Storie

Mattia, la sabbia e i gol facili

Ottobre.
È partita anche la stagione di football americano giovanile in Italia.
Ci sono le World Series di Baseball, la stagione NFL è in pieno svolgimento, la domenica di futsal e di calcio si sovrappongono troppo spesso, insomma non c’è da annoiarsi.
I primi verdetti della stagione, le prime interviste dei giocatori, quelli che spostano gli equilibri ma non si prendono responsabilità, quelli semplicemente fuori posto e quelli che devono ancora trovarlo il loro posto.
Mattia.
“Correte a destra, questa volta fai correre Lorenzo”.

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Mattia è un atleta di grande talento, sia atletico che tecnico, uno di quelli capaci di vincere e di perdere la partita da solo. Lorenzo è quel giocatore che in una squadra di calcio metti a centrocampo e non sbaglia mai, un Deschamps, un Viera o un Matuidi, avete notato che sono tutti francesi? Ne parliamo un’altra volta.
Mattia corre in campo, chiama lo schema e fa di testa sua. L’azione fallisce e quando tornando verso la linea laterale lo accolgo a braccia aperte in segno di disapprovazione, lui ha pronta una scusa.
Mi volto verso il Prof. Morra, che di nome fa Francesco, e all’unisono esclamiamo “La Sabbia…”. Abbiamo entrambi pensato al famoso monologo di Julio Velasco sulla cultura degli alibi.
C’è un passaggio però che in questi giorni, frustrato dall’inettitudine sotto porta di Gonzalo Higuain e di certi attaccanti troppo pigri che mi torna in mente.

“Non accettare alibi nel senso di non accettare il perché una cosa non si può fare che non sia per la propria responsabilità”.
L’abitudine a vincere, inizia di qui.
Il tecnico argentino prosegue.
“Palleggiatori che alzano con la palla perfetta ne trovo ventimila, voglio vedere se trovo uno che alza anche con le palle brutte. Quindi tu sei bravo se correggi l’errore della ricezione, sennò non sei bravo…”
Quanti attaccanti ho ascoltato negli anni giustificarsi con il campo troppo bagnato o troppo secco, con il vento, la mera sfortuna. Sapete che differenza c’è tra Mario Balotelli e Ciro Immobile, uno dei due non ha mai trovato scuse ai suoi fallimenti. L’altro gioca nel Nizza in Francia.
Ho avuto eterna ammirazione per Filippo Inzaghi, anche con la maglia del Milan o dell’Atalanta.
Andava sull’errore, viveva in quel non luogo a ridosso del fuorigioco. Se una palla sporca, un cross deviato, un rinvio sbagliato arrivava dalle sue parti, era gol.
Per questo ho amato Fernanda Borzuk e la sua abilità di andare “dove non c’è nessuno”.

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Ecco il prototipo dell’attaccante che ti fa vincere i campionati, quello che ci crede anche se non lo fanno gli altri, quello che non pensa, si perde nel gioco e reagisce.
Mi sento orfano di Nanà, il soprannome di Fernanda, del suo calzino piegato nelle scarpe e dei suoi gol pesanti, quando contano, nelle finali.
Ricordate Giuseppe Signori, detto Beppe. Alla Lazio era una “ira di dio”, fuga sulla fascia e botta sul secondo palo, era gol, potevo anche non guardare. Due volte capocannoniere con la Lazio, 188 gol. Cosa ha vinto? Una beata…insomma niente. Perché i gol decisivi quelli, sono appannaggio di pochi. Storia simile per Sergio Aguero, detto il Kun, da lui avrete il terzo e il quarto gol, qualche volta anche il secondo. Scordatevi di leggere il suo nome in cima al cartellino dei marcatori.
I grandi calciatori, fanno i grandi allenatori.
C’è una ristretta lista di tecnici che hanno fatto invece la fortuna dei loro giocatori.

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José Mário dos Santos Mourinho Félix allenatore della União Leiria, nella stagione  2001-2002, quando condusse un gruppo di onesti pedatori al quindi posto assoluto, risultato migliore di sempre per il club.
Nevio Scala e il Parma 1991-1992, andate a leggere la lista di quella squadra:
Ballotta, Benarrivo, Di Chiara, Minotti, Apolloni, Grün, Melli, Zoratto, Osio detto “Il sindaco”, Cuoghi, Brolin.
Vincetela voi una Coppa delle Coppe, con questi in campo.
Emiliano Mondonico e l’Atalanta in Coppa Uefa nella stagione 1988 quando la sua squadra militava in Serie B.
Giovanni Galeone e il Pescara nella stagione 1986 -1987 con una squadra costruita per l’allora Serie C1, ottenne la promozione in Serie A. Se credete che abbia dovuto controllare la data, vi sbagliate.

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Brian Clough e il suo Derby County che in due anni passa dai bassifondi dell’allora Second Division al titolo di Campione d’Inghilterra.
Su Claudio Ranieri non sono sicuro, “Parrucchino” Conte forse nella prima Juventus quella con Vucinic “falso nueve” oppure semplicemente falso.
Insomma come diceva Diego Armando Maradona, l’allenatore conta fino a quando la palla non inizia a muoversi. Conta nei momenti immediatamente prima e nei momenti in cui è ferma.
La differenza poi la fanno i giocatori in campo.
Sulla panchina del PSG o del Real Madrid, può sedere anche mia madre. No, lei ha giocato a calcio, può accomodarsi anche la mamma di Federica e vincere la maggior parte delle partite.
Ha ragione Julio Velasco, se la vostra squadra perde, la colpa non è dell’elettricista.

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