Futsal

Se fossi un mister – Ho conosciuto il dolore

Sportivamente parlando?

Si, l’ho visto in tutte le sue forme, l’ho visto nelle lacrime di una ragazza che aveva sbagliato un calcio di rigore, mi è rimbombato nelle orecchie al triplice fischio dell’arbitro che metteva fine alla nostre speranze, rien ne va plus, ci vediamo l’anno prossimo.
Ho conosciuto il dolore nella vita di tutti i giorni e l’ho portato nelle mie partite, l’ho preso per mano e l’ho condotto a vedere quanto lavoriamo ogni settimana, ogni giorno, ogni notte e lui se n’è fregato come se l’esser giusto non lo riguardasse, si è girato e mi ha detto ci vediamo presto. Ho esorcizzato il suo ritorno parlandone con le mie ragazze in una sera gelida di dicembre ma la temperatura non è riuscita a surgelarlo, tanto che è tornato a casa con me, nascosto nel cappuccio della  mia felpa e mentre tornavo a casa mi sussurrava che potevo far di più, che dovevo far di più e che se fossi stato più attento la partita di oggi non l’avremmo persa.

Ho conosciuto il dolore, certo sportivamente parlando ed ho imparato che torna sempre un’ altra volta, come un orologio rotto che segna l’ ora giusta due volte al giorno, l’ho anestetizzato con un abbraccio lungo mentre occhi negli occhi mi scendeva una lacrima che il vento freddo sequestrava e portava via con se, lontana, algida, rapita come se non dovessi dimostrare debolezze.

Ho conosciuto il dolore e l’ho indagato, ho chiesto negli occhi delle mie ragazze, nelle labbra dei miei collaboratori se lo sentivano anche loro ed ho capito che è un sentimento vigliacco, un tremore nascosto nella tasca della giacca, un gesto all’apparenza normale, come lavarsi la faccia la mattina.

Ho conosciuto il dolore, si nello sport l’ho conosciuto, quando ha infranto i miei sogni, quando ha infranto quelli di uno spogliatoio intero, quando il mio portiere in uscita ha mancato un pallone, il mio pivot un gol, la mia ultima ha perso la marcatura, quando tutto questo secondo noi non ci ha permesso di vincere ed invece non era vero niente.

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Ho conosciuto il dolore ed ho provato anche a prenderci un Aulin ma non è servito a nulla, perché questo dolore qui ti prende lo stomaco come un turbinio di farfalle, poi ti piega sui tuoi pensieri e ti lascia in un angolo e ti senti ridicolo perché era soltanto una partita di futsal per tutti gli altri.

Ho conosciuto il dolore quando una ragazza mi ha detto mister domani riporto la borsa, smetto non mi va più ed io non sono riuscito a capirla, aiutarla a darle quel che meritava per i suoi sacrifici.

Allora notti insonni, tante parole per sentirsi più leggeri, tante promesse per tornare in campo più forti mentre sarebbe bastato parlarci con il dolore.

Ma tu cosa vuoi da noi?

Non vedi che arriviamo in campo tutte le sere sfiniti dal lavoro, che ci impegniamo come professionisti, che stiamo male quando perdiamo una partita?
Non vedi che mi manca il respiro mentre scelgo chi deve entrare dalla panchina e so che sto deludendo qualcuno che questa partita vorrebbe giocarla?

Ho conosciuto il dolore e quando finalmente ho smesso di ignorarlo e l’ho interrogato lui mi ha risposto.

Il dolore, il mio vuole che io mi senta vivo in ogni attimo in cui entro in campo, vuole che mi migliori giorno dopo giorno, vuole che non mi appelli alla sfortuna, agli arbitri, all’avversario quando non ce la facciamo.

Vuole che torni sui libri, vuole che entri con decisione dentro lo spogliatoio e fosse anche solo la correzione di un particolare, lui si attacca a me tutta la sera e continua a sussurrarmi che quella cosa va migliorata.

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Mi guarda e mi dice vuoi vederle ancora piangere per una sconfitta?

Guardami, come potrei volerlo?

Allora cresci, migliorati, migliorale, non lasciare nulla di intentato, credi prima in loro e poi a te stesso, pensa al bene comune che quando si è in 15 nessuno può pensare solo a se stesso, non te lo puoi permettere.

Ho conosciuto il dolore e mi ha insegnato che si può anche perdere ma non devi avere nulla da rimproverarti, mi ha insegnato che gli alibi sono solo una giustificazione verso se stessi per non andare oltre, mi ha instillato il dubbio che davvero tutto si può fare ma bisogna volerlo con dannata disperazione.

Mi ha detto che devo stringere la mano all’avversario ed applaudire la gente che è venuta a vedere la partita, fossero anche 5 persone e poi devo ringraziare le ragazze, i miei dirigenti che mi hanno accompagnato e devo prendermi la responsabilità della sofferenza sportiva della mia squadra perché non si perde mai per un gol sbagliato, per un’ uscita a vuoto del portiere, si perde perché non l’ho preparata bene, perché non avevamo provato il portiere di movimento, l’uscita dal pressing, le palle alte in area di rigore.

Credevo di averlo fatto, non è stato sufficiente, non era abbastanza caro mister arrogante.

Ho conosciuto il dolore e quando dopo una sconfitta non viene a trovarmi mi sale l’ansia, perché significa davvero che sta finendo la passione per quel che faccio, significa che non crescerò oltre perché nulla più mi spinge a farlo, perché perdere una partita è diventato normale e mentre le tue ragazze escono incerottate, con le lacrime agli occhi e le senti chiamare a casa… dire con voce rassegnata abbiamo perso…

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Tu tutto questo non puoi permetterlo ed allora spero davvero che anche stasera quel dolore mi venga a trovare per farmi diventare un mister migliore, uno che non lascia nulla al caso, uno che non dice ce l’avevamo quasi fatta, uno di quelli che quando si vince rimette i palloni nella sacca, esce fuori a fumare una sigaretta e guarda la sua squadra da lontano, festeggiare, esultare.

Dalla mia finestra scorgo qualche stella incastrata nel disegno di tante nuvole che sono li ad opprimere la luce che potrebbero fare, arriverà il vento  a spazzarle via o domattina il cielo piangerà pioggia su tutti noi?

Penso alla mia squadra, alle mie stelle, alla  luce che potrebbero fare e se non riesco a farla brillare sono soltanto una nuvola sopra di loro.

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