Pubblichiamo integralmente il post sul quale ci ha richiamati all’attenzione tramite tag Maria Serrau, giocatrice della Mediterranea e rimaniamo a disposizione per eventuali successive dichiarazioni da parte della giocatrice o del dirigente non meglio identificato.
“Gara 1 Play out serie A2 femminile: Cometa vs Mediterranea.
La mia ultima partita della stagione.
Sì, sono stata espulsa. Si, per reiterate proteste.
Potrebbe far sorridere, ma no, tutto quello che sto per raccontarvi, non fa ridere. Non me, almeno.
– LA PRIMA AMMONIZIONE: vengo ammonita dal secondo arbitro perché gli chiedo rispetto, in quanto, evidentemente alterato, decide di venire a urlare contro di me, a 10 cm dalla faccia, per imporsi. Mi urla “stai zitta e gioca”, gli dico che non si deve permettere perché, prima di essere una giocatrice, sono una donna. Continua, continua e continua. Io urlo, in punta di piedi, per sentirmi alla sua altezza. Cartellino giallo.
– LE MANI SUL COLLO: a fine partita, mi avvicino agli arbitri, due uomini e una donna, per essere precisa. Continuo a ripetere al secondo arbitro che non deve permettersi di comportarsi così, che pretendo rispetto. Non faccio in tempo nemmeno a finire la frase. Arriva, di corsa, in un evidente impeto di rabbia, un dirigente della mia squadra. Mi mette entrambe le mani sul collo e mi urla di “stare zitta”. Mi trascina fuori. Cerco di dimenarmi. Mi aiutano, il primo arbitro, il mio Allenatore e qualche mia compagna. Rientro nello spogliatoio. Il direttore di gara, dopo essere intervenuto, mi calma e impedisce all’uomo di rientrare nel palazzetto, urlandogli contro “quella poteva essere mia figlia”.
– IL COMUNICATO: il mercoledì viene reso pubblico il comunicato con le decisioni del giudice sportivo. Come potete leggere, nessun riferimento al fatto accaduto, nessuna sanzione. L’arbitro, insieme ai suoi colleghi e all’osservatore presente in tribuna, non ha scritto nel referto quello che è successo. Quello che hanno visto. Quello per il quale il primo è intervenuto. Silenzio. Omertà. Il primo arbitro addirittura mi scrive “ahimè, essendo della tua stessa società, il giudice sportivo non avrebbe dato nessuna sanzione”. Assurdità.
-IL RICORSO: non ci sto. Mi muovo per avere giustizia sportiva. Mi viene comunicato che i termini per presentare un ricorso sono di 24h dalla gara, per il preavviso, e 48h dalla stessa, per il ricorso. I termini scadono prima dell’uscita del comunicato. Prima che io possa sapere se gli arbitri abbiano svolto il loro lavoro. Non posso fare nulla.
TRE SCHIAFFI MORALI in pochi giorni. Tre schiaffi morali, ai quali devo aggiungere tutto quello che mi sono sentita dire dopo aver, ovviamente, comunicato di non voler far più parte della squadra. Di non voler più rappresentare un uomo così.
– “Ma non farebbe male a una mosca”
– “Ma voleva solo allontanarti per evitarti una squalifica più pesante”
– “Se fosse successo a me anche io non sarei piu tornata al campo, ma non sono nella tua situazione”
– “Ma le tue compagne hanno bisogno di te”
– “Ma veramente vuoi buttare una stagione all’aria per questo?”
Il problema è che tutto questo è successo a me, ma poteva succedere a chiunque e in altri mille ambiti. Nello sport, e soprattutto in alcuni sport etichettati come “da maschi”, questa discriminazione nei nostri confronti, questo maschilismo, sono ancora più evidenti.
Sono quasi certa però che, la stessa indifferenza, la stessa pressapochezza, la stessa leggerezza con il quale è stato visto e accettato il gesto, da uomini e da donne, l’avrei trovata anche in altri ambiti. E questo sì, è un problema grande.
Non avrei fatto un post su Facebook se avessi avuto almeno giustizia sportiva. Ma mi sembra l’unico modo per mettere in evidenza un fatto che poteva succedere a altre mille donne, a altre mille ragazze, a altre mille bambine. E no, non si può stare sempre in silenzio.
NO.
Lo so, è solo l’ennesimo episodio. È uno dei tanti. Ne saranno successi di peggiori. Ma dobbiamo far qualcosa, e stare in silenzio non è la soluzione.
