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Dio è Basket

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Foto ESPN

Avete tempo per una storia? Una di quelle senza estetiste, bugie, promesse non mantenute e millanterie varie. In questa storia non si baciano maglie ma si giura amore eterno, una volta sola però.
Dobbiamo attraversare l’oceano, atterrare a Filadelfia e percorre quei diciannove chilometri che ci separano dal campus dell’Università di Villanova.
La più antica università cattolica al mondo, fondata nel 1842 da monaci agostiniani che da allora l’hanno resa l’orgoglio di questa parte d’America. Millecinquecento alberi punteggiano un campus di oltre 200 acri, guglie gotiche e vecchi edifici di mattoni rossi che hanno resistito con orgoglio a quasi due secoli di storia, l’aria odora di polvere, polline e ricordi. In questa istituzione universitaria, eccellenza accademica mondiale, l’attenzione all’aspetto spirituale degli studenti è uguagliato solo dalla passione per il basket.

A Villanova si predica la parola di Dio e quella del basket.

Il programma di basket universitario di questa istituzione è considerato tra i migliori negli Stati Uniti, tra gli uomini e tra le donne, senza distinzione. Sapete chi ha indossato la maglia dei Wildcats: Shelly Pennefather.
Se non siete malati di “palla a spicchi” probabilmente ignorate questo nome, non fa nulla. Se siete curiosi però, continuate a leggere.
Shelly è una bimba prodigio, un prodigio del basket. Imbattuta stella della sua squadra alle superiori. Cresciuta un po’ in quella parte rurale nel nord della Virginia, tanti fratelli e sorelle e un po’ seguendo il papà di Shelly che presta servizio come colonnello nell’Aeronautica Americana.
La famiglia si posta molto ma questo offre a lei e ai suoi fratelli costantemente un posto sicuro dove giocare, una vita semplice, con valori tradizionali. Questa bimba però sul campo da basket è una forza della natura, non batte le sue avversarie, le domina, incontrastata padrona della partita. Il suo nome finisce presto su tutti i taccuini degli allenatori universitari, molti iniziano a farle visita a casa cercando di reclutarla, con la promessa di gloria sportiva e di una laurea.

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La famiglia Pennefather nel 1991. Courtesy Mary Jane Pennefather via ESPN

Tra i tanti a bussare alla porta della loro casa è Harry Perretta, si accomoda sul divano di casa e davanti a se ha una ragazza appena adolescente capace di vincere 70 partite su 70 disputate per la Bishop Machebeuf di Denver. L’anno dopo la famiglia si trasferisce nello stato di New York, altra stagione da imbattuta questa volta con la maglia della Utica High School.
Harry Perretta è non un allenatore qualsiasi, per lui in periodi diversi hanno giocato Breanna Stewart e Elena Delle Donne.
Shelly odia tutta questa attenzione, il via vai continuo di allenatori e reclutatori, per lei i basket è un divertimento, semplicemente. Perretta è un cattolico praticante, non riuscendo a superare quel muro d’indifferenza che la ragazza ha eretto intorno a lei, decide di parlarle della sua devozione alla Vergine Maria, di quel rosario recitato ogni mattina e del rito domenicale al quale assiste nella cattedrale di Villanova. Shelly non si fida ma quella connessione è qualcosa che vuol valutare, nella sua visita porta con se i suoi genitori.

Harry Perretta è davvero l’uomo che dice di essere, quel “recitare il rosario” non è un espediente per reclutarla, è parte della sua vita.
Shelly è un Larry Bird pigro, il suo anno da freshman fatica a sposare l’etica di lavoro di Perretta, finisce spesso l’allenamento prima del tempo e inizia a dubitare della sua scelta. Non è abituata a giocare per migliorarsi, alle superiori le bastava il suo talento per dominare. Cosa cerca questa ragazza, cosa vuole dalla vita?  Shelly è in cerca di risposte e il suo allenatore è in cerca di quel fenomeno che aveva reclutato solo due anni prima.

“Non so cosa tu voglia fare della tua vita, però Dio ti ha dato questo talento e sarebbe un peccato verso di lui se tu non lo usassi”.

In Shelly accade qualcosa, all’improvviso ha tutto un senso, quelle parole risuonano con sonorità unica.
Pennefather diventa il miglior marcatore di sempre nella storia lunga e gloriosa dei Wildcat, nessuno ha mai superato quel record che resista ancora oggi. Qualsiasi sia il tuo sesso, se sei un cestita di Villanova a detenere il record di punti segnati è questa donna della Virginia, duemilaquattrocentotto punti e non esisteva nemmeno il tiro da tre.

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(CNS photo/courtesy Villanova Athletics) See POOR-CLARE-VOWS July 12, 2019.

Gioca con i crampi per il ciclo e guida la sua squadra alla vittoria, gioca “rotta”, gioca perché è quello che è chiamata a fare. Nel millenovecentottantasette vince il premio come migliore giocatore della NCAA, il Wade Trophy.
Quando si diploma non c’è una lega professionistica femminile alla quale accedere, la WNBA non esiste. Shelly vola in Giappone, firma per le Nippon Express, un buon contratto da professionista. C’è un bonus in quel contratto, se arriva ai playoff riceverà ventimila dollari. La squadra perde le prime cinque partite di fila. Shelly ha un po di “saudate”, le manca casa. Visita i tempi scintoisti, cerca conforto nella sua spiritualità, vuole tornare a casa ma se la sua squadra arriva ultima sarà costretta a restare in Giappone più a lungo.
“Dio se mi sostieni in questa battaglia sportiva, donerò il mio bonus e il mio tempo ai poveri”. Le Nippon Express arrivano ai playoff e Shelly quando torna negli States presta il suo servizio in un monastero di suore di Madre Teresa al quale devolve anche il suo bonus.

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Courtesy Mary Jane Pennefather

Questa donna di un metro e ottantacinque svetta tra queste piccole spose d Dio.
La nuova stagione in Giappone trascorre avvolta da questo senso di vuoto che nulla sembra capace di riempire, non le lezioni di Giapponese, non l’insegnamento, non le letture.
Trascorre ancora un anno all’ombra del sol levante, qualcosa è fuori posto, nel suo cuore. Quando torna a casa in Virginia, ha un pensiero avviluppato intorno al cuore.
Ha deciso che che sposerà Dio, che diventerà una Clarissa e vivrà la sua vocazione in clausura.
Sapete cosa hanno di straordinario queste storie di sport e di vita, risuonano in qualche modo con il cuore di chi le legge e anche di chi le scrive.

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Courtesy Mary Jane Pennefather via ESPN

Perché vi racconto di Shelly Pennefather, perché mi importa così tanto.
Sono stato dall’altra parte di quella conversazione, un giorno ho sentito quelle stesse parole. Forse diverse ma con il medesimo, identico senso.
Come la sorella di Shelly ho usato tutte le parole giuste, ho sorriso perché ero felice per lei e poi, poi ho pianto perché io perdevo mia sorella anche se le Clarisse avrebbero avuto una Sorella in più, scritto con la S maiuscola. Certo poi la mia non è diventata suora perché è più facile imbracciare un fucile semiautomatico indossando l’uniforme dell’esercito che servire nell’esercito di Dio ma questa è una storia diversa, per un tempo diverso da questo. I semi verdi, la piantina, le suore di Madre Teresa e le Clarisse, quante possibilità ci sono che quella storia risuoni esattamente così nel mio cuore?
Da questo momento la storia di Shelly è anche la mia storia e un po’ quella di mia sorella.
Non le puoi toccare le suore di clausura, questo era l’unico pensiero che occupava la  mia mente allora e accade anche ora, leggendo di questa donna capace di abbandonare quello che amava di più e nel quale era la migliore al mondo.

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Perretta e suor Rose Marie. Mary F. Calvert for ESPN

Comprendo anche il senso di smarrimento del suo fidanzato di sempre, incapace di comprendere le ragioni che spingono una donna che avrebbe potuto influenzare la vita di così tante giovani donne, a vivere in clausura. Sapete dove ha conosciuto quel ragazzo con il quale avrebbe voluto una famiglia? A Wiesbaden, Germania Ovest. Hanno indossato la maglia dei Barons, mangiato in quel fast food dal quale si vedono gli F-15 parcheggiati vicino ai C-5 Galaxy, fatto shopping nel negozio vicino alla lavanderia automatica. Abbiamo visto, io e mia sorella, quello stesso cielo colore dell’asfalto o quell’asfalto colore del cielo.
Ecco che le strade s’intrecciano e s’accavallano tra storie di persone che non si sono incontrate solo per una manciata di anni.

In questi giorni corre il venticinquesimo anniversario della sua consacrazione, nel suo convento si sono dati appuntamento tutti. Famiglia, compagne di squadra, allenatore.
Harry Perretta da venticinque anni, si reca al convento vicino a Arlington in Virginia, per passare del tempo con la sua giocatrice, con quella donna capace di rinunciare al suo talento per amore di Dio. Non è possibile nessun contatto fisico, così prescrive la regola delle Clarisse, se non avete mai visto quella barriera fisica che v’impedisce di abbracciare la donna che amate allora vi è difficile comprendere il dolore di quella separazione composta da odori spezzati e sguardi sfuggenti. Provate a immaginare una grata di legno e al di là, un pezzo di voi stessi.
Harry percorre le tre ore di viaggio lungo la I-95 e trasporta con se un carico di donazioni, per il convento, qualcuna delle sue ex giocatrici e amiche di Shelly l’accompagnano così da poterle stringere almeno le mani, strappando una concessione alla madre superiora.

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coach Harry Perretta. Mary F. Calvert for ESPN

Le sue compagne di squadre, le ragazze del Villanova 1983 non hanno mai rinunciato alla loro sorella, alla loro amica. Incapaci di recidere quel legame speciale che si crea tra compagne di squadra hanno strappato un accordo alle madre superiora, in occasione dei venticinque anni di vita consacrata anche loro insieme alla famiglia potranno abbracciare Suor Rose Marie.

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Suor Rose Marie e le compagne di squadra di Villanova. Mary F. Calvert for ESPN

Arlinghton, Virgina.
In questa cittadina riposano anche i caduti americani di tutte le guerre, i “giardini di pietra”.
Nella cappella del monastero si apre una porta, il suo doppio battente si muove lentamente ruota su dei cardini che per anni sono rimasti immobili.
L’aria sembra sia stata risucchiata nei polmoni di tutti, eccola li Suor Rose Marie, cinquantatré anni.
Si forma una linea, spontaneamente e in testa c’è la sua mamma. Questo è probabilmente l’ultimo abbraccio tra le due. Un tempo infinito che trascorre in uno spazio diverso, da quello reale, in un posto solo loro, vicino al cuore.

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Suor Rose Marie abbraccia la madre, Mary Jane Pennefather, per la prima volta dopo 25 anni. Mary F. Calvert for ESPN

Tutto si scioglie poi con uno scambio di battute.
“Ci sarò anche quando compirò 103 anni, se tu ce la fai lì dentro”
“Ci proverò”, la risposta di Suor Rose Marie.
Le compagne di squadra a turno si precipitano ad abbracciarla, noncuranti dello sguardo severo della madre superiora.
Chiude la fila, il suo ex fidanzato, l’altro amore di una vita diversa.
Padre John Heisler.
“Abbiamo preso la decisione giusta”, lei con un filo di voce.
“Nessun rimpianto”, la risposta di lui.

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