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Due a Zero

Due e zero.
Due punto zero.
Due a zero, forse.
In questa storia contano però, solo questi due numeri: il 2 e lo 0.
E’ una vicenda che va raccontata ora, non si può aspettare l’alba di un nuovo giorno.
L’orologio segna quasi le due del mattino, forse è tempo di dormire, ma io non posso concedere tregua allo scorrere dei minuti, il domani sarà un lusso che non mi posso permettere.
Qualcosa nel nuovo giorno cambierà questi ricordi, non saranno mai nitidi come lo sono durante questa lunga notte.
Quando vi capita qualcosa di straordinario, non volete mai che finisca e quindi guardate scorrere il buio della notte, sperando che la luce del giorno arrivi il più tardi possibile.
Due.
Non è semplicemente la somma di due unità, è qualcosa di più.
Uno.
Il primo sack di Emanuele, la promessa di incorniciare una sua maglia autografata, la gioia e i pensieri confusi. Federica che sorride e piange e non ho capito bene quale delle due cose abbia fatto prima, i sorrisi di Anthea e le mie braccia alzate sulla sideline opposta.
Uno.
Paolo che si volta verso la sideline, punta l’indice verso di me è sorride, come se avesse ricevuto lui un regalo speciale. Mi ricorda una promessa da onorare, un posto per il suo amico tra i miei ricordi più importanti, qualcosa che non è per lui, ma per suo “fratello”.
Due.
Vorrei dirvi che non ero commosso, vorrei potervi dire che non è accaduto davvero, vorrei poter dire che è tutto frutto della mia fantasia, invece, è accaduto, davvero.
“Games may come and go, but friends are forever.”
La foto allegata alla copertina di questo pezzo, l’ho vista qualche giorno fa, confesso di aver pensato a voi due, Ema e Paolo. Quella familiarità strana e speciale, quella che dura per sempre, quella mia con Suorgy (Gabriele), perché amicizie così, capitano una volta nella vita. Vivrete vittorie e fallimenti, quando quest’ultime incroceranno lal vostra via, ci sarete l’uno per l’altro.
Siete nelle lacrime di Federica, nei suoi pensieri e nei suoi sorrisi, siete in ogni chilometro che abbiamo percorso in questo lunghissimo giorno di quarantotto ore, siete nelle nostre parole.
Quando siamo tornati a casa e ci hanno chiesto com’era andato il viaggio, noi, abbiamo raccontato di voi.
Uno.
Lorenzo.
Overachiever.
Non è un giocatore con straordinarie doti fisiche ma è un giocatore STRAORDINARIO.
Mi perdonerai se prendo a prestito delle parole di Billy Curry per raccontare l’orgoglio che provo nel vederti giocare.

Non l’ho mai visto tirarsi indietro, non una volta. Quando è contrariato e si lamenta per qualcosa, è sempre dopo aver fatto sul campo quello che gli hai chiesto.
Uno.
Manuel.
TFL. Tackle for a Loss. Uno, due. Ci sono forse anche il tre e il quattro, ma non importa davvero. Lui è Sullivan. Rincorre gli avversari con quell’incedere particolare e poi arriva l’implacabile tackle. “Li abbraccerò tutti!” corre e ogni volta mi chiedo come faccia a non cadere ad ogni passo eppure a modo suo è veloce, raggiunge l’avversario e sono atterra. In questo fotogramma della partita, solo a due passi di ritardo trovo Lorenzo, Mike Wazowski.
Due.
James “Sulley” P. Sullivan e Michael “Mike” Wazowski.
Li puoi ritrovare in un autogrill a confabulare con Sulley indeciso su quale “patata” scegliere e Mike che lo guarda sconsolato scuotendo la testa.
Uno.
Lorenzo. Buona la prima, la seconda e anche il field goal bloccato. A dirlo è un “field goal” believer come me, uno che crede ai tre punti più che alla conversione dei quarti down. Mostrare agli avversari che c’è un giocatore capace di buttarla dietro la casa alla fine del campo può cambiare l’inerzia di una partita.
Uno.
Alexei, dovrei averlo scritto bene. Per il sorriso a fine partita, per non averci capito molto senza tirarti mai indietro.
Due
La squadra, tutti quelli che ho dimenticato di menzionare, Nevio per l’intercetto che si ritrova in mano. Daniele per il fuorigioco che regala agli avversari un primo down in un momento importante della partita per le tue manate sul casco perché sapevi di averla fatta grossa. Sei rimasto li, non ti sei arreso e poi il colpo che provoca il fumble che ricopri solo qualche giocata dopo. Quella tua risata strana che risuona per tutto il campo mentre t’aggiri ancora con il pallone degli avversari tra le mani. Per quanto brutta possa essere una situazione, restate li, combattete, l’occasione giusta anche se non la vedete è solo qualche down più in la.
Uno e Due.
Grazie ai Grizzlies, senza un avversario non c’è una partita, senza di loro non ci sarebbe una storia da raccontare. Non vorrei essere il punter dei ragazzi con la zampa sul casco in un momento come questo eppure c’è una lezione anche in una partita così, c’è in ogni angolo di una partita.
Perché c’è un drive nei minuti finali che non è facile riuscire a mettere insieme, perché c’è una fiducia da costruire l’uno nell’altro, perché c’è una fratellanza che si fortifica proprio in partite come questa.
Sono un pessimo cronista, lascio questo compito ad altri, questa è la mia versione della storia.
Tu, INDARNO, che leggerai queste righe senza capirle e già ti immagino intento a digitare su google cercando spiegazioni, ti regalo il pensiero di Antonio:“E stamme su no nun rosicà,se anche quest’anno ce vedi giocà, ce vuoi morti ma nun te proccupà, puoi continua solo a gufà. Ma quale kit..kit…”. Le due del mattino, le nostre facce stanche, le birre e nel cuore l’idea che ogni tanto qualcosa di buono accade davvero.
Grazie ragazzi, tutti.

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