Storie

Fiori di Strada

fiori di strada

La stanza è colorata di giallo e di blu. Il sole e la luce dei miei monitor.
Ci sono le borse sempre pronte, ammassate in un angolo della stanza. Sono piene di domande e dubbi e di cose che avrò sicuramente dimenticato. C’è la strada lunga verso nord, i camion e le finestre che scorrono con dentro mille storie, penso che la mia non è particolarmente diversa dalla loro e quello che c’è di speciale in fondo s’incolla alla vita di tutti.
Quando parto lascio indietro il quotidiano, i computer che si rompono perché li ho usati davvero senza dargli tregua. Supererò anche questo, si può fare. Ecco che arriva il gatto bianco e s’acciambella su di me per dirmi che c’è sempre un buon motivo per stare “vicini vicini” e che è contento di vedermi, ogni tanto.
Un po’ come le persone e gli affetti lontani, si fa presto a dire: “la distanza non conta” ma come fai a riempire la mancanza. Finisci con il tradire un senso, per l’essere costretto ad una sola visuale, distorta e parziale. Lui arriva, con la sua massa di peli bianchi e all’improvviso sembra leggero come i pensieri meno felici che si porta via.

fiori di strada
Prima di partire penso sempre a come è iniziato tutto.
A quella risposta: “perché no?”.
Mi sono ritrovato sugli spalti a guardare Karen e Natascia, prima che avessero un nome loro, quando erano solo numeri di maglia e macchie colorate su un campo.
Si sono aggiunti altri nomi e numeri di maglia: Giorgia, Vicky, Sabrina e Georgina. Miki e Enrica, che a chiamarla Pallina ci pensano già gli altri. Ilaria. Le loro storie di sport sono diventate pezzi di vita, più o meno lunghi. Questo è il pensiero felice che porto con me ogni volta che sento il rumore del portellone del bagagliaio della macchina che si chiude.

fiori di strada
Il verde e il giallo.
Gli abbracci forti sulla linea laterale e i lucciconi anche se non si piange nello sport. Le lacrime incollano le storie come le pagine sottili di un libro fragile.
Le lacrime versate per una vita che compie una virata inaspettata e si frantuma e quella grande foto diventa un puzzle composto da mille altre piccole immagini. S’aggiungono altri volti. Sara e Diana. Nicoletta, Ersilia e Antonia. Pamela e Claudia. Se sei troppo lontano non le riesci a distinguere, devi avvicinarti molto, solo allora riesci a vedere i loro occhi. Arrivano anche i sorrisi, quelli che scaldano la pelle e asciugano il viso.
Quando parto la destinazione serve solo a calcolare le fermate per il metano. Ci fermiamo, perché il viaggio è più bello se non lo fai da solo.

fiori di strada
Mi guardo intorno.
Scruto poi la strada sotto i miei piedi e vedo che c’è ancora qualcosa davanti a me. Una vocina alle mie spalle canta che “la strada ti entra da terra…” e ci credo, ancora una volta.
Viaggiare informati e la radio sintonizzata su 103.3. Federica, tutto il calcio minuto per minuto, però quello vero, di quando eravamo bambini. Il primo ricordo sportivo, il rigore di Liam Brady a Catanzaro, lo scudetto alla Juventus. Lui che sarebbe andato alla Sampdoria. Nick Horby e Fever Pitch e perché a noi importa così tanto quando forse ci dovrebbe importare di qualcos’altro.
Livia e la bassa padana e Toby che abbaia se ti trattieni troppo a casa sua ma poi corre a nascondersi sotto il letto. Le latterie, le pasticcerie e Gino Fabbri e il suo cartonato che troneggia all’ingresso.
Le foto che fermano i ricordi, ma vanno stampate. Come quelle mentre indichi verso gli spalti perché ci siamo noi e poi alla fine la guardi e ti chiedi perché ma sei felice come un bimbo e il suo regalo di Natale.
Quando la vita mi fa inciampare, mi fermo a guardare le vostre maglie.
Sono pezzi di una vita spesa a inseguire un sogno.
Quelle che custodisco perché erano piene di brutti ricordi e quelle che ho ricevuto in dono. Quella che ti vergognavi a regalarmi e quella che mi ricorda il mio compleanno. Quelle che devono arrivare e quelle che non arriveranno. Quella del tuo primo scudetto e che hai detto al tuo presidente di averla persa. Quella del tuo esordio in nazionale anche se è solo una replica, perché volevi portarmi quella vera, lo so.
Numero 11. Come la maglia di Tom Baker.
Numero 7. Come Michael Vick ’99 e se non l’hai capita vuol dire che ci conosciamo poco, se vuoi però questo è materiale per un’altra storia.
Un miao e c’è il gatto nero, quello che non ci vede troppo come me. Capitan Harlock salta d’improvviso sulle gambe e s’acciambella.
Alza il musetto, si sistema meglio. S’aggrappa al braccio e s’addormenta.
Sembra dormire felice, smetto di scrivere, mi dispiace disturbarlo.

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