Football Americano Femminile

La Squadra

All’alba dei miei trentadue anni, ho deciso di cambiare vita.
Considerando che 33 anni è religiosamente quasi un’età mitica, non volevo trovarmi ad affrontare quell’anno con la solita,vecchia vita.
Sopratutto se era diventata così deludente.
Ho detto addio ai miei vecchi impegni, di servizio.
Ho deciso di battere una nuova strada lavorativa. Investendo e sperando nel miracolo, sul quale sia io che l’Italia stiamo cercando scommettere. Hoaffiancato al mio amore di sempre, la vela, il nobile sport della palla ovale, quello però con casco e spalliera.
Ho iniziato, ve lo confesso senza la minima convinzione.
Accompagnavo un amica agli allenamenti. Ero più preoccupata del fatto di farle da guardia del corpo, che dell’immergermi in un’altra attività.
La vela giù assorbiva totalmente la mia voglia di sport.
Sono istruttore, ufficiale di gara nazionale, dirigente di circolo e sono stata anche membro di comitato regionale.
Della vela mi piace tutto.
Sono al campo e vedo sta palla volare, ma come si prende?
Ma soprattutto, perchè devo correre con tutto questo freddo?
Va bene, le ragazze sono matte e divertenti. Molte hanno la mia età e cosa più importante, del mio peso.
Ok, proviamoci.
Allenamento dopo allenamento, la mia fame cresceva e in compenso il mio peso diminutiva.
Sono passata dalla sacra attività della navigazione in rete e in mare, in entrambi i casi seduta sulle mie natiche, a sciropparmi la ore di attività fisica aerobica, in palestra e in campo.
Nonostante tutto sono ancora lontana da potermi considerare una in forma.
Come mi aspettavo, il mio fisico si è ribellato.
Mi sono ammalata due volte di fila, convivo il raffreddore da un mese, ma nonostante il naso continui a colarmi, non potevo mancare alla mia seconda partita.
Nove febbraio.
Della prima non parlo, perchè la mia inconsapevolezza, regnava sovrana.
Ho cercato di impegnarmi, ma non ho capito molto di quello che accadeva.
Dipendevo dal mio Noseguard, che mi diceva cosa fare e mi alternavo con una ragazza con la quale felicemento, condivido la stazza. Di lei ammiro, la tenacia e le troppe tette.
Avevo il casco troppo grande e non vedevo letteralmente nulla.
Faceva caldo sotto all’attrezzatura. Ho provato a spingere il mio avversario, con forza.
Stavolta è diverso.
Ho i miei panni indosso, un fisico provato dall’influenza passata da poco, fa freddo e sono fiaccata dalla settimana brutta alla rincorsa di un lavoro che manca.
Non voglio partire, non domenica.
Sabato scorre, mi faccio la borsa con calma, cerco i calzini, sorrido, raggiungo un amica.
Domenica arriva mi alzo presto per farmi i panini, la borsa è pronta.
In auto e parto.
Mi sembra un rituale già fatto mille e mille volte.
Anche lì indossavo una divisa, avevo una borsa e andavo lontano.
Stavolta almeno la divisa è bianca e le ragazze che incontro, mi chiamano solo Daniela.
Pulmino, pulmino, pulmino.
Davanti a me e accanto a me, amiche e compagne anche,dei vecchi viaggi.
Se ci penso troppo, ho l’impressione che un peso si poggi a schiacciare il mio cuore.
La mia vecchia vita era diventata insostenibile, troppe battaglie combattute. Alcune vinte ma tante perse, o quasi. Quell’impressione di battersi a vuoto, nessuno a tenere il punteggio. Tutti bravi a vincere così.
Vicino a me, una ragazza dorme. Per indole ed età, anche lei sarebbe potuta appartenere alla mia vecchia vita, alla mia vecchia squadra.
Quella che ho perduto, andando via.
Finalmente arriviamo, in un posto, fuori dal mondo che conosco.
Le ragazze della squadra si lamentano.
Anche le mie l’avrebbero fatto. Le parole finiscono con l’assomigliarsi tutte quando si arriva in un posto nuovo. Il viaggio, il cibo, il tempo, il campo, parole così, in libertà.
Spogliatoio.
Divisa.
Come sempre sono pronta, per prima.
Vecchie abitudini, dure a morire.
Ascolto le ultime direttive e le ultime raccomandazioni.
E’ strano sentirle da qualcun’altro.
E’ bello pensare solo a giocare e a nient’altro.
Le ragazze sono tese emozionate, come lo erano sempre anche le mie.
Entro in campo correndo, mi concentro solo su quello che devo fare.
Uno, tre passi a sinistra o destra.
Blocco lìavversaria che mi sta di fronte o quella al suo fianco, reggo sul lato debole.
Non capisco tante troppe cose.
Chiedo, sembra che il tempo scorra troppo in fretta per le mie tante domande.
Esco, piena di dubbi, cerco qualcuno, con lo sguardo.
Sono da anni, una di loro. Li so riconoscere dall’odore, dall’aura che emanano, da come camminano.
Con o senza titoli, sull’apice della carriera o umiliate e offese, le guide sono visibili come candele nella notte, come fari in mare.
La trovo e le chiedo: “Che devo fare? Stai bassa non farti indietreggiare, sostienila”.
Questa volta, la mia guida è bionda, viene da lontano, ha un ginocchio fragile. Gli infortuni della vita.
In confronto quelli di un campo scout, non sono niente.
Lei indica una strada, io provo a seguirla. Lotto. La stanchezza si prende il mio corpo ma non la mia mente.
Aumenta, sale come una marea e annebbia anche i pensieri ora, Non riesco a capire perchè qualcosa non funziona, difendo il mio spazio, cerco di fare del mio meglio, con tutta la semplicità possibile.
Irritazione.
Voci che urlano, concitate.
Lo “sclero di metà campo estivo” penso.
“No questa è un’altra battaglia, completamente diversa”.
Non piove, non ho un chiodo infilato nel piede e una maglia blu.
Si torna, in campo.
Uno, tre, a destra a sinistra, lato debole.
La blocco, eccola non mi sfugge.
L’impatto, lei che va a terra,eccolo qui questo gioco, semplicemente.
Fine partita.
Vittoria.
Ho buttato tutta me stessa, senza cercare ragioni nelle cose semplici, ho provato a dare il meglio. Le braccia e le spalle mi fanno male, sono tutta un dolore. La spalliera è ora, come un guanto.
Questa volta il casco era della giusta misura.
Sono stanca.
Corsa, saluto.
Sono stanca.
Sorrido.
Sono stanca.
Stiamo in cerchio qualcuno urla gli altri rispondono.
Io le guardo, urlo, è troppo.
E’ troppo simile, alla vecchia vita, alle mie vecchie ragazze.
Non ho cambiato vita.
Non ho cambiato ambiente.
Ho solo abbandonato la zavorra che qualsiasi sovrastruttura possiede in sè. Mi sono liberata di quello che opprimeva, che mi costringeva in uno spazio più piccolo di quello che meritavo.
Ho abbandonato quello spazio capce di farmi del male, di farlo a quelli che amo, l’ho abbandonato al suo destino, che non mi appartiene. Senza rumore, ho lasciato che quella vita scorresse via dalle mie mani.
Non era reale.
Questo è reale.
Lo è sempre stato. Le mie ragazze e i miei ragazzi erano reali e quelli, non li ho mai lasciati.
Adesso posso affermare, di avere due squadre.
Tre, se considero quella della vela.
Una volta i calzettoni erano blu e adesso sono bianchi.
Le discussioni per l’uniforme sono le stesse.
Si parla sempre di maglie.
I visi sono come quelli, forse un pò invecchiati. Certe cose, non cambiano.
Sotto la doccia c’è una Daniela diversa, o forse è solo quella vecchia.
Sciocca pensavi che per te fosse diverso?.
Mauro, dopo anni non è sempre il tuo capo reparto e Maria la tua vice capo squadriglia.
Per Micky, che ora ha i rasta ed è piena di inchiostro sulla pelle, eri Chil e per Andrea che sta in squadra Crabs eri la capo fuoco.
Loro ti hanno riconosciuto, pensavi forse di fuggire dal tuo passato.
Marinella racconta le tue gesta sul pulmino.
Tu ridi, sai già quante cazzate hai fatto.
Le tue battaglie, saranno per sempre con te.
Tu le ricambi il favore.
Sai di essere tornata, ancora una volta.
Pulmino, pulmino, pulmino.
Dormono tutti, hai tempo per te.
Al circolo nautico ti vogliono in consiglio.
Ancora una volta, come se non facessi già abbastanza.
Devo continuare il percorso di formazione per i nuovi ufficiali di regata.
Devo iscrivermi in palestra, sono ancora lenta e mi manca il fiato.
Le regate nazionali incombono, spero non coincidano con i giorni delle partite.
Il lavoro, domani. Il Coach parla, ma io sono già lontana.
Devo chiamare le mie squadre.
Torno a casa, il sonno se ne accorge e presenta il conto.
Saluto la squadra e corro a casa.
Mando un messaggio alla squadra vecchia.
“Ho giocato. La prossima volta venitemi a vedere. Come va la scuola? Ci vediamo per un gelato?”
La squadra numero due la contatto domani.
Al circolo fa ancora freddo, ci potremmo vedere per mangiare una pizza e decidere quando uscire in mare.
La squadra di sempre appare su whatsupp.
Vecchi progetti da portare avanti, nuovi progetti appaiono on line, raccontiamo di noi, della nostra amiciczia, l’unica cosa della quale ha senso parlare.
La squadra del lavoro non c’è, o almeno non ancora si può chiamare squadra.
Ci lavorerò.
Stasera riunione con la squadra del CNF, pizza e strategia per le votazioni.
Il 12 aprile scatta l’ora X.
… ma quante squadre ho?

Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

To Top