Serie B

Giada Cillo giura fedeltà al Levante Caprarica: “Qui finché le gambe mi reggeranno”

Cillo

In giallonero sin dagli inizi. Non c’è Levante Caprarica senza Giada Cillo, una delle figure storiche del club, arrivata alla corte di Morello dai campi in erba dell’oratorio dei Salesiani durante la “migrazione” iniziata da Campilungo, sua attuale compagna di squadra. Insieme dal CSI al Nazionale, insieme nei momenti più belli e anche quando c’è stato da soffrire, quel giorno in cui tutto sembrava vicino alla fine. È proprio da quel momento che parte il racconto di Cillo.
“Chi ci seguiva, da un giorno all’altro, ha deciso di lasciarci per una categoria superiore. Si è prospettata anche l’ipotesi della chiusura, ma per me non se ne parlava proprio perché questa è senza dubbio la realtà più bella di tutto il circondario. Pur non avendo troppo tempo e sapendo poco di burocrazia, mi sono messa a disposizione per andare avanti. Sono convinta che quando c’è passione, tutto il resto viene da sé. E il resto è arrivato davvero. Perché oltre al mio impegno, c’è stato quello totale da parte di tutte. Magari a volte serve l’idea di un singolo, ma quell’idea rimane fine a sé stessa se non viene supportata dal collettivo, come fortunatamente è successo a noi”.

Prima di pensare al futsal, però, ci sono stati ben 12 anni di pallavolo. I centimetri, Giada, li ha presi dal papà: un omone alto 1 metro e 96, ex giocatore del Lecce prima che la squadra di chiamasse così e avesse il proprio stadio. Purtroppo, quell’omone è venuto a mancare 10 anni fa, ma quell’impronta è stata importantissima per Giada.
“Essendo alta 1,80 ero perfetta per la pallavolo, ma appena potevo andavo a giocare a calcio: ho iniziato sotto casa, sul cemento, tra i ragazzi che non sempre vedevano di buon occhio che ci fosse una ragazza in campo. Ma a me non interessava. Quando poi ho iniziato davvero a giocare a calcio a 5, ho finalmente capito che era quello il mio sport: sono stata portiere, poi sono passata in difesa, proprio come mio padre. Inutile sottolineare che continuo a fare tutto questo per lui: veniva a vedermi, era felicissimo che giocassi e mi dava tanti consigli. Oltre alla statura, anche la visione di gioco l’ho presa da lui: non penso al passaggio da fare, vedo già il corridoio. Dai – ride – almeno su questo posso tirarmela”.

Un infortunio l’ha “lanciata”, un altro ha rischiato di fermarla.
“Durante una partita di pallone sotto casa e mentre giocavo regolarmente in D a pallavolo, ho fatto un salto per effettuare una parata e mi sono rotta la caviglia. Mentre ero ferma, ci ho ripensato e mi sono detta: ma se sono riuscita a fare una parata del genere perché mi ostino a voler continuare con la pallavolo? Da lì i Salesiani e poi il Levante, ma – prosegue – nel 2017 ho fatto un brutto incidente con la moto e mi sono rotta l’omero”.
Terapie e onde d’urto non sono bastate per una buona calcificazione, ha ancora una placca d’acciaio e i medici le hanno vivamente sconsigliato di ricominciare a giocare.
“La mia risposta? Piuttosto me lo rompo di nuovo, ma gioco tutta la vita. Questa col Levante è sicuramente l’esperienza più bella di tutte e lo dicevo già quando pensavo che avrei chiuso la mia carriera da dilettante, figuriamoci ora che a 34 anni gioco in A2, con Lucy Campanile come mister. Con un braccio che non va e senza reputarmi chissà quale giocatrice, sono riuscita a realizzare un sogno: dai campi in cemento tra ragazzi che non mi volevano lì, al nazionale condiviso con una famiglia. Perché è questo che siamo. Non ci lega solo il pallone, ogni scusa è buona per vederci anche fuori dal campo. Certo, a volte, ci sono screzi, ma è così anche con mia sorella, eppure la amo da morire: da “mi hai stufato” a “dove sei?” è un attimo. Come in una famiglia”.

Non a caso le giallonere non si sono separate neanche durante le feste e ora sono tornate insieme a prepararsi per la fine del girone di andata contro Team Scaletta e Reggio Sporting Club.
“Neanche un mese fa, Morello ha giustamente alzato la voce ed è stato una sorta di Big Bang, un’esplosione che ha dato origine a qualcosa. Ci ha scosse e ci è servito, perché già dall’allenamento successivo siamo tornate ad essere quelle che eravamo. Siamo umane e siamo prese da tante cose, ci sta che ogni tanto qualcuno ci riprenda. Avevo pensato di parlare anche io, che all’interno della squadra svolgo un po’ il ruolo di confidente, ma le sue parole sono arrivate dritto al cuore e ci siamo ritrovate come gruppo che vuole lottare e onorare la maglia”.

Da qui fino alla fine della stagione, e oltre.
“Da quando c’è Lucy ad insegnarci cos’è e com’è il futsal, ogni allenamento è un dono perché lei è prima di tutto psicologa. Non è la persona che quando capisce che hai avuto una brutta giornata, ti dice di lasciare tutto fuori. È piuttosto quella persona che ti fa capire quanto sia inutile buttarsi giù o quella che ti fa capire come sfogare la tua rabbia. E poi puoi parlarci tranquillamente, per ore, di tutto. Tra famiglia e lavoro – conclude Cillo – ci sono stati momenti in cui ho pensato di mollare, ma come faccio? Per quanto mi riguarda, finché le gambe mi reggono, rimarrò in questa famiglia: che sia dalla panchina, dalla tribuna o dal campo per pochi secondi, io ci metto sempre tutto il cuore”.

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