Incontrate Diana al mattino, tra la colazione e il pranzo, in quel momento della giornata ancora troppo lontano dalla partita.
Sembra di conoscersi da una vita, c’è quella magia tutta particolare che hanno le donne di sport quando s’incontrano e le guardi ammirato, le ascolti come rapito da un vortice di ricordi.
Come se fosse una questione di emozioni, di terreni diversi ma comuni, di cicatrici sul cuore, di sudore e lacrime.
“Ci vediamo più tardi…”
Non esiste nulla che possa tenerti lontano da quel palazzetto, le ragazze della squadra di Federica chiamate a raccolta, le maglie indosso, pronte sugli spalti. Tu sei arrivato in anticipo, perché non è un giorno come gli altri nemmeno per te, ma non riesci a spiegarlo nemmeno alla tua famiglia perché è così importante, perché conta esserci.
Le ragazze ti chiedono curiose, vuoi che vedano come giocano i campioni, cosa serve per essere a quel livello, cosa vuol dire essere squadra.
La partita corre nervosa, la posta in palio vale una stagione, per tutte e due le squadre.
Le domande e le risposte si rincorrono fino al vantaggio del Montesilvano.
Il gol porta le ragazze di casa un passo più vicine a loro sogno.
Guardi le ragazze in blu e arancio, all’improvviso puoi leggere i loro nomi sulle spalle, sono tutte rivolte al campo, protese in avanti.
Le voci si diradano, gli occhi ora seguono il gioco.
Si stabilisce quel rispetto per le sorelle che si battono in mezzo al campo, non importa lo sport che si pratica, la tensione, l’emozione è qualcosa di comune.
Quando il tabellone segna il 2 a 0, ti chiedono tutte in coro “è fatta…vanno in finale così?”. Solo ai supplementari ma questa volta ci crediamo, tutti.
Ti tieni questo pensiero in fondo al cuore, come se fosse una cosa fragilissima.
A rompere quel desiderio prezioso è un colpo dell’unico giocatore della Lazio capace di vincere la partita da sola. La maglia numero 10 sulle spalle e classe da vendere.
La sirena, manda le ragazze al riposo e i dubbi ora li vedi dipinti sui visi.
Gol così uccidono le partite, distruggono le squadre.
Il secondo tempo scorre, cercando quel gol che possa far luccicare ancora il sogno della finale.
Gli occhi e la mente cercano di trasmettere la voglia al corpo, ma questo non risponde.
Ti ritrovi a sperare che la Amparo rompa la partita, che trovi un modo per stampare la palla in fondo all’angolo.
Francesca, si muove lungo la linea, s’abbassa come a cercare una nuova prospettiva, una nuova strada per raggiungere l’obiettivo, per tagliare quel traguardo.
Solo qualche domenica fa ti sei ritrovato anche tu a due passi dall’erba del campo, a cercare uno spiraglio per quelle ragazze meravigliose in bluearancio, per aiutarle a risalire la china e veder premiato il loro lavoro.
Quando lo speaker annuncia che manca un minuto alla fine, a tutti salta un battito del cuore.
“Come quando l’arbitro ci annuncia i due minuti”, Michela guarda il campo e riflette ad alta voce.
Non c’è più tempo e speri che Sara si faccia dare la palla e trovi quello spazio sotto la traversa dove solo lei può indirizzare la palla e dove il portiere non può arrivare.
La sirena spezza il sogno.
Vinci ma sei a casa.
Hai perso due volte in un’intera stagione e non hai vinto nulla.
Nessuno si muove, non ci riesci tu e non ci riescono le ragazze.
Con quei cuori sul campo ora condividete la stessa incredulità, lo stesso dolore sportivo, le stesse lacrime, lo stesso sudore che ti cola sul viso.
Come fai a spiegarlo agli altri, come puoi pensare di raccontarlo.
Ammiri Francesca per la capacità di rilasciare un’intervita al termine della partita, a te scatta il mutismo selettivo, odi così perdere, più di quanto tu voglia vincere che per qualche istante ti fermi come a voler assorbire il dolore dei tuoi giocatori per poterlo risparmiare a loro.
Non sei bravo con le lacrime delle donne di sport, ti neutralizzano.
Vorresti abbracciarle come hai potuto fare con quelle che indossano casco e spalliera.
Abbracci Federica e la sollevi un po’ da terra, gesto che ripeti dopo ogni partita.
Forse non è nulla per voi, non vi consola della sconfitta eppure avete fatto qualcosa di splendido semplicemente con il vostro essere meravigliose donne e atlete.
Hai portato Giorgia a vedere come gioca un vero leader, come Sara guida la sua squadra, come i campioni si assumono le responsabilità, come si gioca da “grandi”.
Non hai mai pensato che quell’esempio potesse bastare eppure oggi all’improvviso Giorgia è diventata un po’ Sara. L’hai vista parlare della squadra, come se fosse la SUA squadra, come se fosse suo compito guidarla, come fanno i leader, i campioni, quelli veri.
La stessa luce negli occhi, la stessa determinazione.
Grazie, ci hai regalato un campione e forse non sai nemmeno di averlo fatto.
Diana è la pietra sulla quale si costruiscono le squadre, le grandi squadre. Vero, questa stagione segna uno zero sul tabellino sportivo, che non possiamo aiutarti a cancellare. Puoi segnare un bel UNO però sulla tabella delle emozioni, sei la benvenuta sempre, perché possiamo raccontare di aver visto giocare un campione vero, un atleta e una donna da poter additare come esempio. Di quelli che ci provano fino alla fine, di quelli che si battono e continuano a farlo fino a quando il suono della sirena non si è spento nell’aria.
Grazie alla Amparo, l’atleta e la donna non si scindono, se una sola delle nostre ragazze sapesse correre come te, con la tua determinazione, non avremmo bisogno d’altro.
Grazie a Bruna, Ersilia e tutte le altre meravigliose donne in questa pazza stagione di sport.
Le vostre lacrime erano le nostre, di tutti noi, il perché forse non riesci a spiegarlo nemmeno a te stesso.
Eravamo ad applaudirvi su quegli spalti, mentre eravate esauste sul parquet.
Avete il nostro rispetto e il nostro affetto.
Federica e Diana
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