Benedetta De Angelis ha quasi smesso infinite volte.
Ha quasi smesso a 20 anni, dopo una lesione al collaterale mentre vestiva la maglia della Roma: era l’ultima giornata del campionato e quell’infortunio le ha negato la possibilità di essere convocata per il Mondiale in Giappone con la Nazionale Under 20.
Ha quasi smesso quando il calcio a 11 femminile è entrato nel professionismo e tante delle sue ex colleghe e compagne hanno iniziato a fare le calciatrici, per davvero, tra Juventus, Milan e Inter.
Ha quasi smesso nel 2020, nell’anno della Coppa d’Oro, quando il Covid ha reso le cose difficili per tutti a livello economico e non solo. È stato in quel momento che per l’ennesima volta, più seriamente delle precedenti e di tutte le altre che non stiamo qui a raccontarvi, Benedetta ha pensato davvero di smettere.
“Me ne stavo tornando in Abruzzo con la mia valigia di cartone, come una pecorella smarrita. Ho sostenuto la mia tesi di laurea nel salone di casa a Collecorvino che sostituiva la sala delle proclamazioni di Tor Vergata. Intorno a me c’era uno scenario apocalittico, riprendere sembrava difficile. Mi sono detta “basta così”, ma è arrivato Alessandro Betteghella, deus ex machina, a cambiare i piani. A permettermi di scrivere una storia diversa”.
DOMANI SMETTO – Smetto. Non oggi, magari domani. E giorno dopo giorno, Benedetta è arrivata a 100 presenze con la maglia dell’Audace Verona, l’equivalente di 4 stagioni e mezzo vissute tutte d’un fiato.
“Ho detto sì in due giorni. Il tempo di trovare un Master in Editoria alla Cattolica di Milano e di capire quanto Verona sia meravigliosa. Per me rappresenta la città della maturità: ha aperto un capitolo nuovo della mia vita, che non avrei mai potuto preventivare. Qui ho trovato anche il mio lavoro vero. In pratica, mi ha permesso di entrare nell’età adulta, anche se gioco ancora”, ride. “Ma sicurezza e stabilità sono dipese dal contesto sportivo in cui ho avuto la fortuna di trovarmi; un contesto sereno grazie al quale ho potuto prendere decisioni importanti. Un luogo sicuro, quasi “anomalo” se consideriamo la spesso discutibile costellazione di società che caratterizza i nostri campionati. Non avrei voluto tagliare questo traguardo da nessuna altra parte”.
UNICO UMORE – E in una domenica storica per lei e per l’Audace, i tre punti con l’Atletico Foligno sono stati la ciliegina sulla torta.
“Credo che questa volta sia davvero il caso di prenderci con forza i nostri meriti. Quando riusciamo a entrare in sintonia non solo tatticamente, ma anche emotivamente, facciamo sempre delle ottime partite. È stato un concorso di fattori positivi: abbiamo lavorato bene in settimana ed eravamo tutte sul pezzo, condizioni che fanno emergere sempre qualcosa di buono, a prescindere dal risultato. C’è un unico grande umore che avvolge questa squadra: se qualcuna ha una giornata storta, contagia tutte le altre”.
Ma fortunatamente accade anche il contrario.
“Domenica ho messo un altro tassello nella mia carriera e l’esito è stato quello sperato e voluto: ringrazio tutte le mie compagne per aver dato un sapore speciale a queste mie 100 presenze. Se fosse andata diversamente, sarebbe stato un amaro festeggiamento. Mi chiedevano: “Sei felice?”. E io rispondevo: “Non ho bisogno di essere felice: mi basta sentirmi sollevata”. Leopardi mood. Abbiamo sempre vissuto la fine del girone di andata con ansia; riuscire a ottenere qua e là altri punti è uno dei piccoli traguardi intermedi che mi pongo. Chiamiamoli anche piccoli desideri: è da lì comunque che si alimenta la mia motivazione interna. Dalle piccole cose”.
Punto e a capo. Perché porsi traguardi, in fondo, cozza con quel famoso “domani smetto”.
“Mi chiedo spesso chi sarò senza futsal. Mi sono laureata, ho un lavoro che mi piace, ho cercato di fare anche altro… eppure è come se fossi fagocitata dall’identità calcistica. “Com’è andata la partita?” è la prima domanda che mi viene posta da tutti. Mi chiedo se ho fatto bene tutto, o se sarebbe stato meglio tralasciare qualcosa, per tentare di farne in modo impeccabile soltanto (o almeno) una. La verità è che dovrei soltanto imparare a dirmi che ho fatto del mio meglio. E fare del mio meglio è stato il massimo che potessi fare”.
“Sicuramente ho lasciato indietro tante cose, tanto di me e tanto degli altri (infatti “nelle foto di famiglia non ci sono mai”).
Ma mi rendo anche conto – chiude De Angelis – che tramite lo sport ho conosciuto le persone più importanti della mia vita. Smettere sarà chiudere col campo, non con le persone”.
Foto: Federica Arca (Audace Wave)