Football Americano Femminile

Vibria

L’hai atteso un anno questo momento.
Un campo spelacchiato sul quale allenarsi, un muro di cemento tutt’intorno e quel cielo blu sopra la testa.
Il lungo viaggio, quell’idea fissa conficcata in testa, profondamente. Giocare, davvero.
Una prima volta diversa da qualsiasi altra.
Nessun allenamento può prepararti a questa emozione.
L’autostrada scorre fuori dal finestrino, guardi il panorama correre via. Hai l’impressione di non avere forza nelle gambe, un pugno ti stringe lo stomaco. Vorresti scendere e tornare a casa, sotto le coperte. Ti guardi intorno, vorresti dirlo. Le altre sembrano così forti e allora un po’ di vergogni, ignara che forse tutte, hanno quella stessa sensazione che le scombussola il cuore. Continui ad andare avanti, perché non puoi fare altro, perché fortunatamente non sei tu a guidare.
Sali le scale verso il campo, sembrano non finire mai. Il peso dell’attrezzatura sulle spalle, quello per la partita nel cuore.
Lo spogliatoio, uno diverso dal solito, prepararsi e vestirsi. Qualche sorriso accennato, le parole di incoraggiamento lasciate a penzolare nell’aria.
Se ti chiedessi ora, l’odore dello spogliatoio, di ricordare i dettagli di quei momenti forse, faticheresti a pescare nel fiume di emozioni che ti ha travolta, quei piccoli attimi unici.
Fuori da quella porta, a qualche passo di distanza c’è una partita vera, l’avresti immaginato solo un anno fa?
Due universi che si trovano a collidere, c’è un campo vero, con l’erba sintetica, le luci e perfino il bar, così lontano dal campo polveroso di periferia al quale sei abituata. Lo spazio di un battito di cuore ti separa da un sogno, impossibile solo a chi non è capace di crederci abbastanza. Questa è anche la tua festa.
Sulla linea, davanti a te maglie che non conosci, occhi e mani pronte ad invadere il tuo territorio.
Spesse linee di colori, il tuo corpo che reagisce, qualche secondo dopo che la tua mente ha registrato il movimento del pallone. Il primo colpo, la tua compagna in terra e capisci, che si fa sul serio.
Lo ricorderai così, più o meno, il tuo primo snap.
Comprendi la differenza tra l’allenamento e la partita. Nulla avrebbe potuto prepararti a questo, niente.
Vai verso la tua compagna, tendi la mano. L’aiuti a rialzarsi, un breve cenno del capo e tornate in linea. Potete farlo, anche voi, come le Campionesse d’Italia.
Cercate di trovare il ritmo ma questo non è un allenamento, avversarie che arrivano da tutte le parti, non si concede quartiere a nessuno.
All’improvviso un lancio, nell’ultimo secondo disponibile, quello prima di essere colpita.
La palla che passa a pochi centimetri dalle tue mani, cade. Incompleto.
Le tue lacrime, disperata per aver deluso le tue compagne, per esserti preparata così a lungo e per nulla.
Tu, ragazza con il #29 Nero. Non guardarti le mani, non voltarti al passato, nemmeno a quello appena vissuto.
Non sai quanto ti sbagliavi allora, non potevi immaginare, che solo a qualche istante di distanza la palla sarebbe arrivata ancora verso di te. Un atto di fiducia, assoluta. Perché ci crede, anche per te, sa che puoi farcela.
Vedi arrivare la palla e lei malvagia, ti batte sulla spalliera, disperata la cerchi in aria e lei benevola, questa volta, ti ricade in mano. L’altra faccia della medaglia.
Ti volti e sei libera.
Corri incontro al primo touchdown della tua squadra, per qualche istante con te a varcare quella linea ci sono tutte le tue compagne, i genitori e i coach. Per loro continui a versare le tue lacrime, si sono mescolate ora alla felicità. Un instante fermo alla stessa distanza tra il tuo passato e il tuo futuro.
La tua memoria schiaccia un tasto e la partita prosegue velocissima verso la fine.
Ti fermi e t’accorgi che è già tutto finito, troppo in fretta. Togli il casco, l’aria intorno a te pizzica un po’ il viso, il sudore scivola sugli occhi ma non t’importa davvero.  L’abbraccio con le compagne e le avversarie, le nuove amiche che hai incontrato sul campo.
Lo scontro diventa festa, avversarie e compagne si mescolano e sorrisi si rigano di sudore e di stanchezza.
Tempo di andare.
Dovresti fermarti al limite del campo, poggiare una mano sul terreno e poi portarla al viso.
Shoeless  Joe Jackson, immortale outfielder di Boston White Sox, raccontava che la cosa che gli mancava più del baseball era proprio l’odore del campo. Seduto sul letto si portava il guanto al viso e quell’odore di cuoio misto all’erba del terreno lo riportavano un attimo li, nel luogo dove si sentiva a casa.
Regalati un ricordo che si stampa nella tua testa e nel tuo cuore, per sempre.
Ora corri giù, lungo il corridoio e poi nello spogliatoio.
Il suono dei tacchetti sul pavimento, identico a quello dei giocatori veri, uguale per uomini e donne, giocatori e atleti.
La porta si apre e sei a casa, in un luogo solo vostro, stretto tra l’odore di sapone e il vapore delle docce. Piccoli frammenti di te stessa riposti nella tua sacca, pezzi di te sparsi intorno.
Seduta su queste panche si diventa squadra, quando la stanchezza porta via le ultime barriere, i pensieri scorrono liberi e sinceri.
Ti accorgi per la prima volta ai dettagli, ai suoni e ai colori. Sono sempre stati li, il football li fa splendere e trovi affascinante il sorriso stanco e i lividi sulle gambe, sono sexy in fondo.
Sei arrivata fino qui, insieme a loro.
Guardi il casco scheggiato dai colpi, i segni della tua battaglia.
Non sei più la stessa, non dopo tutto questo.
Sei di nuovo al punto di partenza, per un viaggio completamente nuovo.

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