Futsal

31 Maggio 2015

Sono le 00.30.
E’ stata una giornata così ricca di emozioni che ora i pensieri si rincorrono nella testa e finiscono per accavallarsi e fare “caciara”.
Sono stanca, provo però a riordinare le idee.
2 – 1
Quando vincere a volte non è abbastanza.
Sono settimane che invito le mie compagne a vedervi giocare.
“Dovete venire assolutamente a vedere come si  gioca da campioni”.
Riusciamo a organizzarci per venire insieme, con le nostre maglie, nonostante il caldo assurdo che ci fa sudare prima ancora che l’incontro sia iniziato.
La partita si preannuncia combattuta, intensa, fisica.
Sugli spalti c’è il pubblico delle grandi occasioni: ci sono i fedelissimi, che non hanno perso neanche un minuto di questo campionato; ci sono gli amici, i parenti; ci sono quelli che assistono a una partita di calcio a cinque per la prima volta; ci siamo NOI.
Il livello altissimo del gioco coinvolge tutti, anche Karen, il nostro capitano, che chiede e si interessa e riuscire a rispondere alle sue domande un pò mi rende orgogliosa.
Di Turi segna un gol che non ti aspetti, uno di quelli che ti lascia piacevolmente a bocca a perta.
“Hai visto?” Sorrisi e stupore.
La bella Bruna, con le sue gambe lunghe, firma il raddoppio.
Un gran bel gol, di quelli orchestrati a dovere, costruito dalla squadra.
Il doppio vantaggio fa ben sperare quando, a 45 secondi dalla fine del primo tempo, La Lazio chiama time out.
Ops.
Ecco quello che ho pensato.
Ops.
Mi avvicino a Karen dicendole che il tempo è relativo in questo sport, come dovrebbe essere nel nostro. “Vedi? Chiamano time out a quarantacinque secondi dalla fine, c’è ancora una partita intera da giocare prima di rientrare negli spogliatoi”.
Il suono delle mie parole non era ancora sparito che qualche battito di ciglia dopo arriva il colpo di biliardo di Lucileia.
Precisione balistica sul primo palo e suono della sirena.
Solo poche ore prima, davanti ad un cappuccino fumante, parlando con Diana ci siamo trovate d’accordo su un punto: il Montesilvano è una squadra, un collettivo migliore.
La Lazio è forte si, ma se vince, lo fa con un numero.
Il secondo tempo vede occasioni non colte e la stanchezza inizia a pensare nelle gambe.
Come vi capisco.
Il tempo scorre inesorabile sul grande tabellone in fondo al palazzetto.
Negli ultimi minuti Bruna diventa portiere di movimento.
Si gioca il tutto per tutto, fino alla fine, con un ritmo forsennato, fino al rumore sordo, la palla che si perde lontano sull’angolo alto della porta della Lazio.
Sirena.
Ci avevo creduto.
Cavolo se ci avevo creduto.
2 a 1 e non basta.
Per la quarta volta in due mesi mi ritrovo a provare la stessa sensazione di impotenza, quella che provi quando sai che avresti potuto farcela, che avresti potuto vincere.
Quella che ti fa visualizzare tutte le occasioni  sprecate, quando ti riempi la testa di un milione di “ma se” ma il risultato non riesci proprio a cambiarlo.
Osservo i vostri volti stravolti dalla fatica, i vostri visi rossi e gli occhi gonfi di lacrimoni.
Non riesco a pensarci senza che un laccio arrivi a serrarmi e le lacrime mi velano gli occhi.
La finale era un gol più avanti.
Un pezzetto di palo più in là.
In questi casi è facile pensare a quanto tutti gli sforzi fatti durante l’anno, tutte le vittorie collezionate in campionato siano state vanificate in un attimo e non siano servite per raggiungere l’obiettivo.
E’ doloroso, brucia.
Pensandoci bene e a mente fredda però, so benissimo, e credo anche voi, che non è proprio così.
Siete state capaci di farmi appassionare a uno sport totalmente sconosciuto per me, mi avete regalato emozioni intensissime riuscendo a farmi vivere l’attesa della partita come un momento sacro, come se fosse la mia partita.
Mi avete regalato il vostro impegno e la vostra dedizione, il vostro talento e la vostra passione.
Mi avete permesso di vivere una storia meravigliosa e mentre scrivo riesco a visualizzare uno ad uno i vostri volti, i vostri nomi.
Avete vinto tutta la mia ammirazione, io porto a casa tantissimi regali speciali.
Non sarò nessuno, ma per me siete un trofeo enorme.

Sara.
Sentirsi chiamare per nome e non capire da dove proviene la voce, poi da un’improbabile Twingo spunta il volto di una donnina con indosso una polo bianca.
Guardo meglio e vedo te, capelli sciolti e ancora bagnati.
Che donne che siete senza coda.
Ho solo le mie parole e i miei pensieri da poterti regalare, nulla di più.
Posso dirti solo grazie, un’infinità di volte.
L’intensità con cui vivi la partita traspare dai tuoi occhi e si riflette nel tuo sorriso a mille denti una volta fuori dal campo.
La passione che hai per questo sport ha il suono dei tuoi passi sul parquet, pesanti e veloci, che tornano a coprire a fatica un avversario, costringendolo alla linea laterale e a perdere il possesso del pallone.
Bum, bum bum.
Il calcio è la tua scelta di vita e le tue compagne sono la tua famiglia.
Proteggi e lotta per quello in cui credi.
C’è una donna meravigliosa sotto quella maglia bianca e blu, una di quelle che sei fortunata a incontrare anche solo per cinque minuti.
Una di quelle che sa che anche qui c’è casa, la sua casa.

Francesca.
Dito puntato, piedi in campo e la responsabilità di una squadra come l’Icobit Montesilvano, che punta a raggiungere il massimo. Durante l’intervista dopo partita dentro di me pensavo “ora rompe il microfono e poi mangia la testa dell’omino intervistatore”.
Per un momento ho anche immaginato la scena.
Sei stata brava, lui è ancora vivo e porta a casa una dichiarazione a caldo dopo una partita come quella di oggi.
Essere mister in momenti come questi,  non deve essere affatto divertente.
“Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”  era la frase con la quale Boniperti spiegava la Juventus ai nuovi acquisti.
Niente di più vero, poi penso all’Inter del triplete, quella che ha preso 22 campioni che hanno portato tre trofei in un anno, quella che l’anno successivo si è trovata con il peso della vittoria e una squadra smantellata.
Niente gruppo uguale niente storia.
I trofei sono belli, certo eppure quell’ondata improvvisa ha distrutto il loro futuro.
C’è da lavorare perchè c’è sempre da migliorare, soprattutto se si vuole vincere, ma se c’è una Squadra, si è già a metà strada.
Ho seguito i tuoi occhi per tutta la partita e li ho visti poi salutarmi da dentro un’auto scura che li rendeva ancora più evidenti.
Tra sorrisi e lacrime.
“Ci sentiamo!” e poi via.
Ti stimo come donna, ti stimo come mister.

Diana.
Sei un vulcano, un fiume di parole nel quale ci si lascia trasportare volentieri.
Una donna da un cuore grande, proprio grande. Bastano due secondi per capirlo, basta ascoltarti.
Domani ti sveglierai e il sole sarà sorto anche per te.
Ci saranno il tuo caffè e il tuo cornetto a ricordartelo.
La vita a volte fa giri strani e, se ho imparato qualcosa in 31 anni è che non sai mai cosa ti aspetta domani e che spesso, dopo una delusione o una sconfitta, si trova l’occasione migliore e la vittoria più grande.
C’è sempre una possibilità dietro l’angolo, una nuova sfida che ti aspetta.
Che sia a Montesilvano piuttosto che in Nepal o in Nuova Zelanda poco importa.
Continua a camminare sulla tua strada, anche quando fa svolte così ampie da non riuscire a vedere l’orizzonte, è solo una curva.
Grazie per le tue chiacchiere, per i tuoi sorrisi, per quelle lacrime trattenute a stento, per la tua voce tremolante e per quell’abbraccio a fine partita.
Dovunque ti porti la vita ricorda che Montesilvano è parte di te e che in questa città ci sono persone felici di averti incontrato e che ti aspettano quando vuoi.
Io sono una di quelle.

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