Futsal

Se Fossi Un Mister – Il Pallone è Malato

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Dottore come sta il malato?

Eh come sta?
Ha preso tanti calci e tante botte ed anche se è un pallone gonfiato ha bisogno di riposo, di affetto e di gente che lo ami per ciò che davvero è, cioè un gioco, non una rivalsa alle proprie frustrazioni, non un palcoscenico per la propria vanagloria. Potrebbe essere una buona idea radunare tutti i suoi amici o presunti tali, ricordargli come hanno iniziato e che dietro lo sport in primis c’è sudore, fatica, amore.Mi dia retta la situazione è critica ma non impossibile, ritrovate la gioia del gol, meno tatticismi, meno pagine di giornali per se stessi e qualcuna in più per il povero pallone a rimbalzo controllato, più dialogo e meno protagonismo che nessuno è più bravo di un altro, nessuno ha formule magiche.

Lei è un mister giusto?

Dottore, ci provo, nel senso, nella mia testa se fossi un mister qualche idea l’avrei pure ma quello di fare il mister è solo un mio sogno, un qualcosa per me stesso ma non credo di essere all’altezza di questo appellativo.
I mister veri sono quelli con lo scudetto sul petto, quelli sui titoli di giornale, quelli che non se la fanno addosso se sugli spalti ci sono cento persone, quelli che non portano le borracce, la lavagnetta, il cronometro, quelli che hanno uno staff e  che quando chiamano il time out hanno una soluzione pronta, no dottore, non mi chiami mister, vorrei.

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Se fossi un mister oggi probabilmente sarei a giocare le final eight e saluterei dalla tv ed invece ho passato tutta la notte con una mia giocatrice a parlare delle sue delusioni d’amore e le ho promesso che insieme ci saremmo risollevati, tutto questo davanti ad una birra, pensi che mister potrei essere, ho fatto bere una mia calciatrice.

Se non posso chiamarla mister mi dica il suo nome allora!

-No preferisco di no.

Il suo nome è preferisco di no?

Il mio nome dottore non conta, io sono una particella di questo mondo che corre dietro ad un pallone, corriamo su e giù per la nostra regione, di solito guido anche il pulmino, riempo le borracce, accompagno le ragazze in campo e poi torno a casa con i miei pensieri. Mi ero accorto anche io che il pallone era malato, lo vedevo pallido, scucito, a volte sbuffava insofferenza dalla valvola.
Nelle nostre categorie sa, un briciolo di fama è come un piatto di pasta per un senza tetto e tutti più o meno, stiamo correndo in quella direzione, la rincorsa alla gloria e poi magari non abbiamo nemmeno 4 casacche per allenarci, ma si sa apparire è più facile che essere. Non c’è volontà di comprendersi, ognuno vorrebbe essere più bravo e più bello dell’altro ma quanto sarebbe giusto fermarsi a fine partita a parlare tra mister, confrontarsi sulle difficoltà, perché su, diciamocelo, chi di noi non ha dubbi lancinanti su come poter migliorare le cose?

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Il pallone sta male ogni volta che una ragazza perde la voglia di giocare e noi non l’abbiamo compresa ma sta male anche ogni volta che una ragazza pensa che debba giocare per diritto divino, senza fatica, senza dolore, senza passione, senza guadagnarselo.

Io ho incontrato tante giocatrici, tanti allenatori nel mio percorso, ho stretto la mano, ho cercato di capire perché non c’è niente di peggiore di giudicare senza sapere, l’arbitro giudica ed infatti conosce, io quando non vinco imparo, imparo a mandar giù il boccone amaro, a stringere la mano all’avversario, imparo che lo sport è anche delusione, che vince solo uno, che come direbbe Mick Jagger: “you can’t always get what you want”.

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-Vorrei interromperla!

Faccia pure dottore.

-In realtà caro mio, è stato anche arrogante, a volte ha dato valore solo alla vittoria, altre non ha dato il giusto valore ai rapporti umani, me lo ha confidato prima il pallone mentre gli mettevo l’ossigeno perché si sentiva sgonfio.

D’accordo è vero, è una parte di me che non mi piace e che ho corretto nel tempo, quando sei giovane, si fanno degli errori no?

Credevo che vincere fosse più importante di tutto, per dire ho vinto, io ho vinto ed invece non avevo vinto nulla, se mi volto oggi il mio caro pallone è ancora malato come lo era allora e mentre lo vedo soffrire vorrei che fosse chiaro a me stesso che ne siamo tutti causa, allenatori, giocatrici, presidenti.
I presidenti spendono tutto e male, i settori giovanili sono pochi, alcune ragazze hanno dimenticato perché hanno iniziato a giocare, cosa le faceva divertire, cosa significa rispettarsi per creare qualcosa che si possa chiamare NOI e non IO, le strutture sono fatiscenti ed il pallone è ancora preso a calci.

Dottore torni di là, cerchi di fare il possibile, vede quel pallone malandato e sgonfio è stato il mio compagno di vita, ci andavo a dormire e lui mi offriva sempre un sogno nuovo, una sera ero Agostino che tirava una punizione, un’ altra Roberto Baggio sul dischetto del rigore. Quel pallone lì mi ha insegnato che c’è dolore nello sbucciarsi le ginocchia, che c’è sofferenza nel perdere una partita, che c’è frustrazione nell’accomodarsi in panchina ma poi mi ha dimostrato che le ginocchia guariscono, che dopo una sconfitta c’è sempre un motivo per rialzarsi, che mettersi in panchina mentre gli altri giocano è brutto ma se entri a 5 minuti dalla fine e segni il gol vittoria tu hai giocato i minuti più importanti di tutto il match.

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Ti prego non lasciarmi proprio ora amico mio, ricordo ancora la prima volta che ti trovai sotto l’albero di natale, ti chiamavi tango e con mio fratello abbiamo passato i pomeriggi a rompere soprammobili e  a dare la colpa a te.
Ricordo la mia prima partita nei pulcini quando il fango ti avvolgeva, era una mattina gelida e piovosa ma tu ad un certo punto hai baciato il mio scarpino e sei entrato in porta, mio padre in tribuna mi sembrava la statua della libertà con quel braccio alzato.
Ricordo quando segnai in rovesciata e tu mi persi di vedere il mondo capovolto, tutto un altro spettacolo.
Ricordo l’ultimo calcio di rabbia che ti ho dato prima che ti ammalassi, non volevo, non pensavo che forse non ci saremmo più rivisti.

Nella vita tutto finisce, forse non potrò stare sempre dietro al mio pallone ma ti supplico non lasciarmi ora, abbiamo ancora tante cose da fare insieme.

Dottore come sta il paziente?

A da passà a nuttata, ma facciamo che da domani lei non si scordi tutto quel che oggi ha confessato.

No dottore se fossi un mister non lo dimenticherei ed invece…

Buonanotte futsal.

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