Football Americano Femminile

Diario di Viaggio – 7

Le storie, quelle vere, quelle belle, “fanno giri strani e poi ritornano”.
Karen.
Questo racconto, il tuo, il vostro, si è chiuso ieri sulla linea delle venti yards, con le lacrime e un pugno di ghiaccio compresso contro la gamba.
Era iniziata con un “ngulammente” lanciato verso gli spalti e finisce tanti, troppi mesi dopo con un sorriso e la consapevolezza che le parole di Antonio, nel momento della tua massima felicità sportiva erano una carezza e non uno schiaffo.
“Non capita di vincere spesso, goditela”.
Quel giorno è il passato, questo campionato è già ieri, oggi si pensa al futuro a costruire quella che gli anglosassoni chiamano “legacy”, una storia, una tradizione per una squadra che prescinde dalle persone che la compongono, che deve diventare più grande di voi.
Il tabellino recita 26 a 12, c’è il suono della sirena dell’ambulanza, nemmeno fossimo sul luogo di un incidente automobilistico. Ci sono le voci dei bambini, le urla dagli spalti. Al centro ci siete sempre voi, per quanto strano, ieri eravate una squadra, di football americano. Sembravate quasi vere.
La consapevolezza di esserlo ha reso la sconfitta, meno dura. In due anni che vi seguo, ieri, per la prima volta, avete sorriso e scherzato nell’huddle a fine partita, anche dopo la seconda sconfitta di fila in campionato.
“Non abbiamo perso, non è tornata in tempo l’ambulanza”. Lo scoppio di risa, l’abbraccio di tutte. Non una parola fuori posto, non una sola goccia di risentimento. Sul tabellino della partita i vostri nomi, su facebook le chiacchiere degli altri.
Questo è da campioni, il resto è solo ronzare di mosche sulla merda.
C’è ancora tanto da lavorare, sulla mentalità, su quell’idea che la squadra conta più dei singoli componenti e che si va in campo non per fare la nostra partita personale ma per essere l’ingranaggio di una macchina più grande.

Miki, ricordi la sabbia di Surbo e quella sequenza fotografica? Credo di avertela rammentata un milione di volte. L’hai gettata nel cestino dei brutti ricordi, per sempre. Ieri, sei stata PERFETTA. Il miglior corner delle Lobsters, “bump and run” e penetrazione della linea. Il ricevitore che gravitava dalla tua parte, cancellato.

La “roscia” Marinella, Defensive End. Scopre che li si trova come a casa, come se l’avesse sempre fatto. Invece questa è la sua seconda partita in assoluto, la prima in quel ruolo e sfodera una prestazione da applausi, veri e meritati.

Sulla linea laterale allineata come ricevitore c’è Francesca, fatico ancora ad imparare il suo nome perché non la senti mai parlare e a volte dimentichi che è in campo. Se la ricorda il cornerback che la marcava, spinto indietro così spesso che avrà pensato la volesse riaccompagnare sul pullman.

Natascia.
Se vuoi ti dico cosa ancora non va, nella meccanica del lancio, nel muoversi.
Il lavoro paga, sempre ed in contanti. La dedizione ti ha reso il giocatore che sei.
Dagli spalti vedono i lanci completati. Io vedo l’albero al parco, il lampione. Conto tutte le ore libere nelle quali potevi stare a casa a riposare e invece ci siamo ritrovati per provare e riprovare. Dentro di te eri sicura di poterlo fare, ora lo sanno tutti. Fatico a scrivere di te, perché questi ricordi per quanto brevi e intensi sono miei e di quelli che erano li, lontano dalle luci del campo a lavorare per te e con te.
Grazie. Per avermi sopportato, sono cosciente di essere irritante ogni ragionevole limite di sopportazione.
Grazie. Per aver mostrato a tutti la donna che sei e il giocatore che puoi diventare.

Chupachups.
Lo sapevo. Dentro al cuore ne ero sicuro. “It’s not the size of the dog in the fight, it’s the size of the fight in the dog.” Non c’entra nulla con il football americano, è una frase di Mark Twain. Come non c’entra nulla il tuo fisico minuto, eppure ieri, il cornerback che ti marcava ti ha cercato per tutta la partita ed è stato costretto a metterti le mani sulla maschera. Avessi preso io un blocco da te, sarei andato a fare la doccia e poi a cercare un club di burraco al quale iscrivermi. Un’estate passata a ricevere centinaia di palloni, troppo grandi per le tue mani, a mandar giù a fatica il boccone amaro di frustrazione e rabbia. Il casco arancione troppo grande, la maschera “sbagliata” e poi sei apparsa dal nulla a strappar via una ricezione che vale più di quello che ha registrato il campo.
Se lo desideri abbastanza, se lavori duro, puoi realizzare qualsiasi sogno.

A tutte voi, sulla sideline. Non importa quanto abbiate giocato o il vostro nome sul cartellino, siete tutte parte di una storia, di un pezzo di vita l’una dell’altra. Le emozioni che si condividono in campo, non vi lasceranno mai. Le difficoltà che avete condiviso vi rendono donne migliori anche fuori dal rettangolo verde.

Che l’estate, quella della spiaggia bollente e delle birre gelate, abbia inizio.
Concedetevi pure un attimo per ricaricare le energie mentali di un anno troppo intenso e sorridete quando giocate come vi ha ripetuto Aldo fino allo sfinimento.
Ci si vede sul campo…forse.

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