Storie

Bianco

Primo Tempo.
Siamo sempre in viaggio.
Alice e la promessa da mantenere. Peperoni e uova con la cotoletta, Amici e i sabati a giocare a carte come i vecchietti giù in pineta, la colazione come i vip e il fracasso delle tazzine del bar. L’intolleranza per gli altri automobilisti, il tempo che volge al peggio e una strada percorsa tante volte da sembrare casa.
Le spunte blu, il silenzio e la solitudine che se servisse saremmo tutti degli eremiti e il tempo prima della telefonia mobile: “non capisco come avete fatto a sopravvivere senza…”.
Barcellona e la media del sette, la mamma che corre la mezza maratona. Una città all’ora di pranzo, la coda infinita al Mac e il pisolino sulla panchina.

bianco
La tensione prima della partita quando tutto è possibile e per questo fa tutto dannatamente paura.
Il benzinaio, il bar già pieno.
Il camion regia e tutti già al lavoro, gli accrediti stampa e i biglietti da consegnare.
I sorrisi e gli abbracci di chi è felice di ritrovarsi e si rammarica di perdersi troppo spesso.
C’è la diretta televisiva e posso raccontare questa volta quello che difficilmente le immagini canoniche possono mostrare. Porto la mia videocamera tra i megafoni rossoverdi, tra le braccia alzate, i cori e quella partita che potrai solo intravedere, accalcato sulla balaustra o in piedi davanti al tuo seggiolino.
Osservo il palazzetto diviso a metà.

bianco
Mi tornano in mente le domeniche allo stadio, quando riconosci i visi familiari e vedi gli “occasionali” accomodarsi ai lati della tifoseria.
Quelli che vogliono guardare la partita non riescono a capire che dal vivo non si “guarda”, si “partecipa” ed è implicito che perderai qualche giocata e forse anche un gol, coperto da qualcuno che scatta in piedi all’improvviso o da una bandiera che ti sventola davanti.
M’arriva di colpo l’ignoranza dei vent’anni, l’intolleranza da tifoso troppe volte in trasferta e vorrei gridare “Stai a casa occasionale, porti male”, solo per non trascendere troppo.
Ci troviamo poi sotto lo striscione che copre un intero settore e penso a mia sorella sotto lo striscione del Galeone, la scritta all’arrembaggio, il Profeta (l’unico sul quale abbiamo mai concordato) e le nazionali senza filtro e quando il giorno dopo cerchi una foto per vedere la coreografia.
Fai parte di qualcosa, partecipi e il “casino” che fai è altrettanto importante perché se non ci fossi tu e quelli come te a chi fregherebbe veramente?

bianco
Una tifoseria non è un posto per educande, non meno di un teatro italiano il giorno della prima e il tuo tenore stecca poi piove sul palco l’intero mercato ortofrutticolo. Ricordo che a Parma l’anno scorso era presente un attore inviso al pubblico del loggione per qualche dichiarazione troppo spigolosa sulla città e la prima degenerò tanto da dover essere sospesa.
Quando la tifoseria ti urla contro, invece di tifare per la sua squadra spesso lo fa perché in fondo teme l’avversario, una forma perversa di rispetto che nasce sui gradoni di cemento e si trasferisce sui seggiolini di qualsiasi palasport.
Fischio finale.
Mi siedo, stanco come i tifosi che ho intorno.
Loro esultano per una finale da vivere con intensità e partecipazione.
Le passioni sono così, non le puoi vivere solo un po’, ti bruciano il cuore e spesso ti riducono la capacità di giudizio. Il tifo è questo, non puoi spiegarlo, puoi provare a comprenderlo ma dovreste vivere le ore trascorse a preparare una coreografia, l’arrivo al campo insieme alla squadra, i preparativi perché presto si andrà in scena e c’è bisogno di coordinarsi.
Inevitabilmente finisco per gettare lo sguardo verso il campo degli sconfitti. Come accade in tutte le partite dentro o fuori.
C’è chi ha il viso rigato da lacrime di gioia e saltella sul campo felice e chi su quel campo lascia un sogno e porta via solo un carico di sofferenza sportiva.

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Secondo Tempo

Bianco.
Il colore della felicità e dei saluti, quello che indossi per essere più bella ed elegante e quello del fazzoletto che sventoli per salutare o per protestare, se sei nella curva del Real Madrid.
Il colore del gelataio e quindi per estensione della felicità appunto. Il colore che te lo puoi permettere solo se sei uno “stecco” e altrimenti “t’ingrassa” e se già hai dato, non è il caso.
Il colore della tua ultima maglia.
Il colore del riso, il ristorante di sushi e del petto di pollo, il colore del silenzio e della spiaggia.
Lo schermo dello smartphone, la chat con mia sorella e il messaggio: “Ho fatto il tifo solo per Filipa” e le cene a mangiare cose che non comprendo. Il tuo primo Juventus – Roma in mezzo all’odio sportivo per i giallorossi e per fortuna che il tuo mito Totti era in panchina.
Bianco come il gatto che ti saluta quando arrivi e che scappa quando grido ai gol dei BIANCO-neri.

bianco
Bianco come il colore della luce alla fine del tuo tunnel sportivo, quando sei tornata ad essere quella di cui tutti mi raccontavano.
La tua prima partita di football americano sulla linea laterale, le tue foto e la tua curiosità.
Mia madre che non ha ancora capito come chiamarti esattamente e mio padre che mi telefona per sapere se deve prendere il “petto di pollo che c’è Filipa stasera e prendo anche l’insalata”.
Quello che sappiamo solo noi e quello che non sapranno mai altri, agli abbracci forti e alla lacrime perché è anche giusto se perdi qualcosa di prezioso.
Gli arrivederci che diventano addii o gli addii che sono solo arrivederci.

bianco

Fine partita.
Le foto insieme, i sorrisi e “dopo una birra tutti insieme”.
Le vie di Terni.
Grazie per i pezzi di vita condivisi.
“Sorry for your loss man, nobody should see cancer win over our beloved ones. It’s always a pleasure to meet your and hear of your crazy travelling around the world, your passion and your curiosity is something to be cheered upon. See you next Sunday man, beers are on me this time.”
“Tutto questo viaggio e nemmeno un intervento da dietro, nemmeno una scivolata o un cartellino”.
La cover del cellulare di te stessa e “perché io sono due in realtà.”bianco
Restare o tornare e i mille dubbi e la valigia al seguito perché non si sa mai.
La cena di squadra e “tanto non iniziano mai in orario”.
Le luci della sera, i saluti e gli arrivederci.
La cena e le frasi corte che hanno però un sacco di spazio riempito tra le righe, gli occhi che ti bucano quando li incroci e la paura di sbagliare ma poi alla fine si sbaglia sempre altrimenti come si fa a sapere che si è fatta poi la cosa giusta.
I dubbi e le paure e il tempo per se stessi che non si deve riempire di solitudine.

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Il Cammino di Santiago e “non voglio conoscere nessuno prima” e “Scusate io appoggio la testa un attimo” poi il risveglio a casa. Birra e Limoncello. Le sagre e le feste nei paeselli da visitare e ricordi da mettere da parte per quando la solitudine tornerà. I tuoi tempi rimarranno solo i tuoi, come il tuo spazio e la tua unicità. Sbaglierai ancora ma quello che fa la differenza è come affronti gli instanti successivi.

Le quattro del mattino.
Ventiquattro ore.
Non ricordavo ci potesse entrare tanta vita in un solo giorno.

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