Calcio

Se Fossi un Mister – Anch’io Sono Francesco

Anch’io sono Francesco.

In realtà sarei voluto esserlo mentre con un pallone sotto braccio scendevo in cortile a giocare contro il muro, Francescoooooo Tottiiiiii, ogni volta che calciavo e dopo ore ed ore di battimuro ero scarso come prima ma mi sentivo Francesco.

Ieri abbiamo appeso gli scarpini al chiodo in tanti, praticamente tutti quelli legati da 3 generazioni di miracoli calcistici, ho visto piangere nonni, padri e figli, ho visto gente in doppio petto disperarsi, poggiare la testa tra le mani e scuoterla come a dire non è vero ed invece si, il tempo se ne stava andando per tutti.

Anch’ io sono Francesco o almeno sarei voluto esserlo mentre lo vedo camminare e singhiozzare e chissà cosa porta un uomo di 41 anni che ha avuto tutto dalla vita a piangere ininterrottamente per un gioco?

La verità è che siamo tutti un po’ Francesco, con la voglia di giocare il più possibile, di amare e sentirsi amati, è una storia bella ma senza il calcio non sarebbe mai esistita, senza gli avversari che l’hanno anche sbeffeggiato non sarebbe esistita, senza i mister che l’hanno sospinto e frenato, senza l’amore della gente, senza gli arbitri, senza i suoi errori che l’hanno fatto sembrare più umano, senza gli ingredienti che solo lo sport sa mescolare oggi non ci sarebbe stato nessun Francesco.

Ecco, se voleste essere Francesco prima o poi dovrete sopportare il peso di tutto questo, di chi esulta con voi e spera che voi gli togliate le castagne dal fuoco, chi vi sbeffeggia, chi non vi capisce e vi da tutte le colpe del mondo anche del buco dell’ozono, dovrete convivere con i vostri errori perché siete umani come Francesco che nonostante tutto ha vissuto la sua favola e questa è la vita, oltre lo sport, una vita fatta di infortuni e cadute, di gol fantastici e di grandi compagni di viaggio, di corse solitarie e mani in faccia mentre si piange perché il tempo passa, la nostra vita un po’ come la sua, come quella di tutti, basta ammetterlo.

Si è umano:

Adesso ho paura, non è la stessa che si prova davanti alla porta quando devi segnare un calcio di rigore, non posso vedere attraverso le maglie della rete cosa c’è fuori, concedetemi un po’ di paura.

Concedetevela anche voi, quando non sapete se ricominciare un’ennesima stagione, quando pensate che il gioco potrebbe finire, quando vi chiama un dirigente e non sapete se sarete riconfermate, quando se ne vanno gli amici, quando se ne vanno i pezzi con cui hai camminato per il campo in tanti anni, fermatevi perché è umana la paura e forse farebbe più paura non averne.

Anch’io sono Francesco e non c’entra nulla la squadra per cui tifo e nemmeno il mio fisico sgraziato o il mio piede destro che non sarebbe neanche riuscito a calciare il pallone in tribuna, sono Francesco perché ho sognato di esserlo, in questo grande prato che chiamano la vita anch’io sono Francesco ed anch’io ho la mia sfida ed è per questo che ho pianto ieri, Francesco è diventato me, noi, ha pianto insieme a tutti ed è diventato umano.

Umano come tutti, con le lacrime a rigare le guance, abbracciato ai figli, agli amici di sempre, a proposito il mio ultimo abbraccio alla persona che ho amato di più al mondo è stato per un gol di Francesco che oggi scendendo nel tunnel dell’Olimpico si è portato via 25 anni della vita di tutti quelli che l’hanno seguito e si sono invecchiati senza accorgersene ed ecco perché i nonni piangevano abbracciati ai nipoti ed i padri abbracciati ai figli e tutti noi da casa piangevamo abbracciati a lui, perché il tempo se ne va, perché la vita cambia forma e perché alcune volte vorremmo avere ancora la possibilità di giocare.

Le volte in cui lo avete odiato da avversario ed applaudito mentre segnava il rigore all’Australia o faceva il cucchiaio a Van Der Sar le volte in cui non lo avete capito e non vi siete sentiti compresi nemmeno voi nella vita, le gesta sportive inenarrabili e le grandi cadute di stile, come le vostre, le mie, quelle di tutti.

Una volta ho segnato con un pallonetto da centrocampo a mio nipote di 6 anni e mi sono sentito Francesco, ieri sera ho pianto guardando una vecchia foto e mi sono sentito Francesco, il tempo che corre veloce sotto i palmi della mani, un giorno mentre correvo in campo con il pallone sono inciampato su me stesso ed ho fatto un doppio passo magnifico ed allora anch’io mi sono sentito Francesco.

Stamattina svegliandomi ho avuto paura, paura di quel che ci sarà domani, di non poter più portare avanti il mio lavoro, paura di non poter più divertirmi e giocare, paura di non ricevere più una pacca sulla spalla, paura del tempo che passa.

Anch’io sono Francesco, ieri più che mai, mentre il mondo piangeva una cosa stupida come l’uscire dal campo, ci siamo ricordati quando la sera si faceva buio e la mamma ci chiamava per tornare a casa e noi proprio non avevamo nessuna voglia di smettere di giocare.

Quando ha iniziato Francesco c’erano ancora i miei nonni e mio padre e tanti amici che oggi non sono più amici, quando giocava Francesco avevo ancora tanti capelli, ho dato il mio primo bacio e lui c’era, ho iniziato ad allenare e lui c’era, ho preso sulle spalle mia cugina che ancora era una bambina mentre Francesco era sul palco, quando sono nati i miei nipoti c’era Francesco e mio fratello ancora non era partito per la Francia, quando giocava Francesco la palla si faceva accarezzare con il tacco, con l’interno, volava felice tra pallonetti e veroniche e rovesciate e tutti volevamo essere lui, forse questo lo racconterò a chi non l’ha visto giocare, magari a mio figlio.

Abbracciami finché non torna Francesco, per l’eternità, perché uno così non lo rivedremo più.

Talk to me softly
There’s something in your eyes
Don’t hang your head in sorrow
And please don’t cry
I know how you feel inside I’ve
I’ve been there before
Somethin’s changin’ inside you
And don’t you know

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