Caffè Corretto

Caffè Corretto – Buissimo

“Vuoi venire a Bisceglie?”
Se proprio me lo domandi…
“Si”

Mi chiedo sempre il “perché”, dopo. Finisce che quella ragione la cerco in viaggio, che la trovi a destinazione, spesso le due cose insieme.
C’è meno gente che si sposta, per il solo piacere di farlo. I camion però restano, così come gli odori degli autogrill. Quella mistura strana di sudore e carburante. I pendolari stipati nei loro van, tornano al nord. I gatti che chiedono da mangiare ai viaggiatori.
Verso una partita “dentro o fuori”. Quelle nelle quali, si guarda più spesso il cronometro. Perché quando è finito quel tempo, non te ne concedono altro.
Tutto è per sempre.

Due spalti, il campo nel mezzo. Su e giù dalla scale, altrimenti resto incastrato nelle balaustre. Ho smesso di essere smilzo, due vite fa. Il parquet nel mezzo, come una terra di mezzo. Forse davvero non tutti quelli che vagano si sono perduti. Uno spazio che si riempie di storie personali, di sensibilità, di parole. Anche quelle non dette. Finisce che diventano come quelle pietre d’inciampo, in mezzo ai sampietrini. Sono pezzi di vita. Quelli che smarrisci e forse non vale nemmeno la pena cercarli. Giusto che restino così.
Perduti.
Immagino lo spazio all’esterno delle linee laterali. Riempita d’attenzione per le parole. Un luogo dove gli amici si trovano e si perdono. Porte che si varcano, angoli da svoltare, le vite mutano.  La fragilità non dovrebbe diventare una colpa. Come tanti pezzi di mosaico, frammenti che da soli non raccontano nulla, se non t’allontani per guardarli, tutti insieme. In silenzio.

Le trombette, il vociare. Quando ci sono quattro persone in un intero palazzetto, finisce che si sente tutto, ma proprio tutto.
C’è chi vorrebbe un giorno allenare i maschi, chi ti racconta di vita e di sport. Di patenti, di uomini che non ti vogliono perdere. Di strani amori, anche sportivi. “Speriamo sia almeno simpatica”.
Vorrei poter vedere sempre le partite seduto accanto a lei. Per ora è troppo impegnata a dominare sul campo.
C’è chi segna tanti gol e chi li segna quando serve, difficile scegliere tra i due. Alla fine preferisco quest’ultimi. Sarà la simpatia che provo verso gli ultimi. C’è la luna, alta in cielo. Non “fa più buissimo” alle diciassette ma il tempo passa. Scava solchi che restano li a distanziare i ricordi dai sogni.

Ci vediamo in Coppa Italia. Quand’è l’ultima volta che sei mancata?
Viene anche Marika? Si scrive con la kappa?
Quante domande, vero?
Sono sempre più delle risposte. Almeno ora però lei ha un viso che posso legare al nome. Almeno provarci.

Si può giocare con il braccio in posizione antalgica. Stringere i denti, resistere e far girare palla.

Ci sono i mancini, che hanno il fascino tipico di quelli che pensano con la parte creativa del cervello. Quando segna non riesco a capire da dove arriva il gol. Non sembra nemmeno aggraziata, eppure salta l’avversario con una naturalezza che spiazza, come il suo avversario. Usa il destro forse, per mettere le infradito dopo la doccia. Indossa la casacca con il numero nove sulle spalle. Un mancino che si rispetti però, indossa la 7, al massimo la 11.
Ciao ragazza della quale confondo sempre il cognome. È un piacere osservarti, mentre giochi.

Avrei voluto portare con me a Rimini tutte le storie che mi piacciono. Non c’è abbastanza posto per tutte, mi dicono. Peccato.
Scorrono le ombre fuori dal finestrino. Guido per un tratto. Gli ulivi a distesa, le case basse che si punteggiano di luci. I colori sono diversi qui, il cielo è più vicino alla terra. Il buio è più scuro, il cielo è più blu, il giallo è quasi ocra.
Murales.
“Ritornerai?”
Rispondo, nel mio cuore.
“No, forse però c’incontriamo da qualche altra parte”.

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