Storie

Feritoie del Pallone – Serena Benvenuto

“E se tutto è un sogno, che importa.
Mi piace e voglio continuare a sognare”

“Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”

Luis Sepùlveda

Sud di Roma. Villaggio Azzurro, quartiere vicino al Torrino. Con Serena, passeggiamo vicino casa alla ricerca dei suoi ricordi e di “…..quel campetto di terra nel bel mezzo di un prato, dove di solito si sciolgono i cani durante le loro passeggiate….”. Seguo il suo passo respirando l’aria di Roma. Serena mi racconta: “Il campo è arrangiato, senza linee, solo l’erba intorno a delimitarne la grandezza, e due porte con pali e traversa, niente rete! Forse è qui che ho i primi ricordi di me e di un pallone, e chissà quanti anni avevo, perché da che ho memoria sono sempre stata innamorata del pallone”.

I campetti di periferia, Roma, il pallone, i ricordi di Serena… in un battito d’ali,  la mente vola a quella foto anni’50, nella quale Pasolini vestito elegantemente e scarpe di cuoio, gioca a pallone assieme ai ragazzetti di periferia;  sullo sfondo povero ma felice di una Roma in ricostruzione. Passeggio e ascolto la storia di Serena, del suo campetto di periferia e della sua innata passione per il pallone: “….. davvero non ho ricordi senza pallone, senza qualcosa tra i piedi di forma anche solo vagamente sferica, che rotolasse, anche se irregolarmente, ma che mi permettesse solo di far finta di giocare a calcio”. 

Io Serena la conoscevo già, ma lei era ignara di ciò, per questo mi sono messo sulle sue tracce. Settembre 2009, è domenica mattina. La mia auto attraversa una Roma ancora sonnacchiosa, a seguito del pulmino della mia squadra.  Direzione:  Sporting Club TorrinoDa vecchio giocatore e allenatore del maschile, mi prendo carico per la prima volta di una squadra femminile (il CF Scandicci). Al primo quadrangolare amichevole siamo invitati da Umberto Ferrini, dirigente di quel Torrino. Gli appassionati brizzolati come me, conoscono le origini di questo sport e anche un po’ le leggende. Solo il sentir parlare del Torrino, mi fa ancora oggi tornare alla mente campionati epici, nei quali le squadre di Roma imperavano. Erano i primi anni 90’ e la sfida continua era tra Torrino e BNLIl primo scudetto del Torrino lo ricordo ancora: 3.500 spettatori al Foro Italico, vinto contro i rivali di sempre nella stagione 92/93, grazie alle reti di giocatori che faranno la storia di questa disciplina; Ivano RomaGabriele Caleca e Andrea Rubei. Quest’ultimo collezionerà 88 presenze e 97 reti con la maglia della Nazionale (miglior realizzatore di sempre). Roma era questa! Una fucìna di campioni! E anche nel femminile, Roma darà una sua propulsione iniziale di rilievo al movimento. Quella domenica settembrina del 2009 era affollata da queste emozioni. Tra le fila dello Sporting Club Torrino, oltre a Diana Bellucci, Agnello, Sias e molte altre, giocava un giovane talento; Serena Benvenuto. Quando le chiedo un suo ricordo di quel giorno, sorride e mi dice; “Sono giovane…ma ho la memoria corta…”. Rido anch’io. Da allenatore ne rimasi impressionato. Seppur giovanissima, si vedeva che era cresciuta con il pallone tra i piedi. Ottima tecnica, dribbling naturale, bella progressione e capacità di calcio.

Benvenuto

Mentre camminiamo nel parco che l’ ha vista piccola, Serena prosegue nel suo racconto che coinvolge il papà; “Da piccola, con lui, andavo in giro per campetti o parchetti di tutti i tipi, di solito il sabato e la domenicaLui, ha sempre desiderato un figlio maschio con cui giocare, e di tre figlie femmine io, quella di mezzo, ero di sicuro quella che ci si avvicinava di più.” Ma il vero compagno di Serena è il pallone e se non c’è papà Benvenuto, lei va da sola al parco, pallone sottobraccio e via: “Se non c’era lui venivo sempre qui e giocavo, da sola, o con altri bambini, bastava che  giocassi.” Serena mi indica la zona della porta, dove calciava i suoi sogni e ricorda:  “Senza la rete, la palla calciata in porta finiva lontanissimo, di solito vicino ai cani che giravano per il prato con i loro padroni.  Io avevo paura dei cani da piccola, ma non faceva niente, la palla dovevo tirarla e poi riprenderla per forza”. 

La passione quando nasce con te non può esser fermata da niente, neanche i timori ancestrali ce la fanno! E neanche gli altri sport, che provano ad insinuarsi tra te e il pallone, negli anni della tua crescita. Serena fino al liceo pratica con impegno ogni tipo di sport. Mi dice con un accento inconfondibile: “Mai fatta scuola calcio, mai fatto parte di una squadra di calcio fino all’età di 14 anni. Fino a quell’età, ho praticato tutti gli sport possibili immaginabili: nuoto, tennis per qualche anno, minivolley (di cui ricordo quasi solo una storica pallonata in faccia con copiosa perdita di sangue dal naso per non so quanti interminabili minuti)addirittura pattinaggio sul ghiaccio da piccolissima (e non ne ho mai capito il motivo) e poi atletica.”   “Di sicuro”, prosegue Serena” lo sport mi è sempre piaciuto e ho fatto sempre tutto con passione e dedizione, ma ho sempre saputo che niente di questo era fatto per me, ho sempre voluto giocare, in qualunque modo, ma giocare a pallone.”

Sentir parlare Serena a voce bassa di questa sua passione, mi fa ricordare l’immagine di Marco Van Basten che da piccolo, prima di dormire, si metteva un pallone sgonfio in testa a mo’ di elmo, quasi a non interrompere il filo magico con il suo sogno. Serena però incalza con i ricordi, che stimolati non cessano più di fluire: “Addirittura per qualche mese, alle elementari, ho giocato nella squadretta di calciotto dei miei compagni di classe, in un campetto in terra vicino scuola; scarpini con i tacchetti, maschietti esterrefatti e soprattutto un allenatore che era la copia sputata di Alessandro Del Piero (il mio idolo da bambina, e ancora adesso) di cui ovviamente ero innamorata. È durata poco però, ero piccola e mia mamma non era molto contenta; e poi forse già avevo capito che il calcio a 11, o a 8, insomma all’apertonon era poi così bellodi sicuro non come il futsal. Forse, già inconsciamente avevo fatto la mia scelta”. 

Benvenuto

Ad ascoltarla, mi torna a mente proprio lo spezzone di un’intervista di Del Piero, idolo di Serena, a “Repubblica”. Il campione, raccontava la sua passione calcistica così; “ Lo sport mi è sempre piaciuto, giocavo un po’ a basket, a tennis senza maestro, però lo sport era il calcio e basta. Una passione irrefrenabile. Ero a scuola e pensavo alla palla, mangiavo con la palla e poi via, fuori”. Si scelgono idoli che inconsapevolmente ci somigliano e Serena non lo ha scelto a caso il suo! Tra lei e il pallone è amore. Così  irrefrenabile da  travolgere tutta la famiglia. Serena, ricorda così quelle emozioni ; “Ero talmente innamorata del pallone che sono riuscita a far giocare con mein camerain giardinoal parcoe in vacanzaanche le mie due sorellela più piccola, bravina in porta a parare i peluche che calciavo nella nostra stanzettae la più grande, completamente estranea ad ogni tipo di sport.  Per sfinimento, e per non sentirmi, giocavano con me finché non mi stancavo. Il problema era che non mi stancavo mai quando ero piccola. Mi ricordo tornei su tornei sotto il sole di questo campettoa sentirsi quasi male per il caldoa finire le partite sudati e impolverati, sbucciati e affamati, ma sempre con un solo pensiero…e la stessa domanda: domani stesso posto stessa ora? E poi vacanze passate in spiaggia con il pallone, al parco con il pallone, in acqua con il pallone, ovunque con il pallone! A questi bellissimi ricordi sono legati tantissimi amici, quasi solo maschi ovviamente, che per anni mi hanno accompagnato e hanno incoraggiato questa passione. Dai compagni di scuola a quelli del quartiere, dal mio vicino di casa agli amici del mare. Per tutti ero “la femmina che giocava a calcio”! C’è una fase ludica nell’infanzia di Serena, che luccica nei suoi occhi azzurri quando la racconta. Si respira libertà, voglia di sognare ma non senza un pallone e son certo che gran parte del suo bagaglio tecnico, Serena lo abbia sviluppato in quegli anni nella “Scuola calcio della strada”. Quando le chiedo della sua prima “squadra vera”, ci sediamo sul prato.Serena ci pensa su, ripone nella sua mente i ricordi spensierati e con immancabile ironia racconta: “Fosse stato per mia mamma avrei fatto ancora nuoto a 14 anni ma, la figlia di un collega di mio padre giocava vicino casain una squadra amatoriale. L’allenatore di fatto era un ragazzo, che in realtà allenava il basket, ma che per noi andava più che bene. Allenamento qualche sera a settimanae poi tornei amatoriali fino alla fine della stagione. Poi la chiamata della Lazio CVM, appena diventata campione d’Italia, e io, appena sedicenne, con davvero poca esperienza, se non quella per campetti con i ragazzi. Da lì di strada ne ho fatta, in termini di anni passati e partite giocate ovviamente, e forse sono cambiata tanto. Solo la passione è rimasta la stessa!” 

Benvenuto

E in effetti il percorso di Serena è tutto in crescendo: parte come si deve, dalla gavetta, essenziale per forgiare il carattere e mettere alla prova la passione, Serena, ricorda bene: “Degli anni di serie d, e c, è praticamente impossibile dimenticare il freddo preso nei campi all’aperto, tanti davvero fuori mano, e fatti malissimo; ma è impossibile dimenticare tutte le persone incontrate in un percorso che ormai sta diventando davvero lungo!” E con umiltà aggiunge: “Qualcosa di importante l’ho anche vintodi gare da dentro/fuori ne ho giocateE poi a 20 anni vincere il campionato under 21, o il torneo delle Regioni, era qualcosa di unico”. E come non darle ragione! Vincere in qualsiasi categoria e a qualsiasi livello ha valore e comunque ti rimane dentro per tutto il tuo percorso. Ma siamo solo all’inzio della crescita di Serena, come mi racconta “La prima “vera” esperienza importante è stata allo Sporting Torrino. Un anno e mezzo di vittoriedalla Coppa Lazio, al Campionato Regionale fino alla conquista della Coppa Italia con anche qualche brutta sconfittacome quella alle finali scudetto. Ancora ci dicono che era solo fortuna; ma la fortuna non esiste, eravamo troppo più compatte, concrete, agguerrite e felici! Che esperienza! Quelle sono annate che ti porti dentro per tutta la carriera, così come tutte le persone che hai incontrato in quel percorso!”

Mentre il futsal femminile cresce, perdo le tracce di Serena; quel settembre 2009, avrei scommesso su quel talento naturale che giocava con l’aria un po’ altezzosa. Ma lei nel frattempo non si è persa, anzi ha scelto la strada più ardua: quella della maturazione. Così lei racconta questa fase, che inizialmente sembra di parziale smarrimento: “Dal Torrino, ho cambiato tante squadre, e per anni non ho trovato un posto dove fermarmi davvero e sentirmi a casa. Un po’ come questo  campetto di terra, brutto da vedere, davvero povero, con la terra che fa polvere e dove a volte è complicato anche vedere…ma che per me è casa!” Con un sospiro di sollievo aggiunge: “…finalmente poi mi sono fermata, in un ambiente dove ho trovato tanto di quello che cercavo. All’apparenza “povero”, difficile, serio, che richiedeva tanto sacrificio e tanto impegno, dove prima veniva il lavoro, quello vero, e poi dopo i risultati, ma quelli ne erano solo la conseguenza logica, non la priorità.”

Benvennuto

Avviene in questa fase la maturazione di Serena, almeno ai miei occhi, che la rivedono indossare la maglia della S.S. Lazio con la fascia di capitano addosso. E’ meno esuberante ma più sicura, sa come si sta in campo e come si rappresenta una squadra. Come è arrivata sin lì le chiedo; “ Son stati 6 anni intensi e interminabili. Vittorie bellissime, tante e meritate ma anche sconfitte dure, brucianti, dalle quali ci siamo sempre tirate su più forti. È lì che sono cresciuta, come persona e come giocatrice; sono cambiata, ho imparato tanto di questo sport e di come lo si vive . Lì di persone che ti segnano ne ho incontrate davvero tante, soprattutto di quelle che ti rimangono nel cuore per sempre, anche se non ci sono più. E anche li si è cambiato tanto, campo, persone, ambizioni…ma io non sono più riuscita ad andarmene, forse perché questo posto ancora un po’ mi ricorda il mio campetto, forse perché per me questa è casa! “

Nel giugno 2016 arriva anche la chiamata in Nazionale, Serena ha raggiunto ciò che merita ma è tutto fuorché stanca. E’ cresciuta anche fuori dal campo, finito il liceo classico, si è laureata: indirizzo scelto Terapia dell’età evolutiva. Le chiedo se ama leggere, lei mi risponde: “Molto! Ma ho davvero poco tempo e la sera mi si chiudono gli occhi, anche se il mio libro preferito ce l’ho ed è legato all’infanzia “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”.

Benvenuto

Gli sforzi di Serena sono in gran parte dediti alla sua passione, il futsal, e al ruolo rivestito in squadra: il capitano. Lei alla fascia da un valore di alto spessore, mi racconta infatti un aneddoto bellissimo oltreché denso di significato: “A giugno, mentre ero al raduno della nazionale, guardando Sky sport, ho sentito dire una frase da Serse Cosmi, che probabilmente ha pronunciato così, senza sapere che qualcuno l’avrebbe fatta sua come “filosofia di vita, e di sport”: “l’appartenenza è avere gli altri dentro di se.” A me” aggiunge Serena “piace pensare che dentro di me, dentro la passione che metto in questo sport, nel duro lavoro, nei sacrifici, nei sorrisi e nelle lacrime, ci siano tutte le persone che ho incontrato in questi anni, da quel campetto in terra, al parquet nero del Palagems. “Credo che Serena, rappresenti l’ideale del capitano perfetto e che abbia accettato con sacrificio ad imparare a volare sicura. L’auspicio è che non smetta mai di farlo. Si può sognare e non smettere di volare, prendendosi anche la licenza di osare laddove le vette sono più alte.

Benvenuto

La mia ora di libertà è terminata, saluto Serena, lei contraccambia con gentilezza. Vorrei che il futsal fosse questo e non le sue infinite contraddizioni. I trofei sono i più grossi accumulatori di polvere, sin dal giorno dopo che li hai vinti, le storie e i sogni dei protagonisti rimangono e sono il vero cuore pulsante di una disciplina sportiva.

 

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