Futsal

Pomposelli, quando il talento è un affare di famiglia

pomposelli

“Ma l’hai visto il fratello di Pompo al tg5?”.
Bè, no. Io la TV l’accendo solo per le repliche notturne di Dawson’s Creek. Ma faccio mente locale e mi ritrovo davanti agli occhi il caschetto biondo
di Matteo, soggetto principale di tutti i video pubblicati da Arianna su Facebook, prima dell’avvento delle storie di Instagram: c’è Matteo che rappa, Matteo “Figo col Cappellino” durante il suo decimo compleanno, Matteo mentre va al campo per l’allenamento. Dribbling secco e tecnica, è forte per quelli della sua età. D’altronde il talento sportivo, in casa Pomposelli, è un affare di famiglia che parte da papà Alessandro – pianista autodidatta (particolare che ci tornerà utile più in là), ma soprattutto ex calciatore (anche della Nazionale con 16 presenze e 3 gol) e allenatore tra le altre di Torrino, Ardea, Gruppo Montemurro, Roma Team Sport e Virtus Roma Ciampino – e dal padre si tramanda ai figli: Matteo, Arianna e anche Simone – il fratello “alto e bello” – che gioca a calcio a 11 come difensore centrale e ha vinto una finale Scudetto Juniores con la Vigor Pierconti.

“Ma da papà abbiamo ereditato anche una vena creativa, ognuno è artista a modo suo”, mi raccontava Arianna mostrandomi i lavori dell’ultimo membro della famiglia che non vi ho ancora presentato. Alessia è la sorella maggiore, il futsal le è sempre interessato poco se non da tifosa, ma ha fatto di video e riprese il suo mestiere: “Nido Vuoto” e “Il tempo e la stanza” sono solo alcune delle sue produzioni come regista teatrale, per cui è apprezzata a livello nazionale. È troppo presto per sapere se la figlia, Noa, abbia già la stessa inclinazione, ma sotto i riflettori del PalaKilgour – sul gradino più alto del podio – i suoi riccioli biondi hanno regalato primi piani da oscurare il ricordo dell’enfant prodige Shirley Tample.

Ma torniamo alla domanda iniziale. Sì, finalmente l’ho visto Matteo. Non sta facendo rap, come avrei immaginato, non ha neanche una parte in Zelig.

Matteo ora ha 12 anni, lo stesso caschetto di capelli biondi di qualche anno fa e la musica nel sangue. La segue ad occhi chiusi mentre le dita corrono veloci sui tasti e il contorno delle mani sfuma, tanto sono rapidi i suoi passaggi. Vuole diventare concertista e non segue i social network, di cui un tempo era idolo (volente o nolente). Al conservatorio non vuole andare, troppo lenti. Studia privatamente, anche 9 ore al giorno ed ha già bruciato tutte le tappe con l’esibizione alla Carnagie Hall di New York, dove sono passati musicisti come Arturo Toscanini e The Beatles. Sgrano gli occhi e scatta immediatamente il messaggio alla Pomposelli del futsal. Mi sembra così serio per la sua età, questo piccolo genio – le scrivo – ma è la disciplina che indirizza il talento. Prima o poi me ne farò una ragione.
– “Non ti preoccupare, rimaniamo sempre cazzeggioni”.
– “Ti devo credere?”
 – “Avoja”
E mi arriva il video del padre che a 50 anni gioca ancora a prendere le traverse prima delle partite.
Facciamo che le credo.

Tutto ciò che l’ha resa grande, le viene invece dalla madre: Cinzia, o più semplicemente Pitta mami, come siamo abituati a conoscerla noi del calcio a 5. Durante la gara Arianna la cerca con gli occhi, come fa il marinaio che rischia di perdersi senza un faro a cui fare ritorno. Non ricordo un gol, senza la corsa verso gli spalti ad abbracciare Pitta mami. Anche Alessia corre a stringerla, alla fine di ogni spettacolo. E’ il modo più diretto che le due Pomposelli hanno per ringraziarla di esserci sempre stata: devono a lei tanto di ciò che oggi sono – come donne, prima che come professioniste – e non perdono occasione per ricordarglielo.
Costanza, per l’appunto. E concentrazione. Quella che le aggrotta le sopracciglia e le cambia il volto, quando la sirena suona. Ecco, quando Arianna assume quell’espressione, capisci che ora si fa sul serio. Adesso tirerà fuori magie che le chiederanno di rivedere ancora e ancora. Un esempio? Il gol nel derby contro l’Olimpus: suolata sulla fascia sinistra e palla che si insacca all’incrocio opposto. Call it magic.

Era così anche da bambina, negli interi pomeriggi trascorsi a coltivare una passione che oggi è un lavoro, condiviso con lo studio delle lettere moderne. Il fatto che papà Alessandro sia stato anche il suo allenatore, non le ha dato mai privilegi. “Semmai il contrario: i peggiori rimproveri erano sempre per me”. Sgridate che tutto sommato le fanno bene, perché a soli 17 anni, Arianna ritira il premio come miglior giocatrice nelle finali di Cercola, ma il retrogusto è amaro: lo Statte festeggia, per la Virtus Roma un secondo posto che a conti fatti non vale nulla. Serve la prima esperienza fuori casa, quella al Montesilvano, per vederla alzare al cielo un trofeo da “prima”: la Supercoppa 2010, vinta proprio a scapito delle pugliesi. Tornata a Roma, con la Lazio, ancora un posto da vice-campionessa nella Final Eight vinta dall’Isolotto con rete di Gayardo. Il sapore delle lacrime di Pescara ricorda un po’ quelle di Cercola, ma nel frattempo la Nazionale va a gonfie vele: la Notte Magica, il primo gol in Azzurro a cui fanno subito seguito tante altre perle e poi – in estate – la chiamata dell’Olimpus che le regala un record dietro l’altro: la Supercoppa del 30 settembre, il primato in classifica con en plein di vittorie e già 7 reti messe a segno in 8 gare.
Ecco perchè oggi è la nostra donna copertina. Perchè quel due che porta sulle spalle è sempre più soltanto un numero, che ha nulla a che vedere con il suo destino.

Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

To Top