Quarti di Final Eight e quarti playoff. Si chiude con una doppia prestigiosa partecipazione l’annata sportiva del Bisceglie di Susy Nicoletti. Un cammino facile, ma sicuramente formativo a lungo termine.
“Sapevamo dall’inizio che – con tante novità tra mister, staff e giocatrici – sarebbe stata una stagione di alti e bassi, in cui avremmo sofferto un po’ per trovare la nostra vera identità. Tirando le somme, do una sufficienza piena, ma lo vedo più come un anno di transizione, in cui abbiamo posto le basi iniziando a costruire per il futuro”.
Già purtroppo sicura l’assenza di Giusy Soldano, il cui ritiro è stato salutato con enorme affetto da tutta la Serie A.
“A Falconara, sono crollata. Mi sono messa in disparte e ho pianto a singhiozzi. Un po’ per il legame con lei, un po’ perché forse mi sono un po’ proiettata verso quel che inevitabilmente sarà. Ci sto pensando tanto: da una parte non sono convinta di voler continuare, ma dall’altra – sorride la numero 5 – non sono convinta di voler smettere. Faccio bilanci da un paio di stagioni: giocare è stata la mia vita per una vita, immaginare adesso il mio futuro senza futsal è troppo difficile, perciò sto cercando di capire cosa voglio davvero, se ne valga ancora la pena. Ho sempre dato per scontato che dovessi giocare, quest’anno ho iniziato a metterlo in dubbio, ma forse non è ancora arrivato il momento: quando vedo il pallone, ho lo stesso entusiasmo di quando ero solo una bambina”.
Le chiedo della piccola Susy, della seconda dei tre fratelli Nicoletti. Quella che sarebbe poi diventata la prima bandiera della Nazionale italiana.
“Sono cresciuta tra le vie di Parabita, giocando con i vicini. Mi sono formata su quelle strade, tra quelle persone. A quei tempi sono legate le immagini più pulite, più vere. Lì è iniziato tutto il percorso che poi ho fatto. Ogni volta che penso al passato, il primo ricordo che mi viene in mente è legato ai Pulcini: quel giorno c’è una partita importante, Parabita-Casarano e io ero l’unica ragazzina della squadra. Quella del Casarano (nelle categorie superiori c’era già un certo Fabrizio Miccoli, n.d.c.) era una squadra fortissima che vinceva largo tutte le partite. Si giocava in casa, sugli spalti c’erano entrambi i miei genitori. Ero un po’ agitata, ma mia madre mi disse che eravamo sempre 7 contro 7, frase che mi ripeto spesso anche oggi, prima di ogni domenica cruciale. Comunque, alla fine vincemmo 1-0 e di quei 7 con la maglia del Parabita, fui proprio io a segnare”.
Susy non poteva saperlo, ma quella sarebbe diventata la partita-simbolo di un’intera carriera.
“Proprio così. In tutto quello che ho vinto, lo Statte non era mai favorito ma alla fine la spuntava. Vedi l’ultimo Scudetto contro la Virtus Ciampino, loro avevano praticamente due squadre, noi eravamo sempre le stesse, eppure ha ragione mia madre… si gioca sempre 5 contro 5”.
C’è qualcosa nel tono in cui lo dice, qualcosa che riporta a quelle sfide tra le vie di Parabita. Eccolo il “fanciullino” di pascoliana memoria, quello che ancora la capacità di meravigliarsi. Il domani è salvo, ancora per un po’.
