Sport

Chiedi chi era Carl Ludwig Hermann Long

Chiudi gli occhi ed immagina.
Questa è una storia lontana nel tempo, lontana nei valori ed anche nel concetto di sport che esprime.
Mi viene in mente la frase “vincere è l’unica cosa che conta” e poi chiudo gli occhi e mi lascio andare a questa storia vera che, in realtà, sembra una favola scritta da un buono, utile a far addormentare quelli con le anime tormentate e lasciargli un messaggio sul comodino la mattina dopo.
Questa, però, anche se sembra una fiaba è una storia vera, che il tempo non ha cancellato e che affonda le sue radici a Berlino nel 1936.
Uno dei protagonisti è Carl Ludwig Hermann Long.

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Foto GettyImages

Bene, con questo nome qua nel 1936 potresti benissimo essere il capo di un plotone di esecuzione, uno di quelli con gli spigoli sul viso oltre che nell’anima, uno di quelli che ha sentenziato e deciso la vita di milioni di ebrei per esempio, soprattutto perché sei a Berlino, a casa tua e si svolgono le Olimpiadi e sugli spalti c’è un certo Adolf Hitler che non aspetta altro.
Questa non è soltanto una storia di sport, bensì una storia di valori, di come lo sport sia veicolo di messaggi e di come ogni volta che qualcuno gareggia in un ambito sportivo, che ci siano 3, 10, 1000 persone, questo qualcuno dovrebbe esser cosciente di essere portatore di un messaggio, si può variare prospettiva a chi crede di vedere ed invece sta solo guardando.
Per gli scettici chiedere della prospettiva Nevskij.
Mentre scrivo mi vergogno di quando in campo non ho detto all’arbitro che il fallo laterale era degli avversari ed ho approfittato di una sua svista, dei rigori non ne voglio nemmeno parlare.

Carl è un saltatore in lungo, nel 1936 il cielo profuma di cannoni ed odio razziale, di tensione e lotte sociali, lui a casa sua, la pelle bianca, i capelli biondi color oro, ha tutto per incarnare la razza ariana e sta combattendo per una medaglia contro Jesse Owens, americano, e questo già potrebbe bastare viste le tensioni tra i due Stati, colore della pelle nera come la pece e per di più in crisi perché ha reso nulli i primi due salti bruciando la riga di stacco.
Luz invece come sta andando?
Ha effettuato 3 salti ed in due ha polverizzato già il record olimpico, Jesse Owens invece è distratto dalla concomitanza delle batterie dei 200 mt, proprio non riesce a trovare il ritmo giusto, il führer in tribuna probabilmente già si strofina i baffi.
Luz vede la difficoltà dell’avversario, dentro di sé si sarà detto che vuole vincere solo battendo Owens che però al momento è come se non stesse gareggiando.

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Foto GettyImages

Chiudi gli occhi ed immaginala ora, questa scena, prima però pensa a tutte le scorrettezze che hai visto nella tua vita sportiva, dal doping a chi con un tuffo ha cercato di ingannare l’arbitro, a chi ha evaso le regole ed a chi ha approfittato del proprio avversario.

Hai chiuso gli occhi?

Luz si avvicina a Jesse Owens, senza dare nell’occhio, lui è quello perfetto, lui è la razza ariana, Jesse invece in terra tedesca rappresenta i cattivi.
Si avvicina e gli bisbiglia, stacca prima, stai rischiando troppo, non continuare a forzare il salto, uno come te anche se si brucia qualche centimetro sulla pedana può battere tutti, poi si allontana velocemente e va verso le pedana, pochi passi prima della linea che rende il salto nullo, posa un fazzoletto a terra, torna verso Jesse e gli dice, quando arrivi al fazzoletto tu salta.
Jesse si fida, salta proprio li e non è propriamente un salto di routine, è record Olimpico e medaglia d’oro, Long è medaglia d’argento.
Il tedesco va da Owens e lo abbraccia, è un momento che rivisto 80 anni dopo mette la pelle d’oca.

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photo credit: AP Photo/File

Rudolf Hesse, il numero due del governo tedesco, si avvicina a Carl e gli intima di non abbracciare mai più un “negro”.
L’amicizia tra i due olimpionici continuò nel tempo e furono moltissime le missive che fecero la spola tra America e Germania, l’ultima profetica di Luz è conservata negli archivi di Owens.

«Dove mi trovo, sembra che non sia altro che sabbia e sangue. Io non ho paura per me, ma per mia moglie e il mio bambino, che non ha mai realmente conosciuto suo padre. Il mio cuore mi dice che questa potrebbe essere l’ultima lettera che ti scrivo. Se così dovesse essere ti chiedo questo: quando la guerra sarà finita vai in Germania a trovare mio figlio e raccontagli anche che neppure la guerra è riuscita a rompere la nostra amicizia. Tuo fratello Luz».

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Long morì a trent’anni, trafitto dalle pallottole americane dopo essere stato ferito in combattimento nell’Operazione “Husky”, che vide gli alleati sbarcare in Sicilia.
È sepolto nel cimitero militare germanico di Motta Sant’Anastasia in provincia di Catania.

Se nella tua vita hai odiato il tuo avversario sportivo, se non riesci mai a gioire dei successi altrui, se credi che lo sport dovrebbe unire e non dividere, se hai mai scritto una lettera a mano ed hai odiato così tanto ogni guerra di razza, potere ed economica chiedi chi era Carl Ludwig Hermann Long.

Verrà un giorno in cui i cannoni saranno esposti nei musei, così come gli strumenti di tortura ora, e la gente sarà stupita che una cosa del genere abbia potuto esistere.

La canzone si chiama Futura, perché?
Perché io ero in tour in Germania e sto parlando degli anni in cui c’era la guerra fredda e quando giravo da una città all’altra vedevo camion che trasportavano soldati, una volta vidi passare dei missili trainati dai camion, come una grande sfilata, la sfilata dell’orrore.
Non c’è una cosa più schifosa della guerra da immaginare, pensate viverla.
Feci per la prima volta un concerto a Berlino, città meravigliosa però annusavi violenza da tutte le parti, da una parte Berlino Ovest sembrava di stare a Las Vegas, luci sfolgoranti, Berlino Est soprattutto la sera il buio, feci un concerto bellissimo ero fiero di me però siccome avevo l’aereo la mattina avevo deciso che dovevo assolutamente vedere il muro di Berlino, prendo un taxi e vado a Checkpoint Charlie che era il passaggio dove i fortunati potevano passare da una parte all’altra, fermo il taxi, scendo, accendo una sigaretta e mi metto su una panchina che era davanti al museo degli scampati, prendo la mia agenda e la prima parola che mi viene in mente è chissà:

“Chissà chissà domani
Su che cosa metteremo le mani
Se si potrà contare ancora le onde del mare
E alzare la testa
Non esser così seria, rimani
I russi, i russi, gli americani
No lacrime non fermarti fino a domani
Sarà stato forse un tuono
Non mi meraviglio
È una notte di fuoco
Dove sono le tue mani
Nascerà e non avrà paura nostro figlio” (Lucio Dalla)

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