Un terzo di vita in rossonero, dalla Serie C fino alla prima partecipazione in A. Ma per capire che quello tra Agata De Berti e l’Audace sia un rapporto speciale, non servono gli annali. Basta guardare come le brillano gli occhi ogni volta che scende in campo con quella maglia, oppure basta un solo sguardo al suo braccio sinistro, guarda caso quello del cuore. È qui infatti che il portiere di Bionde di Visegna ha scelto di tatuarsi il nome della sua seconda famiglia: AUDACE.
“Era un pallino che avevo da un po’ – spiega – e la promozione nella massima serie mi ha dato la giusta motivazione per farlo. Sull’altro braccio, ho una leonessa circondata da fiori: la chioma ricorda un po’ i miei capelli e, come una leonessa, sono determinata e amo stare nel mio “branco”, pur essendo allo stesso tempo molto indipendente. Rappresenta il mio carattere, ma è anche un po’ simbolo del mio percorso. Infine, ho un colibrì che è vivace e colorato, ma forte e simboleggia bene un altro tratto della mia personalità”.
Era la stessa anche 8 anni fa, quando un dirigente della società – Gabriele Pellegrini – l’ha scovata tra i pali di un campionato amatoriale.
“Mi ha fermata dopo una partita e mi ha chiesto di provare. Io ero curiosa. Avevo sempre avuto un pallone tra i piedi – ricorda Agata – anche se in porta sono finita dopo la rottura del crociato: avevo giocato un mesetto come laterale, poi in attesa dell’operazione, avevo avuto bisogno di un ruolo che non mi sottoponesse a troppi cambi di direzione e come portiere riuscivo a fare tutto. Mi allenavo da sola o con mio padre, ex portiere di calcio a 11, che ha fatto i salti di gioia quando mi ha vista seguire la sua strada. Era arrivato il momento di confrontarmi con una realtà diversa, di mettermi in gioco. E così ho incontrato l’Audace”.
Numero 1, quello che da sempre identifica il ruolo più delicato.
“E’ quello che dirige la squadra, che deve commettere meno errori. Nel futsal oserei dire che il portiere è il 60% della squadra, ma a me piacciono le responsabilità e forse – sorride – mi piace stare un po’ al centro dell’attenzione. Ho imparato tanto da Jody Fumarola, primo pazzo che ha creduto in me – dice ridendo – e dai vari preparatori che negli anni mi hanno e mi stanno tutt’ora insegnando i segreti del mestiere, inoltre stimo Dibiase per il suo stile negli interventi e per la sua velocità. Che sia partita o allenamento, cerco di dare sempre tutto, così come è stato nella finale di Coppa Italia dell’anno scorso: non abbiamo vinto, eppure me la sono goduta fino all’ultimo secondo. Le nocche sbucciate? Mi piace che si vedano, perché è un lavoro duro quello del portiere”.
E sacrificio dopo sacrificio, Agata e l’Audace hanno trasformato il sogno in realtà con la prima vittoria ottenuta in trasferta contro l’Athena Sassari.
“Ne parlavo con papà prima della partenza, mi sentivo pronta e sapevo che tutte lo saremmo state. Cominciare con una vittoria aiuta e motiva: considerati gli obiettivi, tre punti sono oro, ma continueremo a dare il massimo ed a migliorarci per prenderne altri, o almeno per farli sudare anche alle nostre avversarie, nel caso in cui non dovesse andare come speriamo”.
Se con le isolane è stato tutto in discesa, ora sarà il turno del 31 contro il Granzette a dare ulteriori risposte, nel primo derby ad altissima quota tra le due società.
“Siamo già in trepidazione – carica De Berti. – Rispetto ai precedenti in A2, mi aspetto una gara completamente diversa perché entrambe siamo cambiate e cresciute in questi anni. Ci sarà sicuramente quel pizzico di paura utile a tenere le antenne dritte, ma le sensazioni sono positive perché accanto a me ho ragazze con le quali ho raggiunto traguardi meravigliosi e quattro innesti che si sono integrati benissimo. È difficile da descrivere, ma quando sono scesa in campo domenica scorsa ero tranquilla: sentivo di essere dove abbiamo meritato di essere. Proprio accanto a chi avrei voluto ci fosse”.
