Primi 40′ col rossonero dell’Audace Verona sulle spalle, 35’ dei quali giocati testa a testa con un Bitonto favorito non solo nel match, ma in tutto il campionato. Al di là del risultato finale, per Jessica Naiara Dos Santos è un esordio da ricordare in una E-R Arena ancora più bella per le telecamere di Sky.
“Essere lì per noi giocatrici è come mettere piede su un altro pianeta: ti vengono i brividi, gli occhi si riempiono di lacrime, è una gara diversa dal resto. E questo può condizionare anche in campo, specie all’esordio: abbiamo commesso tanti errori con la palla tra i piedi, ma abbiamo fatto capire di essere toste perché siamo state sempre in partita. Poi noi abbiamo un po’ finito l’ossigeno e Lucilèia non sbaglia mai. Anche Cenedese ha giocato molto bene. E pensare che sono stata io a portarla in Puglia ai tempi del Fasano… Avrei dovuto tenerla ancora con me, piuttosto che come avversaria”, ride.
Già da sette anni nel Belpaese e nessuna aria di crisi.
“Se l’Italia non mi lascia, io non lascio l’Italia – ride di nuovo. – Qui sto benissimo e posso solo ringraziare tutte le persone che mi hanno accolta come una di famiglia e mi hanno aiutata sin dal primo momento. Giovanni Montanaro, ad esempio, è il mio papà in Italia, ma non dimentico nessuno: c’è tanto amore nel cuore delle persone che mi circondano. Io dico sempre che da sola non vado da nessuna parte, con loro potrei raggiungere qualsiasi meta”.
Anche a Verona ha già trovato casa: non intesa come le quattro mura dopo un allenamento, ma quella alla quale fare rientro quando si cerca un po’ di calore umano.
“Mi è bastata una chiacchierata con la dirigenza, in primis con il presidente Betteghella, per capire che tipo di ambiente avrei trovato: c’è grande onesta e voglia di migliorarsi ogni anno. La cura della giocatrice per loro non sta solo nella puntualità dal punto di vista economico, ma in tutti i dettagli: la scelta del campo, una bravissima fisioterapista sempre a disposizione, la giusta visibilità a tutte le giocatrici, e potrei continuare ancora. Ecco, Betteghella è proprio la persona che mi ha spinta a dire sì. E poi sono stata molto felice di sapere da mister Zanetti che lui mi abbia fortemente voluta nella sua squadra”.
Succede questo: due o più persone si conoscono, si crea un legame e questo legame, intensificandosi, fa sì che stare tanto lontana dalla propria famiglia sia una prova meno dura da superare. Purtroppo non c’è più papà Dos Santos, ma ad aspettarla c’è sempre mamma Cleonice, o meglio “Dona Preta”, suo esempio di vita.
“Se gioco a calcio a 5 è perché lo faceva mio padre e io lo seguivo in ogni partita, quel che sono – però – lo devo a mia madre. Da 30 anni lavora nello stesso ospedale: per 25 anni ha lavorato come donna delle pulizie, da 5 lavora in cucina. L’ho sempre vista lavorare tantissimo e quando tornava non le mancavano mai le forze per giocare con noi fino a tardi. È la persona più speciale che io conosca, quella che vorrei diventare a mia volta. Lei mi ha insegnato che non si molla mai”.
Ed è stata lei a dirle di attraversare l’oceano per diventare una professionista, quando quel treno è passato.
“In Brasile, il calcio ti dà pochissimo. Si studia, si lavora e poi si gioca. Qui, col tempo, ho guadagnato qualcosa di impagabile: l’indipendenza e la possibilità di aiutare mia madre. Ricordo la sua gioia quando uno sponsor mi ha regalato un paio di scarpe da gioco. Mi ha detto: “Ora puoi andare lontano”. Da mangiare non è mai mancato, ma le scarpe erano un di più. Si faceva fatica a comprarle, succedeva di rado. Io questo l’ho capito subito, perciò sono stata una bambina che non ha mai chiesto nulla e sono una donna che è grata di tutto. Non potrò mai dimenticare chi mi ha aiutata, perché il calcio a 5 mi ha cambiato la vita e ora sono io che posso fare regali a mia madre. Il più bello che le ho fatto? Stare sempre con lei. Ogni volta che torno in Brasile passo tutto il mio tempo con lei. La vado a trovare a sorpresa sul posto di lavoro, la porto a bere una birra e la ascolto parlare per ore, proprio come farei con la mia migliore amica”.
O come farebbe con la sua “irmanzona” (sorellona, n.d.c.), Rafa Pato. Da piccolissime avversarie ad (ancora piccolissime) compagne di squadra, il passo è stato breve verso l’Araraquara di Leo Mendez. “Ci picchiavamo tantissimo, come ci vedete fare oggi – ride – ma è nata una bellissima amicizia, perché siamo due persone simili: anche lei viene da una famiglia onesta che le ha insegnato a combattere per raggiungere i propri obiettivi. Ci chiamavano Ronaldinho bianco e Ronaldinho Gaucho. Abbiamo condiviso tutto per anni, stavamo sempre insieme, poi lei è andata a giocare in Russia e io mi sono sentita persa. L’anno dopo lei è andata in Portogallo e per me, invece, è iniziata la bella avventura italiana che ci ha permesso di rincontrarci, ma il rapporto è sempre rimasto saldissimo. È come se sentissimo quando l’una ha bisogno dell’altro. Prima delle partite importanti, mi chiama sempre: da fuori sembra forte, ma io conosco le sue fragilità e le sto sempre vicina”.
Famiglia, amicizia e Dio. La fede è un valore incrollabile nella vita di Naiara.
“C’è stato un periodo un po’ difficile a casa, prima che i miei si lasciassero. Anche se ero molto piccola, andavo in chiesa da sola e dopo un po’ mi sentivo meglio. I brutti pensieri si allontanavano. Non ho mai smesso di credere, mi fa sentire al sicuro”.
Sette anni qui e solo ora ci sembra di conoscerla davvero. Rimane solo una domanda sul nostro taccuino: perché il 21?
“Un omaggio a Claudia Cuccu. Dopo la rottura del crociato, avevano tutti mille dubbi sulle mie condizioni. Tornerà come prima? Sarà la stessa Jessica? Avrà recuperato del tutto? Lei non mi ha fatto domande: mi ha detto che le piaceva il mio modo di giocare e che mi avrebbe voluta al Futsal Femminile Cagliari. Quando ha smesso di giocare, ho deciso di prendere il suo numero. Semplicemente il mio modo per dirle grazie, ancora una volta”.
Foto copertina: Federica Arca (Audace Wave)
Foto nell’articolo: Federica Arca (Audace Wave), Divisione Calcio a 5 e Debora Braga (Città di Falconara)
