Futsal

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La sveglia alle 6.30 che mannaggia al bianconiglio, presto che è tardi.
La ruota rossa e i chilometri che sembravano a andare all’indietro.
Trecentoventotto chilometri dopo ho ancora male ai piedi eppure li ho percorsi in macchina.

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L’odore del parquet piegato dal calore, il rumore del pallone sul palo.
Sere troppo stanchi anche per fare la doccia e: “dai la faccio domani, dormo composto promesso tanto se mi muovo mi infastidisco da solo”.
Il ritrovo della sera, tra referti, racconti e birra.
Gente verde, stanca e col sorriso.

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Quelli che parlano solo russo e mi fanno dannare perché non capisco come si dica: “Ghiaccio Spray” nella loro lingua e alla fine mi ritrovo come Totò e Peppino a spiegarmi a gesti.
I bimbi che giocano e continuano a provarci anche se sono sette gol sotto.
Fischio finale e passano a darti il cinque.
“Non me la prendo se ho perso, loro giocano a futsal”.
Per fortuna sono meglio dei loro genitori sugli spalti.
Alla fine pareggiano una partita e sembra la vittoria della Coppa Campioni perché è giusto così, si festeggia quando si realizza un sogno, anche uno piccolo.
Gli allenatori che dovrebbero fare altro e quelli che invece sono esattamente al posto giusto.
“Che ce l’hai a fare il fisico, solo per sollevare i prosciutti?”
Le storie e i sogni di questi ragazzi che arrivano da tutta Europa.

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Il dribbling fatto davanti ai miei occhi e per capire l’ho dovuto guardare al rallentatore.
La palla passa in un posto dove in teoria non c’è spazio, poi una finta e il secondo avversario va a prendere qualcosa al bar, solo che nel palazzetto, il bar non c’è.
Punta la porta e d’esterno mette la palla sotto l’incrocio.
Novantatré, 93.
La maglia blu e il nome della squadra, LA SQUADRA e finisce che ti rimane impresso il nome.
Per la maglia aspetto quella nuova.

“Hai visto il numero 6?”.
“Certo, stessa maglia del 93”.
“Porta gli occhiali ma non ne ha più bisogno, lo fa perché da piccolo lo prendevano in giro”.
Quello sfigato quattrocchi che prendevano per il culo ha già esordito con la maglia della nazionale belga, uno dei talenti più cristallini che abbia mai visto. Uno che vede il gioco con così tanto anticipo che ti fa pensare di guardare una partita registrata.
Lezione, mai prendere per il culo qualcuno, mai. Un giorno potrebbe farvi “ciao ciao” dalla tv mentre gioca per la nazionale e voi siete solo seduti sul divano.
Forse devo farmi mandare due maglie firmate.
Quelli ai quali nessuno chiede mai la maglia.
Senza arbitri non si gioca e non l’invidio affatto.
Qualcuno qualche tempo fa mi ha detto: “Se fai decidere la partita all’arbitro vuol dire che stai giocando male”, dovrebbe diventare il mantra di ogni corso a Coverciano.
Spesso dimentichiamo tutti, che ci sono giocatori bravi e meno bravi, qualcuno anche scarso.
Stessa cosa per la categoria degli arbitri.

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Accade che sei un ragazzo dello Spalato, nel tunnel prima della finale Under 19.
Vedi passare l’arbitro donna.
Carina, ti pieghi a sbirciarle il culo e sorridi compiaciuto.
Ti volti e scopri che il tuo avversario ha fatto la stessa cosa.
Sorridete insieme.
Avversari, non nemici.

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La lezione è: collabora!
La smania di Federica di far tutto da sola anche quando non può è stata necessariamente arginata. Sua forza e suo punto debole. Tipo quando mangia i lupini, se ne mangi mezzo chilo poi ti viene indigestione.  Lo spagnolo arrugginito ma ancora funzionante e si rende conto che la scuola superiore a qualcosa è pur servita.
“I compagni d’avventura sempre presenti e sempre folli sono stati come tornare a casa dopo il lavoro, stanca ma felice.”

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