Serie A

Nozze d’argento col pallone, Katia Coppola si racconta: “Tanti sacrifici, ma li rifarei”

Coppola

Empatia. Dal greco “sentire dentro”, immedesimarsi. Se oggi capitan Katia Coppola mastica amaro non è per il risultato col Pescara, ma perché – da qualche giorno – il dolore di Jessica Naiara è anche il suo.
“Un infortunio che davvero non ci voleva. A parte Fichera che sta rientrando, domenica è stata la prima volta che siamo riuscite ad avere la squadra al completo per quanto riguarda le giocatrici di movimento e invece, ora, viene a mancare un tassello fondamentale. Punto e perdo palla? Fa niente, c’è Jessica. Certo, ora ci saranno altre compagne a coprirmi le spalle, ma siamo comunque una in meno. Una importante in meno”.

Tegola che si aggiunge a due giornate consecutive senza punti, anche se tra le sconfitte con Irpinia e Pescara c’è da fare un bel distinguo.
“Ad Ariano Irpino, non siamo entrate praticamente in campo. Non ce n’era, abbiamo pagato qualsiasi errore e così ci siamo giocate il “jolly”, lasciando per strada quei punti che invece abbiamo conquistato a Statte, su un campo in cui anche il Bitonto ha fatto fatica. Col Pescara ci abbiamo provato eccome, ma loro sono state estremamente ciniche, mentre noi siamo andate a sbattere contro Sestari. Per due volte l’ho messa sotto l’incrocio: ad un portiere normale fai gol, lei le ha fatte sembrare parate elementari. Se avessimo giocato allo stesso modo con l’Irpinia, sono certa che non avremmo perso”.

Niente più passi falsi contro il Pelletterie, anche se lo zero in classifica delle rivali non tranquillizza nessuno.
“Chi hanno incontrato? In quali condizioni? Queste sono domande che dobbiamo porci prima di soffermarci su un numero. Andremo lì con umiltà, sapendo che dobbiamo vincere e non ci sono scusanti: il punteggio non mi interessa, ma voglio punti, proprio come li volevo col Pescara. Quest’anno siamo più gruppo e questo potrà fare la differenza, anche con Zanetti ci stiamo trovando bene: ha una risposta a qualsiasi domanda, sa quel che fa. La Coppa con la Lazio? Ogni partita è a sé e quando ci sarà da giocare, la giocheremo a viso aperto. Mi dispiace solo aver dovuto chiedere un giorno a lavoro”.

Sacrificio, d’altronde, è stata la parola d’ordine sin da quando Coppola ha iniziato a giocare. E per farvi un rapido conto, la rossonera ha da poco festeggiato le nozze d’argento col mondo del pallone, tra calcio a 11 e calcio a 5.
“Mai uscita di sabato, mai di domenica. La mia settimana è sempre stata scuola-allenamento, e se non finivo i compiti in tempo, neanche allenamento. Un’educazione rigida, ma non smetterò mai di ringraziare i miei genitori. Al liceo stessa vita, ma ero a 40’ da casa quindi mi alzavo alle 6. Il sabato non andavo quasi mai a scuola, perché ero in trasferta col Como in Serie A”.
E chi se lo scorda il giorno dell’esordio.
“Avevo 15 anni, a 2’ dalla fine sono entrata in campo a Genova, sotto il diluvio universale. È arrivata una palla dentro l’area e ho pensato, devo solo toccarla: un secondo dopo tutta la squadra mi correva incontro. Ho avuto una paura, mi sentivo così piccola”, racconta.

“Rifarei tutto sì, anche se qualche scelta la cambierei. Prendiamo l’università. Avevo già preso un anno sabbatico per partecipare ai Mondiali del 2012 in Giappone, poi sono andata a giocare in Svizzera, a Lugano: lì, per tre anni, ho lavorato e studiato farmacia. Finito il trienno, sono rientrata in Italia e ho purtroppo scoperto che nonna era malata. E’ stato un colpo molto duro, per me è stata una seconda mamma: così ho deciso di iscrivermi a scienze infermieristiche per poter essere d’aiuto, come avrei voluto esserlo per mia nonna. Vivevo in Italia perché giocavo al Chievo, ma mi sono iscritta in Svizzera e sono rientrata tra i 10 stranieri che erano stati ammessi a fare il test. Il giorno dell’esame, un disastro dietro l’altro: sbaglio strada, scavalco una recinzione per accorciare i tempi, ma il cancello ha degli spuntoni e mi procuro un brutto taglio ad una mano. Mi presento in ritardo tutta sporca di sangue e faccio questo benedetto esame, che poi passo. Per poter frequentare, però, mi veniva chiesto un corso obbligatorio di un anno come operatore socio-sanitario e mi permettono di seguirlo in Italia, a Brescia. Facevo tutti i giorni Brescia-Chievo, supero il corso e a luglio inizio a lavorare in una struttura ad Appiano. Ho pensato che mi sarei dedicata esclusivamente alla carriera, ma – sorride – non avevo fatto i conti con l’arrivo di Alessandro Betteghella che mi chiedeva di giocare per la sua società”.

A metà luglio la forma con l’Audace durante un incontro al quale presenzia anche la madre.
“E’ stata la prima a capire cosa sarebbe successo: “quell’Alessandro diventerà mio genero…”, ha sentenziato. Ancora rido, se ci penso. A fine mese avevo lasciato il posto, purtroppo non avevo più mia nonna, non avevo più iniziato l’università e mi ero trasferita a Verona per giocare in rossonero. Qualche giorno più tardi ho ripreso in una RSA psichiatrica, tornando a dividermi per tre anni tra calcio a 5 e turni. Da due anni ho cambiato di nuovo: ora lavoro in una scuola privata paritaria con 8 bambini con diversi tipi di disabilità. Tante scelte improvvise e coraggiose sì, ma sono contenta che sia andata così. Per ora non mi manca nulla”.

Un equilibrio perfetto che a fine stagione, però, potrebbe rimettere in discussione per qualcosa di molto più grande.
“Come avevo già detto l’anno scorso, voglio diventare mamma. Spero sia una femmina, ma solo perché così potrò portarla a giocare in Audace”, sorride.

 

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