Futsal

Se fossi un mister – La Lavagna magnetica

La mia lavagna magnetica è un ponte tra una diagonale fatta bene ed una zona di campo dove dobbiamo forzare l’1vs1.

Sono un giovane allenatore, di provincia, alcune volte mi chiedo se sono all’altezza di allenare la mia squadra, altre mi chiedo se sono capace di aprire questa lavagnetta comprata da decathlon qualche anno fa, la spalanco sentendo il rumore del velcro che strappa e lei si richiude su se stessa, piegata in due dal tempo e dalle tante volte che è restata chiusa perché non ho avuto un’ idea giusta, una vincente da comunicare alla squadra.
Spesso la usa mia figlia quando viene nel mio ufficio, mette le pedine una sopra l’altra, il famoso sistema castello, lei mi dice che dobbiamo giocare cosi, in fin dei conti potrebbe essere una soluzione per quando segniamo un gol, una sopra l’altra che poi si sa l’importante è solo vincere.
All’interno è scarabocchiata, ricordo di un pennarello indelebile che io credevo si potesse cancellare, invece come nella vita non si cancella nulla, li dentro ci sono i fantasmi di tante partite giocate e gli eroi di mille diagonali, dei possessi palla perfetti per poi attaccare la zona “cieca” che tanto essendo cieca non si vede quando l’andiamo ad attaccare.
In realtà quando vado a vedere le partite di quelli importanti cerco di rubare con gli occhi, cerco di capire quanti giocatori durante il time out ascoltano il mister che muove freneticamente le pedine, le scambia, tu vai in parallela, tu offri l’appoggio e poi 7×7 fa 49 ma 2+2 fa 4 e quindi mettiamo la maglia col Buco e giochiamo in 5.
Secondo me non c’ha capito niente nessuno, ma questo è un modo per rassicurare me stesso che ho veramente fatto fatica a capire se mettiamo il quinto di movimento o facciamo il metodo castello.
Questa lavagnetta bianca magnetica che poi io la vorrei con lo sfondo giallo e con il nome della mia squadra, una di quelle di tendenza che dimostrino che sono un mister all’avanguardia, dicevo questa lavagnetta secondo me dovrebbe avere le pedine di una squadra a forma di cuore e le altre a forma di cervello, queste sono le cose che muovono i giocatori.
Il cuore di non mollare, la testa per capire che non esistono i limiti se non quelli che ti poni e allora time out, ragazze siamo sotto di un gol, stiamo giocando bene ma siamo pesanti di testa, abbiamo paura di un avversario che ci ha segnato un gol in ripartenza ed ha parcheggiato l’autobus davanti la porta, metteteci questo cuore, lo sento da qui che vi esce dal petto e sbatte forte contro la maglia, sono sicuro che non è la fatica, sono sicuro che è l’amore che avete per ciò che fate, sono sicuro che è il battito di aver visto vostro padre sugli spalti mettersi le mani nei capelli, sudare, tirare in porta con voi.
E’ passato un minuto, tutte in campo, sento che le ragazze tornando al centro del campo si sussurrano qualcosa, non so se stanno sorridendo di me, del padre in tribuna o del fatto che non ho nominato una situazione di gioco.
Sono un allenatore giovane di provincia, veramente neanche troppo giovane, il mio futsal è cosi, fatto di rincorse per arrivare puntuali alle partite, di sentimenti che vincono su una diagonale, di una busta di ghiaccio dentro la borsa medica che deve durare almeno una settimana, di time out quasi sempre senza lavagnetta almeno finchè il mio sistema nervoso mi fornirà più indicazioni del manuale del buon mister.
Sono un allenatore con una lavagna che non ha molto da dire, tanto che più cerco di tenerla aperta e più si richiude su se stessa, e le pedine al suo interno sono una sopra l’altra, cosi come le mie ragazze quando segnano e mi portano a sentire il mio cuore e la mia testa.
Quel che ho imparato me lo hanno insegnato loro e non viceversa.

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