Football Americano Femminile

Karen

Karen

L’hai sentita chiamare in mille modi, Karenpillar, Kraken e via così.
L’hai conosciuta sul campo da football, l’hai guardata giocare e hai prestato attenzione allo sguardo del suo papà incollato al campo, mentre la sua piccolina si volta verso gli spalti, le braccia al cielo, dopo l’ennesimo tackle.
E’ insopportabile Karen, spigolosissima, intensamente se stessa, incapace di accettare la possibilità che si sia sbagliata in qualsiasi ambito.
Le vuoi bene, in quella maniera incosciente e infantile, come si fa con una sorella più piccola, così come si fa con un pezzo del cuore.
La tua passione per lo sport è soprattutto indirizzata a quelle storie, a quegli atleti che rendono degno di essere vissuto l’evento sportivo.
Un incontro, una partita non è soltanto nel gesto tecnico, lo si trova meglio rappresentato nei piccoli dettagli, nelle sfumature dello sguardo, nel rapido susseguirsi dei momenti.
Negli anni, non moltissimi giocatori hanno catturato la tua attenzione, in pochi si sono ritagliati un posto nel tuo cuore, non molte sono diventate storie.
Fernando Torres, el Niño.
La faccia pulita del ragazzino cresciuto sul parquet del futsal, il diciottenne che si carica sulle spalle l’Atletico Madrid, il figlio del popolo che diventa bandiera del Liverpool.
Quegli anni con i reds, quando il ragazzo biondo di Madrid spaccava le difese inglesi, come se fosse naturale, per quella sua umiltà, il mai essere in campo fuori dalle righe, quel suo ringraziare prima la sua famiglia, poi i tifosi.
Hai confessato che se fosse mai arrivato a Torino, saresti andato alla presentazione a tirare reggiseni, come fanno le ragazzine che vanno ai concerti della boy-band di turno.
Gli hai perdonato la parentesi al Milan ed eri in ginocchio con i pugni in aria quando con indosso la maglia biancorossa ha segnato il gol che ha eliminato il Real Madrid dalla coppa del re.
Stai per fare a Karen un complimento del quale ti pentirai, solo per qualche secondo.
E’ il momento di confessarlo.
Guardare giocare questa magnifica donna a football americano è come guardare Fernando Torres giocare con la maglia del Liverpool.
Qualcosa sembra afferrarti la gola, stringe e l’emozione rimane li, fino alla fine.
Può spaccare la partita quando vuole, cambiare marcia e dominare. Vive la partita come se fosse nel suo elemento naturale, come se non avesse fatto altro nella sua vita.
Ammiri quel suo modo di giocare fatto di altruismo totale, nulla nei suoi gesti è per la sua gloria personale, lei c’è per la sua squadra, lei c’è per le sue compagne.
La vedi ansimare con il paradenti che penzola fuori dal casco eppure torna in linea, ancora una volta, ancora un’azione. Lei ci crede e la più piccola della squadra ci crede con lei, perché non la puoi abbandonare perché lei lascia tutto dentro il campo.

“So che non sarà mai possibile, quest’anno ho tentato di imitarla in tutti i modi possibili per essere in campo almeno in parte simile a lei” – Giorgia

Gioca dove serve, quando serve, non importa se non ha mai provato, si butta nella mischia, tappa la falla e tiene la sua squadra a galla.

“È lo spiraglio di luce quando si offusca la vista…” – Enrica

Per te Karen è nell’impatto con un’avversaria, l’esatto angolo di attacco per il tackle, il suono dell’impatto e poi lo strusciare di corpi sull’erba. Come in un perfetto tiro alla goriziana, “tum, tum, fluuuush”.
Lei è in un “Ehi…!!!”, nei capelli matidi di sudore e nell’abbraccio con il suo papà.

“Karen o la ami o la odi. E’ esigente e “cocciona”.
Io ho visto i suoi occhi gonfiarsi di lacrime appena messo piede in end zone e cercare subito dopo qualcuno con cui condividerle. E’ una romanticona.
Non manca mai un tackle eppure è capace di abbandonare un’auto in corsa se vede un ragnetto o nascondersi dietro la compagna più piccola se per caso scorge uno scarafaggio nello spogliatoio.
In fondo è un pò cucciola pure lei”. – Federica

Ci sono due abbracci con cui sigilli ogni dopo partita, in uno c’è posto per Federica e Giorgia in un solo colpo.
Nell’altro c’è posto solo per Karen.
C’è un pudore tutto speciale, come se non doveste far vedere che vi importa della felicità dell’altro, invece vi importa.
Quando si spengono le luci del campo, ti fermi a guardare ancora una volta il terreno di gioco.
Una figura sbiadita tra le ombre ha indosso la maglia numero 47, corre verso l’esterno, rompe due tackle e vola via incontro alla felicità.

“Ho avuto modo di conoscere davvero Karen sono in questa stagione eppure ero nella stessa squadra. Ora con lei divido davvero il campo e non solo. Qualcosa ostacolava il nostro avvicinarci, una volta rimosso… mi sono sputata in faccia per essere stata così debole.
Siamo come Totò e Peppino, tanto in giro per negozi a comprare borse che impegnate nel coin toss ad inizio partita. Quando sono in campo cerco sempre lei e poi posso tirare un respiro di sollievo.
Karen è quella persona che C’È, è sempre presente, sempre pronta.
Gli spigoli del suo carattere, sono l’altra faccia della sua sensibilità. ” – Natascia

Nello spogliatoio la sua voce è quella che tuona, ricordi l’eco della sua furia risuonare tra muri che odorano di canfora e umidità, solo un anno fa. Niente è più grande della squadra, nessuno è più importante di quel simbolo sul casco.

“Quando penso a Karen mi viene in mente che si scorda spesso le mutande o i vestiti in palestra ma poi in partita non c’è schema o formazione che non conosca. Se ci penso meglio però c’è una cosa difficile da dimenticare, le sue lacrime di commozione e di gioia dopo il primo touchdown.” – Alessia

Sei stato fortunato a fermarti su quel campo di periferia due anni fa, fortunato a guardarla negli occhi e vedere la stessa luce che hanno i campioni, quelli veri.
Se andasse a giocare altrove, probabilmente vincerebbe il campionato ogni anno.
Questa però è la sua famiglia, queste sono le sue sorelle, qui lei è IL CAPITANO.
Vorresti regalarle uno stadio pieno, che canta “C’è solo un capitano…un capitano”, perché le vuoi bene così, come un intero stadio che canta il suo nome.

“Io non conosco bene Karen, non bene quanto te o le altre, ma se penso a lei mi viene in mente la parola “Άρετή” che in greco significa virtù, pregio, valore e coraggio, ma anche gesta gloriose e opere mirabili. Karen è tutto questo, lo esprime a pieno.” – Anthea

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