Storie

2021 – Diario di Coppa – Anticipo

Chiamate su zoom, pigiami brutti ma non orrendi. Idee magnifiche e voci lontane anche se risuonano come se fossero in questa stanza.
Francesca mi regala un po’ del suo talento, questi sono doni rari, inaspettati.
Il borsone nero torna sul letto. I viaggi da e per Roma. Quelli lunghi, interminabili. Il gatto che soffia a quel pezzo di stoffa che significa che vado via. Per tanto tempo.
Pezzi di hardware sparsi ovunque, letto letteralmente ricoperto. Temo comunque di scordarmi il cuore, per lasciarlo al sicuro con quel felino bianco che s’aggira preoccupato.

Pronti via, fuori una,
Kick Off eliminata dal Covid 19. Aggiungo sempre quel numero per ricordarmi che sono passati due anni e attendo ancora quel momento in cui andrà, finalmente, tutto bene.
Città di Falconara, semifinalista.
Nessun tabellino, nessuna cronaca. Nessuna partita.
Final Seven.
“I magnifici sette”, 1960. John Sturges dietro alla macchina da presa. Quel pelatone di Jul Brinner, nei panni del pistolero vestito di nero.
“Le sette sorelle”, a scelta: l’orrenda pellicola sci-fi oppure il polpettone letterario di Lucinda Riley.

Le parole non si buttano mai via, perché si stampano nei ricordi di altri. Formano un universo di momenti condivisi. Uno spazio senza luoghi comuni, senza gettare via il tempo, privo di quel senso di dejavu che odora di Carosio andato a male. La sfida di raccontare anche l’ovvio ma come se fosse la prima volta.
Ho la nausea, sempre.
Delle partenze, dei ritorni. Nella lista delle incombenze deppenno l’Elgato HD60S. Ufficialmente deceduto e quindi inutilizzabile durante l’ultima giornata di campionato. Ho bisogno di tempo per elaborare questo lutto. Certo meno doloroso dell’eventuale dipartita del laptop. In una malefica combo mentre cercavo di aggiornare il bios proprio del computer potartile, l’ho quasi “brikkato”, ucciso.
Tutto questo è non sono ancora partito.

Confido nelle sorprese, nei sorrisi e nei suoni. Quella melodia che puoi ascoltare solo se appoggi l’orecchio nei pressi della linea laterale e liberi spazio nel cuore.
Ho sempre portato via dalla Final Eight una storia che non avevo prima.
Alcune condivise con molti, altre con pochi.
Racconti di donne che inseguono un sogno, un amore, fortuna. Inseguono, insomma, qualcosa.

Saranno le voci a far da sfondo alle mie parole. M’immagino d’incontrare uno di quei personaggi di Soriano, come il pianista del Colon. Seduto, ormai vecchio, all’angolo di quella strada del suo quartiere.
Sistemo la mia sedia di paglia accanto alla sua, rigorosamente consunta e con la paglia che cade a pezzi dalla seduta.
Lui racconta, io ascolto.

S’accede lo schermo dello smartphone.
Un cuore.
Premo play.
2009
“There’s so much going on, it gets hard to breathe
When all my faith has gone, you bring it back to me”

Una scritta nera sul muro bianco di camera tua. Roma.
Porto un pennarello nero con me, di nuovo. Tredici anni, di vita dopo.
Le parole, ci definiscono. Raccontano chi siamo, chi vogliamo essere.

“When my head is strong
But my heart is weak
I’m full of arrogance and uncertainty
When I can find the words
You teach my heart to speak”

Quasi dimenticavo, vince la favorita. Pronostico azzardato.
Chiudo lo zaino.
In finale contro? Non lo so, qualcuno però ricorda chi è arrivato secondo nei 100 metri alle ultime olimpiadi?
L’ennesima citazione cinematografica. La pandemia ha accentuato questa mia affezione.

Lascio qui la lista in ordine sparso di “cose” da raccontare:
Massimo Abate e la Sandro Abate.
I visi di chi attende solo di scendere in campo e quelli di chi ha già disputato la sua partita.
I volti di quelli che hanno perso. Perché a quelli che vincono fanno già tante foto.
Cose che mi distraggono.
Micetti, quelli ci vogliono sempre.

 

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