Storie

Se fossi un Mister di Periferia

mister

Sarà quel che sarà o forse Sara.

Certe sere lo sai, a casa non tornerei, una preghiera non c’è per non sentire il vuoto che c’è in me, ci si arrampica ai sogni ma si cade giù e con i lividi addosso poi non si vola più…. E certe sere ho paura di ciò che sarà di me.
Eccola Sara, un cespuglio di idee arruffate in testa, quando con la mano scosta i capelli dagli occhi sembra faccia un po’ di chiarezza tra i suoi pensieri, un guizzo tipico della gioventù negli occhi e l’eterna lotta interiore tra ciò che è giusto e sbagliato, una lotta che non vincerà mai proprio perché il giusto e lo sbagliato è soggettivo ma io questo non ho il coraggio di dirglielo, anzi le toglierebbe quella voglia di lottare che ha.
Sui campi di periferia, come li chiama lei si è sbucciata le ginocchia e qualche volta l’anima, si vede nel sorriso amaro che abbozza mentre passa dai racconti più entusiasmanti a quelli che l’hanno segnata come donna prima che come giocatrice.
Ci sediamo sui tavoli esterni di un bar, per lei un’ acqua tonica, per me una birra bionda visto che la mora è già seduta davanti a me. Come la migliore Anna Karenina cominciamo a parlare di ipocrisia, fede, società (non sempre e solo calcistiche), del progresso e della passione, questa volta si, è quella del pallone a rimbalzo controllato.

mister

Sara raccontami perché, perché ancora corri dietro ad un pallone, perché credi che questa sia una battaglia che prima o poi vincerai, perché domani non compri casa, non dichiari amore eterno e non entri nella monotonia di una vita già scritta?

Lo sai mister? Ho sempre giocato. Da quando ero piccola, appena ho imparato a camminare ho iniziato a correre dietro a quel pallone. È uno di quegli amori che scoppiano in un attimo ma che durano per una vita. Forse iniziare a giocare è stata la cosa più bella e poi brutta che potesse capitarmi. Gioco contro la mia ombra, gioco contro la parte brutta e nascosta di me. Gioco contro le mie paure, le mie delusioni, le mie ansie. Gioco contro loro e per loro. Si perché ci deve sempre essere qualcosa che ci spinge, qualcosa che ci fa venire voglia di macinare chilometri su un sintetico consumato, ci vuole sempre uno scopo e il mio è quello di lottare contro quello che mi spaventa, me stessa.
Forse il mio più grande ostacolo è la mia testa, che corre più veloce delle mie gambe, che mi fa scoppiare dentro miliardi di pensieri, che mi pone limiti che il mio corpo però non sa di avere.
È cambiato tutto da quando ho iniziato a giocare.

mister

“Sono cambiata io”, non so se lo dice con un pizzico di fastidio ma lo accompagna con un angolo del labbro che si comprime mentre me ne parla.

Chi mi conosceva non mi riconosceva più o forse non mi aveva mai conosciuta bene, nella mia testa non c’erano più solo pile di libri, non c’era più solo l’amore, il divertimento, la spensieratezza, iniziava ad esserci un pallone, e rimbalzava dalla testa al cuore.
Avrei voluto ricevere più sostegno, magari una pacca sulla spalla, ne sono arrivate poche, da chi speravo quasi nessuna.
I miei genitori non volevano che giocassi, forse vengono da un mondo in cui ci sono troppo idee obsolete, un mondo in cui il calcio è solo per i maschi, io però non vengo da quel mondo, io sento di poter fare tutto.

Mentre lei parla stacco la mia attenzione e penso che anche io a volte credo di poter fare tutto, mi domando quant’è profondo il mare ed un secondo dopo ho la risposta.

Mi dicevano di pensare alle cose importanti, di pensare all’università perché il calcio non ti dà da mangiare: e così ho fatto.
Studiavo tutto il giorno e poi la sera di corsa agli allenamenti. Ora sono qui, gioco da due anni e mi mancano due esami alla laurea. Ho dato tutto, ogni sera tornavo sfinita, le discussioni mi buttavano ancora più giù, però per quel pallone darei tutta me stessa ancora e ancora.
Ho capito che il sostegno delle persone intorno è importante, però se il fuoco non ti viene da dentro non puoi andare molto lontano.
Cercheranno sempre di abbatterti, basta trovare qualcuno che creda veramente in te e non ci sarà nessuno che potrà farti dubitare di te stesso.

mister

Io passavo le mie sere sui libri importanti, quelli che ti spiegano una diagonale, la marcatura a zona, i libri quelli da mister veri e poi la mattina ero in fabbrica con gli occhi incollati dal sonno a pensare come avrei vinto la partita della sera seguente.

A cosa penso…?
Bella domanda mister!
Penso che noi donne abbiamo troppo poco spazio, dobbiamo faticare il doppio per dimostrare quanto valiamo, non solo nello sport, ovunque.
Nell’immaginario collettivo il calcio è lo sport per eccellenza, soprattutto però è lo sport dei maschi, noi donne siamo delle usurpatrici di un posto che non ci spetta.
Se dovessimo seguire questo ragionamento Roberto Bolle non dovrebbe ballare no? La danza è roba da donne.

Però no, noi siamo diverse, noi ci sentiamo attratte dalla bravura, dalla meraviglia, dalla forza, non ci fermiamo dietro all’aspetto fisico, noi vediamo dentro.

Il tifoso medio alla terza-quarta birra potrebbe anche vedere una partita di donne, in altri casi non credo lo farebbe. “Tu sei femmina, non ci capisci niente di calcio!”. La femmina in questione ha la tessera del tifoso, va allo stadio, va in trasferta, conosce i cori, conosce la formazione titolare che ha vinto i mondiali nel 2006, conosce la formazione del Milan che ha vinto la Champions ad Atene 2007, ama il calcio, ama il futsal e soprattutto, attenzione attenzione, sa cosa sia il fuorigioco!
È ora di sfatare tanti luoghi comuni mister, ci sono donne presidente, donne soldato, donne che lavorano fianco a fianco con le personalità più importanti del nostro tempo: siamo in grado di imbracciare un fucile ma non siamo in grado di correre dietro ad un pallone?

Tra me e me penso che siete indubbiamente in grado, penso che ho lottato con una realtà che non riconoscevo quando ho iniziato ad allenare, quando mi dicevano : è donna non può giocare a pallone ed io rispondevo non conosco donne che facciano qualcosa peggio di un uomo, compreso il giro di #Do della sigla della champions.
Il problema è che spesso non ci aiutiamo nemmeno tra di noi, dovremmo essere tutte dalla stessa parte e invece ci ostacoliamo a vicenda: le società si portano via le giocatrici, i mister non sempre riescono a capire che c’è un lato umano dentro ogni ragazza.

Con le donne è tutto diverso: siamo al 70% emozioni e al 30% ragionamento, forse è per questo che riusciamo a vivere la passione così a fondo, ci mettiamo il cuore, mettiamo in gioco tutto, non solo le nostre gambe.

mister

Sai Sara non è che sia così diverso per me, ho sempre deciso di rimanere nel femminile per una ragione, una ragione che è quella del cuore, quella dell’emozione pura sbucciata come la buccia di una pesca, togli il pelo in superficie e rimane la polpa, quella per cui piango con le mie ragazze, rido, mi abbraccio ed a volte mi insulto.

Ho un caratteraccio mister. Uno di quelli brutti davvero. Il fatto è che sono troppo passionale, troppo lunatica, troppo nervosa, troppo acida, troppo buona, troppo gelosa, troppo dura, troppo egocentrica, troppo tutto.
Negli anni sono cambiata, alle fine le delusioni ti cambiano, nel bene o nel male.
È stata dura entrare in una squadra, non ci sei più solo tu, non dipende più tutto da te, devi imparare a fidarti, devi imparare a crescere, a sentirti parte di una cosa più grande di te.
Sono sempre stato un tipo “solitario”, sto bene da sola, mi sento a mio agio nella mia individualità, non amo circondarmi di gente, amo la mia tranquillità e il mio equilibrio. Ora quell’equilibrio non c’è più. Forse perché penso troppo, osservo tutto quello che succede intorno a me, e questo mi condiziona, mi condiziona da morire. Nel momento in cui entri a far parte di una squadra non puoi più sentirti “sola”, devi imparare ad accettare i consigli, le critiche, devi ascoltare altri oltre alla tua voce interiore. Non ci riesco sempre mister, lo ammetto. Le critiche sono sempre state dure da accettare, forse però dipende da chi vengono. Ci sono persone che mi urlano in faccia la verità, che mi fanno piangere, e che mi fanno scoppiare dentro la voglia di averle vicino: sento che tengono a me, che vogliono vedermi crescere, che vogliono vedermi spensierata in mezzo al campo.

Penso che non cambia molto tra me e lei, una cosa che amo della vittoria è poter piangere stringendole a me, come un gesto naturale, come qualcosa che non va spiegato, come il sole che viene dopo la luna e poi di nuovo sole a meno che non sia una giornata di pioggia ed allora ogni equilibrio viene spezzato, come dentro uno spogliatoio, come dentro un emozione che piove dal cielo solo che è bagnata.

mister

 

Mister con gli anni ho imparato ad usare la mia rabbia, ad investirla in qualcosa di buono. La rabbia mi dà carica, mi dà forza, mi dà sostegno quando non ne ho. Mi dirai “Perché sei arrabbiata?”. Sono arrabbiata perché non sono capita, non sono vista per quello che sono realmente. Vorrei solo trovare la forza per fregarmene di tutto e andare per la mia strada.
Tanto la gente parlerà sempre no?
Vorrei solo poter correre libera lungo la mia amata linea laterale.
Non mi spaventa la fatica, non mi spaventa sentire il cuore in gola, voglio uscire ogni volta dal campo sfinita, con le gambe che tremano e la voglia di ricominciare subito a correre. Mi piace giocare lì, vicino alla linea, sentirmi in bilico, come se aldilà ci fosse un burrone: voglio sentirmi sempre come sul bordo del precipizio. Ho voglia di segnare, di farmi tutto il campo e tirare in porta con tutta la forza che ho.
Tutti i giorni penso di smettere mister. Non sono abbastanza brava, non sono abbastanza forte, non sono abbastanza tecnica. Con il karategi addosso quando facevo Karate mi sentivo più serena, ero sicura delle mie capacità, spesso ero presuntuosa… di gare però ne ho vinte, ne ho vinte tante, ero brava, davvero. Almeno così dicevano! Con il calcio è diverso, ogni partita è diversa. Le sconfitte fanno male, perché basta un errore e ci rimette tutta la squadra. Non voglio perdere, lo odio. Non sempre riesco ad accettare le sconfitte per quello che sono. Quante volte sono rientrata nello spogliatoio e ho preso a calci tutto quello che ho trovato, quante volte ho pianto sotto la doccia, quante volte ho tirato gli scarpini addosso al muro. Non sono un fenomeno, però mi piace giocare… è una maledizione! Sono sempre sul punto di smettere ma appena metto i piedi in campo svanisce ogni dubbio e ogni paura. Non si può essere sempre i migliori, è questo il punto. Poi se c’è sempre qualcuno che ti ricorda i tuoi limiti non potrai mai migliorare, perché se c’è qualcuno che ti tarpa le ali non potrai mai prendere il volo. Non voglio essere egoista, non voglio pensare solo a me, vorrei solo sentirmi dire ogni tanto “brava, hai giocato bene”. Sarebbe una bella dose di fiducia, in me stessa e nelle mie capacità.

Penso ai miei ultimi anni sui campi, eterno secondo, eterna incompiuta sarà stato il parere dei più ed è li che ho capito che la vittoria assume molte forme.
Nei primi anni come un ciclone grazie alla mia squadra ho vinto campionati su campionati per poi all’improvviso negli ultimi due anni fermarmi e sfiorare il traguardo, li ho capito davvero che la vittoria è quella che insegui e non quella che trovi al traguardo, perché ho avuto accanto gente fedele, sincera, che ha sudato per arrivarci vicino, nessuno che pensava solo a se stesso, li ho capito di aver vinto più di ogni coppa e titolo di giornale.

mister

Si mister ma mai nessuno ti dirà brava, dovrai sempre dirtelo da sola, dovrai sempre essere il tuo primo tifoso, il tuo primo motivatore. Per ora no, non smetto… voglio credere ancora un po’ in me.
Se fossi un mister amerei la mia squadra. Amerei ogni mia giocatrice, la guarderei con gli occhi di una madre, la ammirerei con gli occhi di una sorella e la ascolterei come se fossi una amica. Al momento giusto sarei cruda e severa, perché serve soprattutto questo. Serve instaurare un rapporto sincero, dove non serve girare intorno alle cose. Direi “brava” quando serve e farei critiche al momento giusto. Una squadra è un po’ come una famiglia. Un mister deve essere madre amorevole e padre severo, deve pensare al bene di tutti sacrificando talvolta il suo. Alla fine dei conti una squadra è il riflesso del suo allenatore. Se c’è rispetto e fiducia nel campo questo si vedrà, penso che sarei un mister così, un po’ matto, un po’ simpatico, un po’ stronzo: sarei un mister un po’ strambo. Una cosa farei: prima di ogni partita vorrei tutte le giocatrici intorno a me nello spogliatoio e gli direi “siete la mia squadra, sono fiera di voi: usciamo e dimostriamo a tutti quanto valiamo”. In campo non scendono solo 5 giocatrici, ci deve essere il mister a giocare insieme a loro.

Sara se fossi un giocatore invece vorrei ancora sentire il tremore in petto mentre il mister annuncia la formazione, vorrei pulire gli scarpini ed addormentarmi sognando di risolvere il match il giorno dopo, vorrei avere tante compagne da abbracciare perché sai che alla fine ogni mister è un uomo solo con la valigia in mano e non sa mai su quale spalla piangere?

mister

Il mondo del futsal è strano mister. Non ci sono riconoscimenti, non ci sono scuole, non ci sono abbastanza persone che ci investono. Gli impianti scarseggiano, i fondi anche, la mentalità è ristretta e c’è troppa paura nei confronti di un mondo che non ha niente di spaventoso. Le bambine vengono invogliate a seguire corsi di danza, a giocare a pallavolo o a fare ginnastica artistica, perché non vengono invogliate a giocare a pallone? Perché ci nascondiamo dietro al tabù della sessualità. Ognuno sà dentro se stesso chi è, non sarà giocare a pallone o no a farglielo capire. Odio questa mentalità. Perché tanta paura del calcio femminile? I genitori spesso sono la rovina dei figli, credo che ogni bambina dovrebbe esser lasciata libera di scegliere cosa fare nel tempo libero. Dobbiamo lasciare i bambini liberi di essere quel che vogliono! Alcuni vorranno diventare cantanti, altri medici, altri ancora astronauti, alcuni invece vorranno diventare calciatori. Lasciamoli liberi di sognare! Arriverà un momento in cui non potranno farlo più, arriverà il momento in cui sbatteranno contro la realtà, fino a quel momento, lasciamoli correre dietro ad un pallone, in fondo è solo un gioco!

Non saprei come darti torto Sara, anche io vorrei essere un mister, ci sto provando, di sicuro l’impegno non manca ma ancora sbatto contro gli spigoli e non lo so se riuscirò a calarmi nel mio ruolo nel modo giusto, in fondo non posso neanche dirlo io, saranno le giocatrici a dire se sarò all’altezza o meno.
Lei si alza, sorride un po’ malinconia come la nostra chiacchierata e mi dice ci vediamo in campo,  io la guardo sparire nel fondo del mio bicchiere di birra e penso che non è poi cosi difficile aprire dei confronti, dei mondi paralleli in questo futsal fatto di orticelli che non possono specchiarsi nel giardino del vicino.

Immagino il giorno in cui sarà quel che sarà o forse SARA.

 

mister

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