica e promozionale), Arianna ha messo in moto la macchina di Be Brave, il lato coraggioso del futsal. Che poi è quello di chi riesce a guardare questo sport da un’altra prospettiva.
“Bambine e calcio a 5? Non solo è possibile, è necessario. Specie in un momento di evoluzione del movimento che ha portato ad avere una Serie A a girone unico e tanti dei migliori talenti provenienti da tutto il mondo nel nostro campionato. Se riconosciamo come positivo il modello sportivo straniero, perché allora non facciamo in modo che le nostre piccole atlete possano crescere altrettanto bene? Abbiamo l’esempio da seguire, ma grosse lacune quando si tratta di metterlo in pratica”.

Ancora poche, effettivamente, le società con un settore giovanile che permetta ad un’atleta di allenarsi nell’età della formazione. Tante iniziano tardi, altre si fermano per strada davanti al bivio: sport o lavoro.
“Io sono stata fortunata perché la mia passione è pagata, ma tante hanno rinunciato a giocare ai massimi livelli, mettendo al primo posto il lavoro. Non è affatto facile correre al campo dopo una giornata in ufficio: si tratta di fare tanti sacrifici, o a volte di avere la testa per conciliare tutti gli impegni”.
A tante altre – invece – non viene data neanche la possibilità di scegliere, perché il calcio a 5 è ancora considerato uno sport maschile.
“E’ questo concetto che voglio assolutamente sradicare: prendiamo ad esempio mia nipote Noa. A 3 anni e mezzo, lei calcia tranquillamente e non è una questione di predestinazione o geni. Lei calcia perché i suoi primi passi sono stati con la palla tra i piedi, perché fin da piccolissima è venuta al campo a vedere tutte le mie partite. C’è stata condivisione e adesso ha un’opzione in più davanti a sé: magari un giorno diventerà una ballerina, ma l’avrà deciso lei dopo aver visto che non voleva davvero fare altro. Io ho avuto la possibilità di scegliere e vorrei che fosse così per tutti”.

Così – dove non c’erano condizioni – Arianna le ha create con un campus che potrebbe presto diventare itinerante. “Vorrei partire da Roma muovendomi su più campi, sarebbe sicuramente più facile da organizzare essendo un evento completamente gratuito. Ma l’obiettivo è di portare un po’ ovunque il Be Brave: ovviamente il limite è economico, ma non ho intenzione di fermarmi”.
Lo deve a tutte quelle bambine che martedì hanno sognato attraverso i suoi occhi: tante erano lì sperando di poter diventare forti come lei, un giorno.
“Essere un punto di riferimento a 26 anni fa piacere, ma è una responsabilità che non prendo alla leggera: fondamentalmente volevo che capissero che ognuna potrà essere ciò che desidera diventare, ma bisogna allenarsi tanto e mettere lo sport al primo posto. Essere atleta si riflette anche nello stile di vita: guida l’alimentazione, dà valori, impone regole, insegna la correttezza verso l’altro”.
Di sicuro ha già insegnato loro la riconoscenza.
“A fine giornata tantissimi genitori mi hanno scritto per ingraziarmi, ma a riempirmi davvero il cuore sono state le parole delle bambine che mi hanno permesso di trascorrere con loro poche ore che sono volate via in un baleno, così come accade per tutte le cose belle”.
“Ho riempito il mio zainetto di tutto ciò che mi hai trasmesso, lo userò per farmi strada verso i miei obiettivi”, le ha scritto una ragazza, che poi ha aggiunto “Farai altri raduni, vero? Ne abbiamo davvero bisogno”.
Arianna mi guarda e fa spallucce.
“Se non esiste un modo, vuol dire che lo inventeremo”.
Una promessa da numero uno.

pomposelli

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