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Chiedi chi era Luigi Meroni

Uovo, Bruco, Crisalide, Farfalla.
La vita breve ed intensa per diventare quella meraviglia della natura che tutti noi chiamiamo farfalla.
Variopinta, dai colori bizzarri, leggiadra e veloce, delicata, con le ali sottili eppure incantevole, una vita breve ma dalle mille forme e colori.

Non c’è modo di classificarle tutte, le farfalle. Tanto più che qualcuno ne fa collezione e, come in tutte le collezioni che si rispettino, ce n’è una quasi introvabile, alcuni narrano di averla vista ma in realtà i più sostengono sia una leggenda, altri la inseguono immaginando di trovarla e qualcuno racconta di averla vista una volta, lì a pochi passi, per un attimo quasi poterla toccare e poi un battito di ali ed è volata via.

Leggenda narra e dice che sia esistita davvero ma che troppo velocemente sia volata in un mondo più equo e giusto, il mondo dove il talento si sposa con l’eternità riconosciuta solo ai più grandi, oramai non collezionabile, se non nei racconti di chi davvero l’ha potuta guardare da qualche passo.
La farfalla granata, al secolo Gigi Meroni, uno che a George Best in quanto ad estro e creatività non ha mai avuto nulla da invidiare.

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Se fosse un pezzo scritto da Manzoni inizierebbe cosi:

Luigi o come dicevan  tutti Gigi, non si fece molto aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione, presentarsi al mondo, v’andò, con la lieta furia d’un uomo di vent’anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama.

Centrocampista fulgido e di belle speranze, con la maglia granata addosso, salta un uomo e poi un altro, si gira, finta, poi riparte come il singhiozzo di un neonato, infine dà un bacio alla palla e la spedisce in fondo alla rete.

E’ il 1964, Luigi ha i capelli lunghi come un Beatles ed il baffo appuntito che scende sotto le labbra, sta già spaccando l’Italia per una love story con una donna precedentemente sposata e di professione fa il calciatore, anche se nel tempo libero disegna cravatte e dipinge.

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Disegna e dipinge, esattamente quello che fa anche dentro il rettangolo di gioco, nulla di più vicino a ciò che compone con la palla ai piedi, disegna traiettorie impossibili e dipinge il terrore negli occhi degli avversari, ogni volta che li punta e li scherza, poi pollice ed indice si strofina il baffo ed a mano aperta sposta i capelli da davanti agli occhi.

E’ un bel personaggio Luigi, innanzitutto è anticonformista, è uno che sa ridere e scherzare anche di se stesso e soprattutto è sempre contro ma questa forse è più un etichetta che gli hanno cucito addosso, perché come a tutti quelli che sanno di esser unici, degli altri gli importa poco.

Ora in pochi attimi dovrei riuscire a spiegare quale maledizione lega il Torino ed i suoi talenti, la curva Maratona e le disgrazie, le gioie e le cadute nella più grande disperazione.
Come in tutte le grandi storie,  c’è un tocco di mistero, di malinconia, superstizione ma sopratutto maledizione e tanto tanto amore rimasto sulla punta delle labbra.

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Superga 1949 è sinceramente la più grande disgrazia sportiva mai successa in Italia, una squadra sublime e di eroi, non potendo essere clonata, passa all’eternità di bocca in bocca per la grande disgrazia che la colpisce, una squadra fantastica che insegna calcio al mondo intero si schianta sulla collina di Superga e questo basterebbe ad esser vedovi per l’eternità sportiva ma anche umana di un tifoso.

Un bel giorno però spunta Luigi o come dicevan tutti Gigi e ricominci a sognare, quasi ad affievolire il dolore, lui sulla punta dei piedi balla ed accarezza il pallone, balla e vola in fascia, balla e gonfia la rete e tu tifoso granata, quasi colpevole nell’animo cominci a pensare che qualcuno è arrivato a prendere l’eredità di quei poveri eroi disgraziati caduti a Superga.

Gigi Meroni è il nuovo amplesso dei tifosi del Toro: estroso, libero nel suo modo di interpretare il calcio, si disegna i vestiti da solo, è la nuova speranza di un popolo che ha troppo dolore dentro al cuore, è la nuova voglia di staccarsi dal dramma e ricominciare a sognare, è quello che tutti vorrebbero con se ma è tuo e puoi gridarlo la Domenica mentre lui vola in fascia con i capelli al vento ed il pallone incollato ai piedi.

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Qualcuno racconta che ci sia una maledizione granata, difficile crederci ma Meroni che era un fuoriclasse non poteva avere una storia qualunque, lui era uno di quelli che ti tiene con il naso all’insù, ha imparato a dribblare nel cortile di casa sua, si partiva da un 3 contro 3 poi piano piano aumentavano i ragazzi che scendevano in strada ed in dieci metri si arrivava a giocare anche in 11 contro 11.

In questi spazi stretti e con tanta densità, se ti senti un uomo libero ed innamorato del pallone, devi per forza imparare a scappare con la sfera al piede ed infatti lui farà quello per tutta la sua vita calcistica.

Un giorno disse

dentro lo stadio io immagino di essere ancora sotto casa ed allora chiudo gli occhi e scappo e dribblo più veloce che posso perché non voglio che nessuno mi porti via la palla.

Semplice, elegante, sognatore, fantasioso e molto, molto granata.

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Meroni è ormai il desiderio di tutti, il presidente Agnelli lo vuole nelle fila della Juventus nel ’67. La cifra? 750 milioni di lire, la più alta mai offerta fino ad allora, d’altronde, si sa, le opere d’arte costano care ma i tifosi del Toro insorgono e Gigi alla fine rimane.

Un anno prima viene chiamato in Nazionale ma il Commissario tecnico gli impone di tagliarsi i capelli, Gigi conosce solo un modo per stare al mondo, quello di essere contro, rifiuta ed incalza, io voglio esser giudicato solamente per come gioco.

Meroni vive con Cristiana, una donna che era già sposata e a quei tempi per l’Italia era uno scandalo, non esisteva il divorzio ma il rivoluzionario Meroni sembrava non preoccuparsene, non era roba di cui doveva rendere conto al mondo, anzi se al mondo non piaceva a lui dava ancora più gusto, essere contro era il modo migliore che conosceva per essere se stesso.

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Il diavolo si sa scherza sempre con l’anima ed è qui che mi si intrecciano le budella, la frase è forte ma l’immagine dev’esser peggiore, forte almeno come l’urlo di Cristiana quando raccoglie Gigi, a terra quasi esanime, è domenica sera e Meroni ha contribuito alla vittoria del suo Toro nel pomeriggio, decide di uscire con un compagno di squadra a fare un giro, attraversa la strada sotto una pioggia battente, il cielo probabilmente lo sta già piangendo.

Gigi esita un secondo ed un’auto lo colpisce in pieno, lo scaraventa lontano, alla guida di quell’auto Attilio Romero, un ragazzo di 19 anni che tutti chiamano Meroni per la grande somiglianza con il giocatore del Toro, quello studente molti anni dopo diventerà presidente del Torino, roba da diventarci pazzi.

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Potrebbe bastare tutto questo groviglio di coincidenze per capire perché tifare Toro è una cosa che ti prende l’anima ma non è ancora tutto.

Gigi se ne va qualche ora dopo, con le gambe rotte, un trauma cranico ed il bacino fratturato, da uovo a bruco a crisalide, se ne andò che era una farfalla.

Appunto la farfalla granata.

La settimana dopo un Torino lacerato nell’anima deve scendere in campo, c’è un uomo disperato che dal giorno seguente al funerale ha avuto febbre altissima e quella partita non la deve giocare, è Nestor Combin, distrutto dalla tragedia e dalla perdita del compagno di squadra.

Combin non vuol sentire nessuno, lui quella partita la vuole giocare, sembra indemoniato, segna 3 gol, strepitoso, è incontenibile, sembra giocare con l’anima rock di Gigi Meroni addosso, la partita termina 4-0 ed il 4° gol lo segna la giovane riserva che quel giorno indossava la maglia numero 7, la stessa della farfalla granata, per la prima ed ultima volta della storia di tutti gli Juventus-Torino il match termina 4-0.

Dramma, poesia, la maledizione del Toro, la farfalla granata sbatte forte le ali e vola nell’Olimpo di quelli che non si possono dimenticare.

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A Cristiana piaceva parlare
quando il sole voltava la schiena
incollando alla notte il sudore del porto di Zena.
Mi chiedeva che cosa continua
quando agli uomini tocca di andare.
Ora, Cristiana, avrai la risposta:
si continua ad amare.

Diceva: “Gigi, stasera scappiamo
a contarci i respiri
tra il basilico e il fiore di prà,
come due gatti neri
da lassù allungheremo le mani
fino al bordo lontano del mare
per tirare la coda al domani
per non farlo scappare”

A Cristiana spiegavo che il dribbling
è come un abito inglese
è elegante, estroverso e festoso
come la barba di un mese
e che il numero sette alla schiena
è uno stile di vita
è solitudine in fascia e fortuna
tra calcio e fatica

Dicevo “Liverpool sembra Torino
un giorno ci andremo
magari noi due e la Balilla, tanto, tempo ne avremo…”
ma il futuro è il nemico peggiore
della maglia granata
ogni volta che han finto di amarla, l’ha abbandonata…

E Cristiana sapeva di cielo e di viaggi per mare,
una bocca di zucchero a velo, che toglieva la fame
diventavano ali, le mani, per un volo leggero leggero
e i 2 metri di quella mansarda erano i metri del cielo…
“Gigi, dipingimi gli occhi, che non riesco a guardare!”
ma, sai com’è, il vento e l’amore io non li so disegnare…
le ho tolto il vestito da sposa
e l’anello dal dito,
a spartire il suo cuore
non ci sono riuscito…

ieri l’altro è arrivato Giacinto, che ancora cercava il pallone
eravamo io, lui, Gianni Brera oltre a nostro Signore,
abbiam fatto una scopa che, in 4, è sempre la cosa migliore
poi mi han chiesto:
“che cosa ti manca?”
e gli ho detto il tuo nome…
scusa, Amore, se sono inciampato negli anni più belli
senza neanche aspettare che la neve c’imbiancasse i capelli…
e non basta, a sorridere, il poker alla Vecchia Signora
che ho guardato da sopra una nuvola
con Gabetto e Mazzola.

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